Non si può escludere che i 44 miliardi versati da Elon Musk per comprare Twitter fossero motivati da un genuino desiderio di costruire un polo di libertà di espressione nel panorama dei social media.
Durante la pandemia, le piattaforme social, tirate per la giacca dalla politica e da altri centri di potere, hanno ristretto gli spazi di libertà e sguinzagliato i famigerati fact-checker per setacciare e bloccare ogni seme di disinformazione. In questo modo tuttavia hanno tradito la promessa originaria grazie a cui si sono diffusi: ovvero aiutare le persone ad esprimersi, comunicare e raggiungere un pubblico. L’OPA di Musk, da sempre sostenitore della libertà assoluta di parola, non può essere bollata dunque come una trovata di comunicazione.
Elon Musk, tutti i timori sul futuro di Twitter dalle fake news alla privacy
Twitter è la piazza della città (Twitter is the square town”) ha scritto qualche settimana fa sul suo account seguito da 92 milioni di utenti. E in una piazza, pur nel rispetto delle leggi, ci si deve poter esprimere liberamente. Insomma, che Musk tenga a questo tema della libertà di espressione non è in discussione.
Ciò che è in discussione è come farà a trasformare la teoria in pratica. La strada è irta di ostacoli, ma Musk sembra avere le idee chiare, sebbene non abbia ancora svelato le sue carte.
Il progetto di Musk comincia a prendere forma
Le critiche non sono arrivate solo dagli intellettuali “Dem” e dai militanti “Woke”, preoccupati che Musk possa riaprire le porte al complottismo antiprogressista e antitecnologico (Trump in primis). Ma anche dai teorici dell’open source, come Steven Johnson autore di libri sulla rete aperta. Johnson ha sottolineato il paradosso di Musk: nessuna piazza appartiene ad un singolo uomo. La libertà non può essere basata sulla concessione di una singola persona.
Fatto sta che tra un fuoco nemico e l’altro, Musk sta iniziando a dare una forma al suo programma. Il nuovo Twitter non è animato soltanto dall’anelito “free speech”. Vuole anche generare un business miliardario. Pochi giorni dopo l’acquisizione, Musk ha presentato ad un gruppo di investitori il nuovo business plan quinquennale. che a molti è parsi tanto straordinario quanto irraggiungibile.
Ecco alcuni punti del piano industriale:
- fatturato stimato nel 2028: 28 miliardi (contro i 5,1 miliardi del 2021) per una crescita di oltre il 500%
- modello di ricavi completamente rivisto, soprattutto per la quota di pubblicità che oggi rappresenta il 90% di entrate ma che varrà meno del 50% nel 2028
- Il restante 50% dei ricavi (24 miliardi) deriverà in gran parte dagli abbonamenti degli utenti (12 miliardi), dai pagamenti online (1,5 miliardi) e il residuo dalla vendita di servizi alle aziende e data licensing
- gli utenti passeranno dagli attuali 217 milioni di utenti attivi mensili a oltre 900 milioni
Non si può accusare Musk di pensare in piccolo. E nemmeno di non realizzare i suoi sogni.
Una sfida davvero impressionante
La sfida del piano presentato però è davvero impressionante. Dobbiamo aspettare almeno 12-18 mesi per vedere qualche risultato. Nel frattempo, però possiamo riflettere se il piano di Musk è almeno coerente con la sua idea di far di Twitter a essere la piazza del mondo (una piazza “sui generis” evidentemente).
L’advertising oggi gioca un ruolo importante nel modo in cui sono organizzate le piattaforme. Tutti i grandi progetti web sono cresciuti offrendo il servizio gratuitamente agli utenti e monetizzando grazie all’advertising. Questo modello, tuttavia, non è privo di effetti collaterali. Gli algoritmi sono tarati per monitorare e influenzare il comportamento degli utenti, al fine di generare modelli predittivi degli interessi e poi spingere verso l’acquisto dei prodotti. Ai suoi estremi questo modello genera un sistema di controllo e sorveglianza, preoccupanti per l’autonomia decisionale dell’utente. Inoltre l’advertising ha una bassa redditività per unità e questo spinge le piattaforme a creare forme soft di dipendenza negli utenti, in modo da aumentare visite, visualizzazioni e inventario di spazi pubblicitari a disposizione degli inserzionisti. Questi infine esercitano un forte stimolo a privilegiare contenuti in linea con il rispetto dei propri marchi. Non è un caso infatti che alcuni brand, capitanati da Coca Cola, hanno espresso forti preoccupazioni per la linea di apertura al “free speech” di Musk.
L’advertising non sparirà da Twitter ma si ridurrà
L’advertising non sparirà da Twitter, come qualcuno avrebbe sperato. Ma si ridurrà drasticamente e questo permetterà alla piattaforma di avere un modello misto, simile a Spotify. L’advertising probabilmente verrà mostrato agli utenti con un account gratuito e non sarà invece visibile agli utenti premium, che pagano l’abbonamento. Già oggi in alcuni stati è disponibile Twitter Blue, una versione a pagamento della piattaforma che prevede un abbonamento di 3€ mese e che consente di personalizzare alcune funzioni. Twitter Blue però non è al momento un successo. L’obiettivo di Musk è quello di arrivare ad avere 150 milioni di account premium nel 2028. Non è un obiettivo impossibile se pensiamo agli oltre 200 milioni di account Netflix e Amazon Prime.
L’accusa al modello inserzionistico va dritta al cuore delle piattaforme. Gli utenti sono il prodotto che viene venduto agli inserzionisti. Non sono il fine delle piattaforme, sono il mezzo che serve per generare montagne di denaro. E forse sta qui la vera radice del problema. Gli utenti non pagano gli stipendi dell’azienda e gli assegni degli azionisti, perché dunque preoccuparsi della loro libertà di espressione?
Ripristinare un modello di business centrato sul rapporto tra utenti e piattaforme
Ripristinare un modello di business focalizzato sul rapporto tra utilizzatore e piattaforme è dunque tutt’altro che malsano. Anzi, rappresenta un modo per riportare equilibrio negli obiettivi delle parti. Il problema, tuttavia, è tutt’altro che banale: come convincere 150 milioni di utenti a pagare 3$ mese per cinguettare sul proprio rametto?
Quale sarà l’asso nella manica di Musk? Alcune ipotesi
Musk non l’ha ancora detto. Probabilmente non lo sa. Ma è chiaro che non sarà la possibilità di personalizzare la grafica del proprio motivo a spingere milioni di persone a pagare l’abbonamento. Musk ha parlato di un fantomatico nuovo prodotto (nome in codice “X”) che spingerà gli utenti a pagare il fee mensile. Ma non ha rivelato i dettagli. X è dunque l’equivalente di tutto e niente.
Possiamo solo fare qualche ipotesi e le due più ragionevoli riguardano il tema dell’Open Source e degli NFT.
L’apertura del codice sorgente
Musk ha dichiarato di voler rendere Open Source il codice di alcuni algoritmi, in modo da consentire agli utenti di conoscerlo e suggerire modifiche. L’apertura del codice sorgente ovviamente presenterebbe il rischio che altri possano clonarlo per creare piattaforme simili. Ma il rischio non sarebbe un problema se l’obiettivo del nuovo Twitter fosse proprio la creazione di altre piattaforme con il suo codice sorgente. L’algoritmo e l’infrastruttura tecnologica potrebbero venire concessi in licenza a terze parti, marchi, aziende e comunità tematiche che vogliono avere una propria piazza in stile Twitter. Il data licensing è menzionato nel piano di Musk. Questa ipotesi porterebbe alla nascita di comunità indipendenti “powered by Twitter” e modificabili autonomamente dai titolari della community.
Le community potrebbero essere verticali, tematiche e alcune potrebbero essere accessibili tramite abbonamento. Oggi gli autori monetizzano sui social tramite donazioni, abbonamenti (su Facebook), badge di sostegno (si Instagram). Stanno nascendo piattaforme specifiche per la monetizzazione dei contenuti (Substack). Non è da escludersi un futuro prossimo in cui a monetizzare non sono gli autori singoli ma comunità verticali di interessi. Una parte dell’abbonamento potrebbe andare a Twitter.
È un’ipotesi sensata, soprattutto se la valutiamo dal punto di vista economico politico. L’Unione Europea sta andando verso la definizione dei Digital Services Act che sostanzialmente prevedono una serie stringente di regolamentazioni per i servizi digitali, che sfociano per le grandi piattaforme in una sorta di sottomissione alle autorità regolatorie in merito a libertà di espressione e disinformazione in caso di emergenze (sanitarie, militari).
Ci sono luci e ombre nei Digital Services Act e i punti elencati non sono privi di ambiguità. In pratica si chiede alle piattaforme di essere collaborative con le autorità al di fuori della disciplina già esistente della libertà di espressione. È oggettivamente un tema discutibile. Musk potrebbe però aggirarlo vendendo la licenza d’uso del codice sorgente alle community che essendo di piccole dimensioni individualmente non sarebbero sottoposte alla parte più stringente dei Digital Services Act.
Ovviamente Twitter continuerebbe a esistere e nella sua versione centrale e in quanto social con centinaia di milioni di utenti potrebbe non essere nelle condizioni di perseguire l’obiettivo del “free speech”. Ma le micro-communities verticali potrebbero essere invece spazi di libertà ed espressione, irraggiungibili e invisibili alla contraerea censoria.
NFT e pagamenti online
L’altro tema aperto è quello degli NFT. Recentemente Meta ha comunicato che su Instagram sarà possibile utilizzare i Non Fungible Token. Twitter aveva dato inizialmente la possibilità agli utenti di mostrare gli NFT sul proprio profilo. Elon Musk, nella sua versione utente, aveva espresso parecchi dubbi su questa funzionalità. È improbabile che Elon Musk, nella versione proprietario, prosegua sulla stessa strada. Tuttavia, Musk è vicino al mondo blockchain, è possibile pagare le auto Tesle in Dogecoin ed è probabile che il tema degli NFT, insieme a quello dei pagamenti online, da cui Musk vuole generare almeno 1 miliardo di revenue nel 2028, venga riaperto in maniera più strutturata, per esempio attraverso l’integrazione di Twitter con i marketplace di NFT.
Da qui al 2028 avremo modo di vedere in che modo il nuovo business plan di Musk riuscirà a tenere insieme la promessa di valore (essere la piazza aperta del mondo) e la stratosferica crescita di ricavi.