science diplomacy

La Scienza non sarà democratica ma può essere “diplomatica”: ecco perché

Al dittatore, secondo la Repubblica Romana, era affidato il comando assoluto in caso d’emergenza. Se, dunque, per democrazia si intende fare quello che desidera la maggioranza del popolo, la scienza non è per definizione democratica. E la non-democraticità della scienza è un grande valore per la persona umana. Ecco perché

Pubblicato il 14 Set 2022

Francesco Beltrame Quattrocchi

Ordinario di Bioingegneria Università degli Studi di Genova; Presidente di ENR - Ente Nazionale di Ricerca e promozione per la standardizzazione

Mario Dogliani

Presidente di SDG4MED, Direttore Fundacion Philippe Cousteau

Thanks to Markus Spiske for sharing their work on Unsplash.

Nel 458 a.C. Cincinnato, nominato dittatore per unanime consenso dei Romani durante la guerra contro i Volsci, in sedici giorni vinse, diede le dimissioni e ritornò alla sua attività da civile: il contadino. Al dittatore, secondo la costituzione della Repubblica Romana, era affidato il comando assoluto in caso d’emergenza.

Anche Atene, culla della democrazia, fu spesso governata da un tiranno: parola che per noi oggi significa oppressore ma che, nell’Atene classica, significava “unico governatore”.

Pauline Ravinet - How would you describe science diplomacy?

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Scienza e dittatura

La storia ci insegna che il governo di un paese affidato a molti che attua quanto desidera la maggioranza dei suoi cittadini, non è uno strumento adatto a gestire situazioni di emergenza che richiedono decisioni efficaci, rapide e che spesso risultano impopolari.

Se per democrazia si intende fare quello che desidera la maggioranza del popolo, la scienza non è per definizione democratica: se la maggioranza di noi, per poter volare, desiderasse che la forza di gravità ci spingesse verso l’alto e non ci attraesse verso il basso, essa continuerebbe a tenerci inchiodati a terra (una terra, peraltro, rotonda con buona pace dei terrapiattisti che, secondo il Censis, sono oltre 3 milioni di persone solo in Italia).

La conseguenza è che, quando servono decisioni vitali, non è vero che “uno vale uno”: chi, dovendo subire un intervento sul proprio corpo, si affiderebbe a qualcuno che non abbia mai fatto il chirurgo? A maggior ragione, quando occorre gestire un’emergenza, che sia una pandemia o il riscaldamento globale o altro, il buon senso auspica che al comando ci sia un “dictator” di romana memoria o un tiranno che, come Pisistrato ad Atene, rese più equa (democratica, diremmo oggi) la distribuzione delle risorse e del lavoro.

Cosa richiede la formazione per affrontare l’emergenza

Come ai tempi della Repubblica Romana e della Grecia Classica, l’emergenza richiede competenza e, soprattutto, capacità in determinate scienze (quella della guerra per Cincinnato, le scienze dell’economia per Pisistrato), acquisibili solo attraverso un percorso formativo che ricomprenda tre parole: conoscenza, competenza (un corpus omogeneo di conoscenze) e capacità: quest’ultima (dote che sia Cincinnato sia Pisistrato evidentemente avevano) si differenzia dalla competenza per tre caratteristiche: dimostrabilità, fruibilità immediata e completezza rispetto al target. Non è possibile qui osservare con dispiacere come da diversi decenni, un po’ in tutto il mondo, ma specialmente in Italia, il sistema universitario si limita – quando va bene – a dotare l’allievo di qualche competenza, mentre la dote di capacità è fuori dalla sua portata, a dispetto di VQR basse o alte, che sono indici sghembi rispetto a questa importantissima missione per il Paese.

“Crisi” della scienza: come facilitare la comunicazione tra esperti e profani

Diversamente dai tempi antichi, noi oggi possediamo potenti strumenti di simulazione, enormi rapidità di elaborazione e financo gemelli digitali (digital twins) che consentono ai decisori – a qualsiasi livello – di complementare la loro, necessaria, conoscenza ed esperienza con i risultati di analisi complesse e confronti tra scenari diversi. La scienza continua a non essere democratica ma, oggi, può e deve essere un potente ausilio alla democrazia intesa come capacità di governare per il bene della collettività.

La Science Diplomacy

Ciò è quanto viene chiamato “Science Diplomacy” al cui riguardo la Commissione Europea scrive (link) che “Le sfide globali stanno diventando sempre più complesse, interconnesse e interdipendenti, richiedendo conoscenze specialistiche per comprendere le potenziali conseguenze dell’azione politica. Allo stesso tempo, la scienza, la tecnologia e l’innovazione sono state sia un motore sia un fattore abilitante del cambiamento globale, con la trasformazione digitale che avanza a una velocità senza precedenti. Mentre la scienza è considerata un bene pubblico, indipendente, trasparente, politicamente neutrale e salvavita, gli ultimi anni hanno anche visto l’ascesa di una narrativa populista che mette in discussione i fatti scientifici, scredita le istituzioni e proietta “verità alternative”, minando così la fiducia del pubblico nella democrazia e nel multilateralismo.” La Commissione Europea conclude che “Pertanto, l’inclusione della scienza, della tecnologia e dell’innovazione tra gli strumenti disponibili ai diplomatici non solo migliora la qualità della nostra politica, ma aiuta l’UE a perseguire i suoi valori e interessi in modo più efficace.

La non-democraticità della scienza è un bene per la persona umana

Quanto sopra rappresentato, merita di essere approfondito dal punto di vista operativo, ovvero indicando il “come” in realtà la intrinseca caratteristica di non-democraticità della scienza possa tradursi in un bene di grande valore per la persona umana, individuando un esempio pratico di valenza generale su più bacini di utenza.

I simulatori digitali di oggi sono molto potenti grazie al combinato-disposto di una proattiva interazione fra tecnologie ICT diverse quali, realtà virtuale, IA, machine learning e tante altre, e algoritmi di programmazione matematica e ottimizzazione lineare e non lineare digitale, quali quelli di Dynamic Programming e tanti altri: tecnologie e algoritmi frutti ormai pluridecennali disponibili grazie all’intelligente attività di tanti ricercatori e scienziati di queste aree. Questa preziosa convergenza si traduce nel fatto che i simulatori sono capaci di affrontare in modo efficace ed efficiente e con buon grado di probabilità di successo, le importanti questioni definite a livello internazionale come preparedness e readiness, ovvero preparazione e prontezza: i simulatori attuali – ove ben programmati dall’uomo – sono capaci di fornire scenari di interventi attuativi ove è chiaro chi fa cosa e con quale strumenti e in quale tempo in caso, per esempio, di un terremoto o di un attacco a un’infrastruttura critica.

Non va pensato peraltro che i simulatori capaci di generare scenari di preparedness e raediness siano confinati alla sfera degli eventi catastrofici. Tutt’altro. Un esempio rilevante è potere avere scenari di preparazione e prontezza per gestire questioni normali ma complesse, come la gestione di tutta la filiera dell’acqua: dalla gestione e monitoraggio degli invasi di raccolta, alla rete di distribuzione degli acquedotti e alla loro manutenzione, al monitoraggio della qualità dell’acqua stessa in agricoltura per piante e animali che vanno a chiudere poi la catena sulla salute umana. Un problema di enorme importanza e complessità che gli algoritmi e tecnologie di cui sopra possono maneggiare e per il quale tentare di offrire scenari attuativi credibili.

Va pure notato che è possibile modulare scenari di intervento diversi a seconda dell’intensità e frequenza dell’evento strategico o critico in analisi, ossia la caratteristica di flessibilità dei simulatori. La Protezione Civile Italiana dispone, in qualche misura, di questi strumenti, ma certo la conoscenza e le potenzialità di essi non è la prima preoccupazione dei decisori in Italia.

Conclusione

Ecco allora che occorre ricorrere al Cincinnato o al Pisistrato di turno, ammesso che sia possibile riuscire a reperirli ancora. Dunque, chi abbia in uggia il metodo scientifico e la intrinseca natura non democratica della scienza, getta via i suoi valori, fra i quali, non ultimo, quello di evitare il ricorso a un dittatore in carne e ossa, assai più pericoloso, in linea di principio, della scienza, perché non soggetto né al metodo scientifico di Galileo, né ad alcun modus operandi: un dittatore con potere assoluto. Qualcuno potrebbe tuttavia osservare che così facendo si rinuncia alla creatività umana, anche riguardo gli aspetti positivi, che nessuna scienza può raggiungere. Vero, ma mentre la dittatura della scienza è legata per definizione alla prossima misura che può fermare e cambiare la sua azione, la storia insegna che il modo più frequente per fermare un dittatore assoluto (Cincinnato e Pisistrato sono quasi eccezioni), può essere assai problematico e doloroso.

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