disparità e violenza

I rapporti di potere alla base del cyberbullismo e come abbatterli



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Il cyberbullismo rende chiaro il fatto che il mondo virtuale è reale a pieno titolo. E, come per il bullismo, nasce e si cancella quando vengono abbattuti i rapporti di potere: chi ha la proprietà privata dei mezzi e pensa di decidere della sopravvivenza dell’altro fa il prepotente

Pubblicato il 27 set 2023

Lorenza Saettone

Filosofa specializzata in Epistemologia e Cognitivismo, PhD Student in Robotics and Intelligent Machines for Healthcare and Wellness of Persons



cyberbullismo

In generale il termine bullismo è equiparato al concetto di molestia; tuttavia, se le aggressioni diventano continuative la molestia assume maggiormente il senso di violenza. È vero nel mondo reale come online, col cyberbullismo.

Bullismo, una definizione

Erling Roland afferma che il bullismo è una “violenza che perdura a lungo, fisica o psicologica, condotta da un individuo o da un gruppo e diretta contro un soggetto che non è in grado di difendersi nella situazione reale”[1]. Secondo Dan Olweus il bullismo è da intendersi come una disparità di potere in cui l’aggressore perpetua i suoi comportamenti nel tempo[2]. Nel gennaio 2014, i Centers for Disease Control and Prevention, il Department of Education e l’Health Resources and Services Administration, cooperando con gli esperti del settore, hanno trovate una definizione comune al bullismo:

Il bullismo è un comportamento aggressivo indesiderato da parte di un altro giovane o di un gruppo di giovani che non sono fratelli o partner attuali, che comporta uno squilibrio di potere osservato o percepito e che si ripete più volte o ha un’alta probabilità di ripetersi. Il bullismo può infliggere danni o angoscia al giovane preso di mira, compresi danni fisici, psicologici, sociali o educativi [3].

Quindi il comportamento deve essere intenzionale, non accidentale.

Come si manifesta il bullismo

La violenza può essere diretta o indiretta, fisica o verbale. L’aggressione indiretta include atti più sottili e manipolativi come l’ostracismo, l’intimidazione o il controllo di un’altra persona. L’aggressività palese potrebbe comportare insulti, spinte o colpi, mentre l’aggressività relazionale include pettegolezzi, diffusione di voci, sabotaggio sociale, esclusione e altri comportamenti distruttivi per le relazioni interpersonali.

Altro elemento è la ripetitività, il perdurare nel tempo. In effetti questa continuità è ciò che rende il bullismo così dannoso e carico di conseguenze psicologiche.

Infine, la differenza di potere è il substrato per cui bullo e bullizzato esistono come tali. Chiaramente la differenza di potere non è da intendersi né come reale, né come di un’unica specie. Al contrario presenta caratteristiche molto differenti, che meritano di essere analizzate e risolte, se si vuole affrontare il problema bullismo, epifenomeno della sproporzione alla base.

Come ricorda Marx, se si vuole eliminare religione e le altre sovrastrutture nocive e mascheranti e perpetuanti la lotta di classe e lo sfruttamento, bisogna intervenire sulla base: per lui solo economica. Chi possiede e chi no i mezzi di produzione. Riprendendo questa lezione e dilatando i fattori che determinano lo squilibrio di potere si può affrontare efficacemente il bullismo, altrimenti sono solo palliativi, o il frutto di altri squilibri di potere.

Dal bullismo al cyberbullismo

Insomma, come afferma Dan Olweus, le caratteristiche che possono dare a un bullo un potere percepito o effettivo su una vittima sono la popolarità, la forza fisica, la statura, la competenza sociale, la prontezza di spirito, l’estroversione, la sicurezza, l’intelligenza, l’età, il sesso, la razza, l’etnia, lo status socioeconomico, ma anche il numero di follower, like, la moda, le skill videoludiche, ed è qui che si entra nel cyberbullismo.

Al cambiare della tecnologia, dei luoghi, dei trend, i fattori di potere mutano, si sovrappongono, si distorcono, scompaiono e, quindi, la spiegazione dell’azione sociale potrebbe non essere così semplice da rintracciare per chi appartiene ad altre generazioni e\o culture.

Una definizione di cyberbullismo

Dopo aver compreso cosa sia il bullismo, è facile capire la sua declinazione “cyber”. Si tratta di una aggressione ripetuta, intenzionale, ma condotta in modo specifico su mezzo digitale. La violenza può partire come bullismo, offline, tra i banchi di scuola, e continuare online; così come può nascere e restare su strumenti elettronici via social o via piattaforme da gaming.

Il cyberbullismo ci rende chiaro il fatto che il mondo virtuale è reale a pieno titolo. È peggiorativo del problema considerare ciò che avviene online come eventi che non sono “vita vera”. Online si lavora, è un mezzo per avere successo, per stabilire contatti e relazioni da continuare anche al di fuori delle piattaforme. Sminuire il senso di dolore psicologico arrecato e il dolo in ambienti digitali è commettere violenza una seconda volta sulla vittima, la quale viene quasi colpevolizzata di essere troppo sensibile, finanche visionaria o di non vivere ciò che conta davvero: il mondo con le bollette. Drama: gli anglosassoni condensano il vittimismo in una sola parola.

Cyberbullismo, un problema non solo per gli adolescenti

Teniamo conto che i target di azioni di violenza e molestia online continuativa non sono solo gli adolescenti. Anche gli adulti sperimentano questo tipo di problema nella loro quotidianità internettara[4]: commenti, dislike, email dietro le quinte per ostracizzare. Ho tanti esempi di amici e conoscenti vittima di vari abusi digitali. Io stessa sono stata bersaglio anni fa. Erano i tempi in cui YouTube aveva ancora la possibilità di mostrare i non mi piace. Fummo al centro di una cordata di hater, raccattati dalla community tossica di un altro youtuber, che ai tempi era particolarmente noto. Era uno dei personaggi borderline e trash di quella generazione di Youtube Italia, che forse ricordano solo dai 2000 in su. Anomico, certo, ma non meritevole di essere perseguitato con continuità e ostinazione. Di fatto era solo particolare, non era nocivo. Ci arrabbiammo perché si fa reclamo sempre a Foucault, a Sorvegliare e Punire, e a quanto i discorsi sulla normalità siano figli di una scelta schifosa di potere. E invece quando sono nascosti dall’anonimato, li vedi punire ripetutamente il soggetto ai margini, il bersaglio che Faucault proteggeva con grande acume filosofico e sociologico.

Noi, scoperta questa situazione vomitevole, cercammo di dare una mano a questo personaggio, esplicitando, in alcuni commenti, l’ingiustizia a cui secondo noi andava incontro. Onta! Il risultato fu che anche noi ci attirammo le inimicizie di quegli utenti fake che popolavano quel mondo strano, ancora mezzo sconosciuto, verso i primi passi di regolamentazioni e netiquette. Quei soggetti, oltre a diffamare esplicitamente in commenti e video anonimi, hanno iniziato una campagna persecutoria vera e propria, raggiungendo ogni attività che facevamo a prescindere da quell’ambiente coatto.

Iniziarono a comprare pacchetti di dislike con il fine, ogni volta, di pareggiare e superare (di poco, c’era metodo) il numero di mi piace sotto ai contenuti di YouTube pubblicati. Questo era tentativo esplicito di dolo, di boicottaggio lavorativo. Era cyberbullismo, anche se ai tempi non si poteva dire: perché non eravamo minori. Ci difendemmo sapete come? Un po’ battendo dialetticamente i personaggi che si esponevano a parole. Abbiamo mostrato più potere e quindi abbiamo guadagnato più credito in quel contesto: non eravamo sprovveduti, non avevamo le caratteristiche della vittima-base. Ma soprattutto la svolta avvenne quando, grazie al fatto di essere smanettoni, scoprimmo i nomi e cognomi di molti. La loro faccia era stata denudata: potevano perdere qualcosa. Insomma, è vero, il bullismo nasce e si cancella quando vengono abbattuti i rapporti di potere: chi ha la proprietà privata dei mezzi e pensa di decidere della sopravvivenza dell’altro fa il prepotente. Fino a che il liberto non si libera, e, con una carta di franchigia, non si costruisce una propria Villa Franca.

Conclusioni

Oggi le cose sono di poco cambiate, anche nel modo di intendere questo problema, dilatando i target e i motivi persecutori. Per fortuna i non mi piace non appaiono più sulla piattaforma di google; forse si è giunti alla consapevolezza che lasciare questo mezzo di commento è più un’arma che un modo di comunicare reale spiacevolezza: se il contenuto non è adeguato semplicemente si segnala, non ha senso “non mi piaciare”. Tuttavia, chiunque ancora può celarsi dietro a una falsa identità, producendo infiniti account fake con cui fare il bello e cattivo tempo, nascosti dall’anonimato.

YouTube si avvantaggia economicamente da questa possibilità di clonare e iscriversi e fare numero? L’anonimato era ed è il problema dei forum, la spiegazione del perché tanta violenza, odio, schifo: celarsi dietro identità false permette di dare sfogo ad ogni istinto più basso, di Eros e Tanatos. Platone lo mise in luce con il celebre e bellissimo passo dell’anello di Gige, in grado di concedere invisibilità. Non essere visti portava anche in quel mito a concedersi ogni violazione morale, essendo questa sensata solo in presenza di una faccia visibile, perché solo così possibile perderla.

Bibliografia

[1] Erling Roland. “Bullying: The Scandinavian Research Tradition.” In Bullying in Schools, edited by Delwyn P. Tattum and David A. Lane, 21–32. Stroke-on-Trent, UK: Trentham, 1989.

[2] Dan Olweus. Bullying at School. Oxford, UK: Blackwell, 1993.

[3] Matthew R. Gladden, Alana M. Vivolo-Kantor, Merle E. Hamburger, and Corey D. Lumpkin. Bullying Surveillance Among Youths: Uniform Definitions for Public Health and Recommended Data Elements, Version 1.0 (2014). http://www.cdc.gov/violenceprevention/pdf/bullying-definitions-final-a.pdf.

[4] Patchin JW, W. Patchin BJ (2010) Adult Victims of Cyberbullying | Advice & Helpful Strategies. In: Cyberbullying Research Center. https://cyberbullying.org/advice-for-adult-victims-of-cyberbullying

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