Il libro

Il grande salto: la discontinuità che ci porta al futuro del Pianeta digitale

Quella che ci vede coinvolti è la più drastica tra le rivoluzioni vissute dall’umanità. È la più globale: non conosce confini geografici, politici o ideologici. L’unica che coinvolge il pianeta per intero. E non è un virus: è un salto evolutivo. In un libro, una disamina del presente e del futuro del Pianeta digitale

Pubblicato il 21 Ott 2020

Luca Tomassini

Professore aggiunto all'Università Luiss Business School

il grande salto

La prima rivoluzione digitale ha cambiato per sempre il destino degli esseri umani, ma i prossimi vent’anni saranno ben di più di un continuum dei trenta precedenti: il ventennio che si è aperto ci vede tutti nel vortice della nuova onda della rivoluzione digitale a confronto della quale le innovazioni e le trasformazioni di fine secolo sembreranno poco più che premesse.

Il balzo, o meglio: il grande salto che stiamo compiendo, passa attraverso una discontinuità tecnologica radicale fatta di rotture e di sperimentazioni a tutto campo i cui effetti ricadono a pioggia su economia e politica, società e cultura.

Nel libro “Il grande salto”, una disamina sul paradigma che racconta il presente e il futuro del “pianeta digitale” dalle qualità dei suoi abitanti, delle loro scelte, e del domani che già oggi stanno costruendo.

L’uomo misura delle cose nella rete globale

La rete globale di connessioni, tracciando una nuova griglia sulla superficie terrestre, come la griglia razionale della prospettiva quattrocentesca, ha contribuito a creare una nuova realtà, nella quale l’uomo è tornato a essere, pienamente, misura delle cose. La sfida che proponevo qualche anno fa era quella di mettere l’umanità di fronte alla sua capacità critica e creativa, di aprire gli occhi e soprattutto la mente davanti agli scenari che lo sviluppo di questa può offrirle. Non ho mai, né allora né in seguito, negato l’esistenza di rischi o rifiutato di vedere gli inevitabili problemi derivanti dell’utilizzo della grande rete, ma ho sempre cercato di lanciare un invito a prendere coscienza del potenziale ancora inespresso, come a considerare in modo lucido e positivo ciò che già era successo e ciò che, di lì a poco, sarebbe inevitabilmente accaduto in termini di sviluppo tecnologico. L’uomo al centro del mondo, così scrivevo.

Al centro della sua vita, indirizzato sul cammino della piena realizzazione, personale e collettiva. Creatore di una realtà altamente gestibile. Si tratta di una posizione privilegiata, nella quale l’uomo è in netto vantaggio rispetto alla macchina, al dispositivo, alla rete. L’uomo può creare e distruggere, controllare, correggere, rivedere, riprogrammare, aggiornare, installare e disinstallare. Se guardiamo all’oggi, a distanza di pochi anni, tira già un’aria diversa. Ecco allora che alcuni rispolverano l’espressione transumanesimo, per indicare un futuro prossimo nel quale l’essere umano, ibrido di corpo biologico e innesti tecnologici, sarà qualcosa di molto diverso da come lo conosciamo ora. Non è una prospettiva pienamente luminosa, illuminista. E c’è anche chi, facendo previsioni sugli sviluppi dell’Intelligenza Artificiale, come Stephen Hawking, metteva in questione addirittura la sopravvivenza della nostra specie sul pianeta Terra, e invitava a cominciare a pensare in termini di specie multiplanetaria.

Cosa è cambiato?

Chiediamoci subito cosa sia davvero cambiato. Tutto e nulla. Se il futuro è incerto per definizione, se c’è una cosa della quale possiamo invece essere sicuri è che la nuova frontiera che si sta avvicinando è tra le più incredibili e sconvolgenti che l’uomo abbia mai dovuto considerare.

Negli ultimi dieci anni si sono avute rotture qualitative in molti settori delle tecnologie digitali, che si stanno alimentando a vicenda determinando un’accelerazione sistemica dell’innovazione. La chiave interpretativa del passaggio storico che stiamo vivendo è proprio questa dimensione di sistema della discontinuità tecnologica, fatta di strette interdipendenze: ad esempio, tra l’intelligenza artificiale e l’Internet of Things, o tra il 5G e la cognitive automation che ridisegna la robotica nelle fabbriche e più in generale nei processi produttivi.

Una nuova convergenza

Siamo dinanzi a una nuova convergenza, di portata simile a quella che alcuni decenni fa portò all’integrazione tra communication technology e computing dando vita a Internet. Gli elementi della nuova convergenza, nei quali si accumulano salti tecnologici, sono lo sviluppo dei supercomputer e dei computer quantistici, che promettono una potenza di calcolo su una scala radicalmente più elevata; le reti neurali e il deep learning, che spalancano nuovi orizzonti all’intelligenza artificiale; l’Internet of Things; la cognitive automation e le interfacce tra uomo e macchina; il 5G, che tutto connette e mette a sistema.

Possiamo dare a quest’intreccio di tecnologie fortemente interdipendenti il nome di “cluster tecnologico secolare”, perché destinato a condizionare il XXI secolo come l’elettricità ha plasmato il secolo precedente e come Internet ha guidato il periodo di transizione tra i due millenni.

Il nuovo mondo

Viviamo in un nuovo mondo insomma. In una frazione di tempo infinitesima, il nostro panorama è cambiato e con esso le nostre abitudini, le regole del gioco, i paradigmi. Come sempre nella storia dell’essere umano, un singolo evento ha dato il via a un domino di effetti a catena che stanno mettendo in discussione tutto quello che crediamo di conoscere, cambiando in modo definitivo e non reversibile le nostre esistenze.

Come durante una guerra, il nostro benessere è in pericolo e temiamo per la nostra sopravvivenza, minacciati da un nemico invisibile del quale sappiamo poco o nulla. Eppure, questa non è una guerra, ma una rivoluzione: drastica, universale, e velocissima.

Quella che ci vede coinvolti è la più drastica tra le rivoluzioni vissute dall’umanità. È la più globale: l’unica che non conosce confini geografici, politici, e nemmeno ideologici. Questa rivoluzione è l’unica che coinvolge il pianeta per intero. Ed è la più veloce, così veloce da richiedere un adattamento che l’uomo non ha mai dovuto affrontare prima d’ora.

Non è una crisi e non è un virus: è un salto evolutivo.

Quello che stiamo vivendo è un passaggio epocale che ha già trasformato il nostro modo di comunicare, di nutrirci, di costruire e di pensare al nostro futuro.

Se ciò che facciamo racconta chi siamo, allora il balzo evolutivo che stiamo sperimentando ci porta a un nuovo termine per descrivere il nostro essere.

Digitando, siamo diventati digitali.

Digitiamo appena svegli e prima di addormentarci.

Digitiamo per produrre oggetti e vendere servizi.

Digitiamo emoticon e lettere per parlare con i nostri simili.

Digitiamo per fare la spesa, prenotare un tavolo al ristorante.

Digitiamo per scrivere, per leggere, per sentire le notizie, ascoltare musica, guardare un film.

L’aggettivo digitali è figlio del verbo che unisce 4 miliardi e mezzo di esseri umani su quasi otto. Un verbo recente, più giovane della media degli abitanti del vecchio continente.

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