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I videogiochi conquistano il mondo: ecco quando tutto è cambiato



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Nel settore dell’intrattenimento, il gaming non ha più rivali e ha superato film e musica, rivelandosi un passatempo a tutto tondo, in grado di incorporare tantissimi aspetti differenti. Ma è sempre stato così. Ecco cosa ha cambiato tutto

Pubblicato il 17 mag 2023

Giovanni Luglietto

Yamatologo, traduttore e giornalista videoludico



gaming

Se dovessimo tracciare una linea retta, in grado di dividere l’epoca precedente all’ascesa del gaming al rango di medium socialmente accettato (e accettabile) da quella in cui ci troviamo, probabilmente avremmo delle difficoltà a individuare il momento esatto in cui il cambiamento è entrato in atto. Qualcuno potrebbe affermare che si è trattato di un semplice riciclo generazionale, altri potrebbero imputare il tutto alle più performanti tecnologie odierne ma, in realtà, la risposta è una sola: l’accessibilità.

Gaming, da passatempo da sala giochi a fenomeno transgenerazionale

Il gaming nella sua concezione iniziale era un semplice passatempo da sala giochi: ci si riuniva in loco, si spendevano alcune monetine per delle partite mordi e fuggi e poi si procedeva normalmente con la propria vita quotidiana. Il gioco non si inseriva nel tessuto sociale ma restava ai margini, secondo alcuni destinato addirittura a sparire per sempre senza lasciare alcuna traccia. I videogiocatori con più di qualche anno alle spalle potrebbero addirittura ricordare il crollo dell’industria del 1983, conosciuto anche come Atari shock, sintomo di una saturazione del mercato e una qualità globale dei titoli tendente al ribasso. Ciò, almeno in parte, dette ragione a chi non riusciva a intravedere il futuro del gaming. Fu Nintendo, però, che con la sua console Nintendo Entertainment System (meglio conosciuta come NES), trainò la ripresa a partire dal 1985, prima negli Stati Uniti e poi in altri territori (a eccezione del Giappone dove la stessa console, con il nome di Famicom, spopolava già dal 1983).

Il mercato vide sì una ripresa, ma per i 20 anni successivi restò quasi cristallizzato all’interno di una bolla di appassionati in tutto il mondo. Le console si susseguivano, fidelizzando progressivamente l’utenza, tuttavia, a eccezione di numeri importanti stabiliti dalle prime PlayStation di Sony, il futuro era ancora ben lontano e difficile da intravedere.

Non c’era ancora quel fenomeno che oggi potremmo definire di transgenerazionalità, ovvero in grado di catturare l’attenzione di svariate generazioni che interagiscono tutte insieme con il medium, partendo dai giovanissimi fino agli ultraottantenni. In sostanza, per ogni nuovo videogiocatore che il mercato acquisiva, ce n’era qualcuno che, crescendo, si allontanava dal mercato. La pressione sociale derivante dal privarsi di tutto ciò che poteva essere considerato infantile dai propri pari era molto maggiore 20 o 30 anni fa e, associato alla poca popolarità di cui godeva il gaming tra le masse, rendeva complicato il continuare a dedicarsi a questa passione in età adulta.

Quando tutto è cambiato

Le regole del gioco, paradossalmente, sono state sovvertite non da una console giapponese o da un videogioco particolarmente popolare, come ci si poteva aspettare, ma da un dispositivo che avrebbe cambiato per sempre la vita di tutte le persone sul pianeta: lo smartphone, e nello specifico, iPhone di Apple.

Annunciato e commercializzato nel 2007, iPhone dava a tutti la possibilità di avere un dispositivo interattivo sempre con sé, dalle dimensioni compatte e in grado di svolgere non solo il suo ruolo di telefono cellulare ma fungere anche da fotocamera, videocamera e la possibilità di ampliare le sue funzionalità tramite le app. Dall’oggi al domani, le persone si ritrovarono catapultate in una nuova era pur non rendendosi ancora conto dell’impatto che iPhone avrebbe avuto sulle loro vite.

Come è facile immaginare, man mano che iPhone e poi gli altri smartphone che seguirono a ruota si diffondevano, tutti iniziarono ad avere esperienze diverse tramite le app scaricabili dai negozi virtuali iOS e Android e, oltre alle applicazioni che potevano avere un’utilità pratica (come la calcolatrice, quella per gli appunti e così via) spuntavano sempre più frequenti giochi, sia gratuiti sia a pagamento. La febbre da app spingeva le persone a scaricare compulsivamente per provare nuove esperienze e anche chi non aveva mai provato un gioco in vita propria, si ritrovò a fare una partita a Candy Crush, Angry Birds, Temple Run e molti altri. Pur essendo prodotti diversi da quelli che i videogiocatori avevano avuto negli ultimi 20 anni, questi semplici passatempi bastarono a dare una forte spinta al mercato videoludico, non tramite grandi esperienze dall’impatto cinematico né meraviglie tecnologiche di fotorealismo ma, semplicemente, attraverso l’accessibilità.

Il mercato dei videogiochi mobile ha salvato il gaming

Per alcuni il successo del mercato dei videogiochi mobile ha messo in serio pericolo il gaming classico (quello che potremmo ricondurre alle console e al PC), tuttavia alla luce dei risultati odierni, è più corretto sostenere che abbia salvato l’industria e spinto le masse all’accettazione e alla scoperta di esperienze di cui si erano a lungo private. Molti sono i casi di chi, intrigato dal gaming mobile sia poi passato a quello più articolato garantito dalle console, soprattutto quelle di nuova generazione.

Secondo dati recenti, la pandemia di coronavirus ha spinto ulteriormente verso l’alto il numero di videogiocatori in tutto il mondo. Oggigiorno nei paesi più ricchi, almeno due terzi della popolazione si diletta con questo hobby, per alcuni ormai diventato un vero e proprio lavoro (basti pensare agli streamer e opinionisti che popolano piattaforme come YouTube e Twitch). Tra le statistiche più curiose (a cura di Karol Severin di MIDIA Research) troviamo quella che vede i possessori di console: sono molti di più quelli di età compresa tra 35-44 anni che quelli di età compresa tra 16-24, invertendo il trend del secolo scorso.

Traiettorie future

Nel settore dell’intrattenimento, il gaming non ha più rivali e ha superato film e musica, rivelandosi un passatempo a tutto tondo, in grado di incorporare tantissimi aspetti differenti. Esperienze di stampo cinematografico come God of War e The Last of Us hanno trasceso i limiti del videogioco, nell’ultimo caso divenendo anche serie TV di successo. Nelle epoche precedenti erano i film a farsi esperienze videoludiche (spesso molto scadenti e dozzinali) mentre oggi è l’esatto contrario.

Data l’enorme popolarità e diffusione, il prossimo slancio per acquisire una maggiore fetta di mercato, se consideriamo gli eventi sopraccitati e l’importanza dello smartphone, dovrà necessariamente passare per un nuovo livello di accessibilità. Secondo le grandi compagnie come Sony, ciò potrebbe avvenire con la realtà virtuale, sono infatti ben noti gli sforzi dell’azienda giapponese nel popolarizzare i visori per PlayStation su cui negli ultimi anni puntano sempre di più, realizzando anche esperienze ad hoc che possano convincere il grande pubblico. Dall’altro lato abbiamo invece il concetto di metaverso, popolarizzato negli ultimi anni ma che sta velocemente deragliando a causa di limiti strutturali che non siamo ancora in grado di aggirare o superare agevolmente.

Il futuro è, come sempre, difficile da prevedere, tuttavia guardando al presente possiamo asserire con sicurezza che il gaming non sia destinato a sparire ma, sebbene vi sia stato recentemente un periodo di stallo delle vendite hardware, dovuto alla crisi globale che ha influito sulla produzione di semiconduttori, questo sembra ormai superato. I consumatori spendono già di più in videogiochi (formato retail o digitale) a discapito di libri, cinema e musica, inoltre, le previsioni in territorio statunitense vedono il medium superare anche la pay-TV, storicamente uno degli ambiti più redditizi in Nord America.

Il regista danese Nicolas Winding Refn (Drive, The Neon Demon, Valhalla Rising e il recente Copenhagen Cowboy per Netflix), ospite di un recente episodio del podcast Brain Structure di Hideo Kojima, reperibile su Spotify, ha affermato come il cinema sia in un periodo di stagnazione e la sua collaborazione con Kojima per Death Strading gli abbia aperto le porte di un mondo a lui prima sconosciuto: quello dei videogiochi. È fondamentale notare come questi abbia definito il medium in qualità di “canvas of the future”, la tela su cui visionari presenti e futuri possono imprimere nuove forme d’arte. Pertanto, al di là di profitti, aumento sostanziale di videogiocatori e fusioni multi-milionarie tra grandi compagnie, non va sottovalutata la componente artistica di questi prodotti.

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