Cina e Russia sono attivissime nel seminare confusione e fake news sulla pandemia tra Stati membri dell’Unione europea. Questo è quanto dichiarato dal rapporto pubblicato ad aprile da EuVsDisinfo, organismo che si occupa dal 2015 di monitorare lo stato delle campagne di disinformazione in Europa.
Farsi un’idea precisa di cosa stia accadendo, come e perché è estremamente difficile: gli interessi in gioco sono molteplici e le agende dei due governi molto differenti. La battaglia si sta combattendo a colpi di tweet, gruppi Facebook e pubblicità ingannevoli, toccando come non mai ogni possibile canale di comunicazione.
Gli attori in gioco
Gli attori principali sono Cina e Russia, ai quali se ne aggiungono indirettamente altri che semplicemente fanno eco di disinformazione locale verso l’Europa, senza però partecipare con campagne mirate.
La Cina si muove principalmente sui social network, Twitter e Facebook in primis, tramite una fitta rete di bot, account legittimi e campagne pubblicitarie mirate.
La Russia, anch’essa estremamente presente sui social network, può contare sul supporto nel territorio europeo delle due testate di propaganda più note: RT (Russia Today) e Sputnik che sono molto attive ed in grado di pubblicare in lingua locale in molti paesi.
Ovviamente la Ue non è il solo obiettivo, infatti le campagne che andremo ad analizzare vengono ripetute, con messaggi differenti, anche in altri paesi, tra cui USA, Siria, Iran e svariati Stati africani. Come vedremo, con motivazioni molto differenti.
Il duplice obiettivo della disinformazione russo-cinese
La Cina porta avanti due obiettivi principali, il primo è quello di allontanare la “responsabilità” della pandemia e le sue origini, il secondo è quello di posizionarsi, specie in Europa ed in Africa, come leader responsabile e compassionevole nei confronti degli Stati in difficoltà.
La Russia segue invece una strada differente, diffondendo false informazioni sul COVID-19 con l’obiettivo di confondere riguardo la reale gravità della situazione, generare disinformazione sulla gestione della pandemia, gli effetti sulle persone, le misure per contenere trasmissione e ridurre il rischio, ed infine per instillare dubbi sulle capacità di risposta dei vari Stati membri.
In entrambi i casi le campagne sono estremamente simili tra paese e paese, e spesso adattate solo nella lingua. I messaggi lanciati invece cambiano radicalmente quando si varca il confine europeo. Se infatti in Europa le campagne mirano ad esempio a mettere in discussione l’efficacia di metodi di contenimento validi (come ad esempio lavare le mani con il sapone), in Siria il regime, di concerto con la Russia, attacca l’EU, sostenendo che le sanzioni imposte al paese mettono in ginocchio il sistema sanitario locale e quindi contribuiscono alla diffusione della pandemia nel paese.
Le strategie di disinformazione
Ogni campagna prende di mira segmenti di popolazione molto precisi, fenomeno evidente quando si pensa a dichiarazioni ai limiti dell’assurdo, che vengono recepite ed amplificate svariate milioni di volte. Esempio principe è la falsa notizia che i ripetitori 5G contribuirebbero alla diffusione del virus. Si tratta di un messaggio che, seppure privo di senso per la maggior parte dei lettori, ha trovato il supporto di svariate frange, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, che sono arrivate a compiere veri e propri atti di sabotaggio verso l’infrastruttura delle telecomunicazioni.
Le nicchie complottiste sono terreno fertile per ogni campagna di disinformazione che si rispetti. Tali comunità fungono infatti da cassa di risonanza per ogni messaggio mirato, risultando obiettivi appetibili per tutti gli attori statali. Basti pensare alla falsa narrativa che viene utilizzata oggi nel fomentare la comunità NoVax: i vaccini non sono necessari poiché la malattia si può curare con la medicina tradizionale (e si fa ovviamente cenno alla clorochina). Narrativa che in seguito evolverà quando un vaccino sarà disponibile, trasformandosi in allarme relativo alla sicurezza del vaccino stesso, effetti collaterali, controllo della popolazione, improbabili mutazioni del DNA e chi più ne ha più ne metta.
Tuttavia, la macchina di propaganda si sta affinando al punto che, come evidenziato nel report di EuVsDisinfo, gli stessi fact-checker sono stati ingannati, finendo per ritenere valide alcune notizie che non lo erano affatto. E se a venir ingannato è chi per mestiere riconosce il vero dal falso, c’è da scommetterci che una fetta importante della popolazione finirà per pagarne lo scotto. A differenza infatti di quanto accadde durante le presidenziali Usa del 2016, dove le campagne di disinformazione erano mirate ad influenzare il risultato delle elezioni, nel caso del Covid-19 si mettono a repentaglio vite umane.
La macchina della disinformazione in Italia
Le campagne di disinformazione chiaramente non risparmiamo l’Italia, le possiamo dividere essenzialmente in due famiglie: campagne generali poi tradotte in lingua e campagne mirate.
Un esempio abbastanza noto è quello di un video, pubblicato dalla portavoce del Ministero degli Affari Esteri cinese, nel quale si vedono svariate persone applaudire la Cina in segno di ringraziamento per il loro contributo.
La propaganda cinese in Italia si concentra su due obiettivi essenziali: migliorare la percezione del “brand” Cina in Italia, facendola apparire come un paese vicino, amichevole e solidale e minare la credibilità del sistema EU, facendolo invece apparire come incapace di rispondere adeguatamente, frammentato, inerte ed egoista.
La propaganda russa condivide lo stesso obiettivo di indebolire la percezione della EU e dividere la popolazione, ma aggiunge un’ulteriore agenda mirata più generalmente a creare confusione nella popolazione. Gli stessi attori, quando non autori di specifiche campagne, si adoperano invece per amplificare notizie fuorvianti ed erronee.
L’Italia e la Spagna sembrano essere i paesi che hanno visto circolare su Facebook e WhatsApp il maggior numero di notizie false. A titolo di esempio possiamo riportare:
- La già menzionata diffusione del virus a causa del 5G
- L’utilizzo dei guanti che sarebbe dannoso
- Vitamina C, Argento colloidale o aglio siano in grado di curare la malattia
- Il fatto che il virus sia un prodotto di laboratorio
- Le morti che sarebbero “minime o inesistenti”
- Bill Gates come architetto e beneficiario della pandemia
- Inutilità e pericolosità dei vaccini
- Il fatto che il governo abbia negato i test agli immigrati
- Vaccini utilizzati come strumenti di controllo delle masse
L’obiettivo è chiaro, divide et impera, creare confusione, frammentare l’opinione pubblica, creare tumulto sociale e minare l’autorevolezza della istituzioni.
Ovviamente la disinformazione non arriva solo da Russia e Cina, ma viene anche amplificata quella che già circola negli Stati Uniti. Un esempio è il video seguente, un filmato di quasi mezz’ora diventato virale negli USA e che presenta informazioni false e non supportate da fatti, riversato da poco sui social anche con sottotitoli in italiano.
La risposta dei social
Il successo delle campagne di disinformazione ha costretto tutti le maggiori piattaforme social a prendere delle misure, spesso e volentieri a seguito della pressione di svariati governi. Sia Twitter che Facebook oggi fanno uso dii team di fact-checker ed esperti di sicurezza dedicati ad identificare reti di bot che vengono utilizzate per amplificare messaggi di propaganda.
Il problema sorge quando le notizie arrivano da fonti percepite come autorevoli, vedasi ad esempio il presidente Usa Donald Trump che spesso e volentieri scrive su Twitter, presentando come fatti quelle che sono proprie opinioni o semplicemente voci non sostanziate. Fino ad oggi la risposta di Twitter è stata estremamente pacata ma è di pochi giorni fa la notizia che, almeno per quanto riguarda il Covid-19, anche i tweet del Presidente verranno (finalmente) sottoposti a revisione e flaggati qualora contenessero informazioni fuorvianti oppure errate.
La strada però è tutta in salita, sia Cina che Russia investono somme considerevoli in campagne pubblicitarie che vengono viste da milioni di persone, ed è tutt’altro che ovvio l’intento propagandistico, come si può vedere dall’immagine seguente, ripresa da una campagna su Facebook (attiva anche su Instagram) poi sospesa su segnalazione del Telegraph.
Il ruolo dei social è più importante che mai, ma le leggi differiscono da paese a paese. Negli USA ad esempio le campagne a fini politici devono essere dichiarate, e deve essere chiaro chi sta pagando la sponsorizzazione. Nell’esempio appena visto si trattava di un ente di stato cinese che i filtri di Facebook non avevano catturato. Tuttavia, Facebook stessa non richiede la divulgazione in ogni giurisdizione, per cui simili campagne possono essere ritirate in alcuni paesi e restare attive in altri. Le aziende del resto non hanno molti incentivi a fermare campagne pubblicitarie, di Stato o meno, che generano introiti regolari in assenza di una normativa che ne richieda il controllo.
Covert Ops
Non tutte le attività di propaganda avvengono per così dire “alla luce del sole”. Se da un lato è più semplice identificare fake news quando vengono da media di Stato, diventa più difficile farlo quando gli stessi si muovono in maniera organica all’interno di una rete social.
Parliamo sia di reti di bot che di account hackerati, e resi zombie, al servizio della propaganda. ProPublica segue questo fenomeno dal 2019 ed ha identificato nel corso di un anno oltre 10.000 zombie account utilizzati per dare eco alla propaganda cinese.
I bot sono reti di account controllati in maniera semi o totalmente automatica da un ente centrale, tipicamente utilizzati per generare trend di alcuni hashtag o per amplificare e diffondere specifici messaggi. Nell’immagine in basso vediamo due account (i cerchi verdi più grandi) fare dei tweet, immediatamente ripresi da una serie di utenti.
Analisi di Benjamin Strick
Prendendo uno degli account, ovvero @lucant_crystal, vediamo che pur non avendo alcun follower, il fattore di amplificazione del suo tweet è stato notevole. E questo è appunto il lavoro dei bot, creare trend che non esistono ed amplificare messaggi che altrimenti passerebbero inosservati.
Di diversa natura è invece l’attività di attacco verso account legittimi. I profili legittimi con follower reali sono un potente strumento di diffusione, perché possono contare già su una trusted audience, e riescono a diffondere i messaggi in maniera rapida ed efficace. Nell’immagine in basso vediamo un account originale (a sinistra) compromesso e trasformato nel corso di due mesi in un account di propaganda cinese. Utilizzato inizialmente per diffondere tweet di elogio alla polizia di Hong Kong e contro la “propaganda americana anti-Cina”, ha poi iniziato a diffondere messaggi di propaganda pro-Cina riguardo il COVID-19.
Immagine da ProPublica
Queste campagne, portate avanti direttamente da corpi di Stato o aziende di marketing dedicate, non vengono utilizzate solo a fini di propaganda ma anche per screditare personaggi scomodi, o portare avanti agende parallele. Un esempio è lo stesso network che abbiamo appena visto, utilizzato per screditare con false dichiarazioni un uomo d’affari cinese “esiliato” negli Usa che aveva criticato la risposta del governo durante i primi giorni della pandemia. Ed un secondo caso in cui un tweet di Elon Musk, che invitava a disfarsi di Bitcoin ed Ethereum – un tema delicato per il governo cinese che dall’epoca del boom di Bitcoin vede le criptovalute come uno strumento scomodo, capace di ridurre il controllo dei flussi finanziari e la loro tracciabilità – veniva amplificato dalla stessa rete di bot.
Immagine di Bellingcat
Nel 2019 Twitter ha rimosso circa 200.000 bot account; questi numeri ci danno un’idea di quanto imponente sia la battaglia per il controllo dell’informazione online, e di quanto facile sia cadere nella trappola senza rendersene conto.
Mitigare l’impatto di queste campagne è un compito estremamente complesso che va condotto affiancando la tecnologia al supporto di team di fact-checker umani. I recenti sviluppi dell’A.I. nel settore dell’analisi dei grafi stanno diventando strumenti importanti per identificare i messaggi di propaganda prima che diventino virali. Tuttavia, gli strumenti in mano agli analisti indipendenti sono spesso limitati, il dato da analizzare appartiene alle relative piattaforme, e non sempre è possibile accedervi nelle modalità necessarie a svolgere i compiti di monitoraggio. I social si stanno organizzando per combattere il fenomeno ma, come abbiamo visto, tendono a muoversi solo dove c’è un’imposizione di legge, potenzialmente lasciando intere aree geografiche – spesso quelle più vulnerabili – prive di garanzie.
Da utenti è sempre più difficile verificare la legittimità di certe affermazioni, ma è responsabilità di tutti quella di pensare due volte prima cliccare su condividi, e magari evitare di diffondere ciò di cui non siamo proprio sicuri. Il rischio, come abbiamo visto, è reale ed ha delle conseguenze importanti.