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I robot di servizio vivono (e migliorano) tra noi: le nuove frontiere

Riusciranno i robot domestici e personali ad aprire nuovi scenari della nostra vita quotidiana? Intendono rispondere a questa domanda le ricerche alla Scuola Sant’Anna che studiano lo sviluppo di soluzioni robotiche in grado d’interagire con l’uomo in condizioni di telepresenza. Il punto su mercato, ricerche e prospettive

Pubblicato il 02 Apr 2021

Antonio Frisoli

docente di robotica presso la Scuola Superiore Sant'Anna

frisoli

Il mercato dei robot di servizio continua a crescere, nonostante la pandemia (o forse grazie a essa), sia nella categoria dei robot domestici e personali, sia nella categoria dei robot di servizio professionali.

A questa categoria appartengono, ad esempio, i robot che operano nel campo della logistica e negli ambienti pubblici, nonché i robot che operano in ambito medico, agricolo, nella pulizia professionale di ambienti, nella robotica di ispezione e di manutenzione. Globalmente ci si aspetta che nel 2023 si raggiungeranno circa 55 milioni di unità di robot domestici e personali e quasi 10 volte questo numero nell’ambito dei robot professionali di servizio.

Ma quali sono le caratteristiche che possono consentire a un robot di entrare in relazione con l’uomo in modo positivo ed efficiente?

I fattori che spingono il mercato dei robot di servizio

Se ci concentriamo solo sulla dimensione della robotica di servizio per uso personale e domestico, è interessante analizzare le ragioni che hanno portato a questo aumento, e quelle che possono essere le prospettive e gli sviluppi per la nostra futura vita quotidiana.

Innanzitutto, due fattori abilitanti tecnologici principali svolgono ed hanno svolto un ruolo fondamentale: da un lato la rivoluzione della robotica collaborativa, dall’altro lato quella dell’intelligenza artificiale.

La robotica collaborativa

Ma vediamo più in dettaglio di cosa si tratta. La robotica collaborativa nasce con i robot di nuova generazione che grazie alla presenza di sensori e di intelligenza a bordo sono in grado di accorgersi della presenza dell’uomo nelle vicinanze e quindi di interagire fisicamente con l’uomo stesso. Il robot collaborativo, pertanto, non richiede più un ambiente dedicato o una barriera fisica di separazione dall’uomo, ma può condividere lo stesso spazio dell’uomo, aprendo quindi l’applicazione della robotica ad un numero infinito di scenari che vanno ben oltre il caso classico del robot industriale.

Si sono create quindi le condizioni per la cooperazione uomo-robot ed il lavoro in sicurezza, con la condivisione del medesimo spazio di lavoro. I progressi delle tecnologie di visione artificiale guidate dal settore della guida autonoma hanno consentito inoltre di dotare i nuovi robot collaborativi di basi mobili intelligenti che possono muoversi naturalmente anche in ambienti condivisi con l’uomo e sono in grado di riconoscere e prevedere anche gesti e movimenti dell’uomo, per poter operare quindi in stretta sinergia con esso.

Le tecnologie di intelligenza artificiale

Il secondo fattore abilitante tecnologico è rappresentato sicuramente dalle tecnologie di intelligenza artificiale, che consentono di raggiungere dei paradigmi di interazione naturale tra l’uomo ed il robot, dotando quest’ultimi di capacità naturali di interazione con l’uomo e con l’ambiente. Le evoluzioni delle interfacce di linguaggio naturale sono sotto gli occhi di tutti e ci hanno permesso di raggiungere delle intelligenze conversazionali sempre più di altissimo livello. E’ noto l’aneddoto che viene attribuito al professore Jun Rekimoto, un luminare dell’interazione uomo-computer dell’Università di Tokyo, quando durante la preparazione di una sua lezione si accorse di alcuni post sui social media che descrivevano dei progressi notevoli raggiunti da Google Translate basato su tecniche di intelligenza artificiale [1]. Decise pertanto di sottoporre a quest’ultimo la traduzione del “Grande Gatsby” dall’originale inglese al giapponese, per confrontarlo con due traduzioni eseguite da celebri traduttori giapponesi, la traduzione di Takashi Nozaki del 1957 e quella più recente di Haruki Murakami: e rimase appunto molto sorpreso di quanto la versione tradotta automaticamente fosse quasi indistinguibile, seppure stilisticamente “più trasparente” della prosa più distintiva dello stile “Murakami”. Le tecnologie di linguaggio naturale rappresentano sicuramente un fattore abilitante chiave e fondamentale nella robotica sociale, ed i robot sociali sono in grado di aprire una varietà innumerevoli di applicazioni nella nostra vita quotidiana.

La robotica sociale

Infatti tra gli ambiti più interessanti dove vedremo sempre più la diffusione della robotica personale è senz’altro quello della robotica sociale: in questa epoca di pandemia, dove l’isolamento è diventato il simbolo ed il paradigma con cui affrontare questa nuova malattia, i robot assistenti e di telepresenza offrono l’opportunità di oltrepassare in sicurezza questa barriera sanitaria, creando le condizioni perché un robot possa portarci dei farmaci o degli alimenti in modalità di consegna robotica, o possono rappresentare il ponte, la via di collegamento per poter interagire con parenti e familiari a distanza.

Nel momento in cui i robot entrano negli spazi della nostra vita quotidiana da un lato aprono un innumerevole varietà di applicazioni, dall’altro evidenziano aspetti fondamentali della tecnologia che devono essere curati perché siano pronti per l’interazione con l’uomo.

Trai vari robot sociali introdotti recentemente, Moxie è un robot sociale, lanciato da una start-up californiana di nome Embodied che ha raccolto nel 2018 finanziamenti per 22 milioni di dollari, creato come robot sociale progettato per i bambini, dei quali vuole aiutare a promuovere lo sviluppo sociale, emotivo e cognitivo. In particolare, è stato specificatamente pensato per il supporto alla terapia e all’assistenza dei bambini autistici dei bambini. Può infatti far discutere il suo video promozionale, in cui due genitori affidano il loro bambino a Moxie, che lo aiuta attraverso la conversazione e l’interazione sociale, a migliorare alcuni aspetti relazionali.

Tra i suoi creatori, Stefan Scherer il CTO aziendale, un grande esperto di machine learning dell’Università della California del Sud, ha infatti implementato delle caratteristiche per consentire al robot di poter adattare il suo comportamento sulla base del singolo bambino, essendo in grado di riconoscere caratteristiche facciali, creare modelli di conversazione e di adattare il suo comportamento nell’interazione [2].

L’empatia uomo-robot

Tra le caratteristiche che possono consentire a un robot di entrare in relazione con l’uomo in modo positivo ed efficiente si parla ad esempio di empatia uomo-robot, dove il termine empatia tende ad essere usato per riferirsi alla capacità di condividere i sentimenti e pensieri di altre persone e prendere la prospettiva di un’altra persona, al fine di facilitare il processo delle interazioni sociale. Una definizione più strutturata di empatia può essere fornita definendo “come la capacità di costruire una rappresentazione integrata dello stato emotivo di un’altra persona con la comprensione del meccanismo causale che produce quello stato emotivo” [3] Studi di risonanza magnetica funzionale hanno altresì dimostrato l’esistenza di meccanismi che consento agli individui empatici la capacità di dimostrare in modo inconscio l’imitazione di posture, manierismi ed espressioni facciali di altri con un grado maggiore rispetto alle persone non empatiche [4].

Aziende di intelligenza artificiale e di robotica sono in grado di realizzare assistenti robotici che aiutano gli operatori sanitari nelle attività di routine in modo che possano concentrarsi su ciò che sanno fare meglio: la cura del paziente. Come ad esempio Moxi, della Diligent Robotics, che promuove e sviluppa soluzioni robotiche per l’assistenza sanitaria. Il robot Moxi è stato appositamente disegnato e progettato per non essere minaccioso ed essere simpatico, esibendo caratteristiche sociali che gli essere umani possono afferrare e cogliere in modo intuitivo, come guardare nella direzione dei movimenti che la persona sta compiendo [5].

La capacità di prevedere le nostre azioni rappresenta difatti una forma primitiva di empatia. In un recente lavoro pubblicato dai ricercatori della Columbia University [6] emerge come sia possibile attraverso una rete neurale profonda, ovvero un’intelligenza artificiale che rispecchia un’architettura quanto più simile alla struttura del cervello umano, prevedere sulla base della semplice osservazione ripetuta di azioni compiute di un robot nel tempo, quale sarà la sua prossima azione. Quindi in questo caso una intelligenza artificiale di tipo robotico ha dimostrato di essere in grado di prevedere circa il 98.5% delle azioni di un altro agente robotico, essendo in grado di visualizzare a priori l’attività o il compito che verrà svolto in futuro. Questa capacità di previsione basata su una pura stima osservazionale rappresenta appunto una forma primitiva di empatia che ci fa riflettere su due aspetti.

In primis, la capacità di prevedere le nostre azioni può rendere un’intelligenza robotica più empatica ed in grado di coordinarsi con l’uomo nello svolgimento dei compiti svolti in modo congiunto. Questa tipologia di comportamento può essere fondamentale nei robot per l’assistenza o nei robot sociali, in cui il ruolo dell’empatia appare giocare un ruolo fondamentale. Il robot di assistenza o robot sociale deve essere infatti percepito in modo positivo e gradevole dagli umani che devono con esso interagire.

A proposito del primo aspetto è utile citare il noto fenomeno della “Uncanny Valley”, ovvero della zona o valle perturbante, introdotto dallo scienziato robotico giapponese, Masahiro Mori più di cinquant’anni fa [7], e rimasto per molti anni dimenticato. Il professor Mori studiò le possibili reazioni delle persone quanto interagiscono con robot che somigliano sempre di più nel loro aspetto fisico agli umani. Il grado di familiarità non è direttamente proporzionale, infatti, con il grado di verosimiglianza con la figura umana. Quando infatti si raggiunge un grande fenomeno di verosimiglianza con la figura umana, si nota una brusca flessione del grado di familiarità percepito con una vera e propria repulsione e sensazioni negative associate ad una figura con le sembianze di una figura robotica molto simile a quell’umana, ma percepita comunque non umana. Questo aspetto entra chiaramente in gioco tutte le volte che vengono progettati robot, ma anche automi virtuali, destinati all’interazione con l’uomo. È fondamentale in questo senso che i movimenti stessi del robot appaiano il più naturali possibili per superare l’effetto di repulsione proprio della valle di Uncanny. Uno studio recente condotto nell’ambito dei videogiochi [8], ha dimostrato come quando non è possibile raggiungere sia l’espressività sia la naturalezza delle sembianze umane, gli umani giudicano con maggiore empatia sistemi dalle sembianze artificiali non dotati di espressività, proprio perché in questo modo non si incorre del fenomeno ora citato della valle di Uncanny.

L’intelligenza artificiale e la roboetica

In secundis, possiamo riflettere – estrapolando questo concetto – su quali possano essere le conseguenze di una intelligenza robotica in grado di prevedere e comprendere le nostre azioni. Infatti, un’intelligenza robotica potrebbe nel prevenire le nostre azioni anche ostacolare un nostro comportamento, perché ritenuto ad esempio non utile o non corretto o perché stimato corrispondere ad un errore come conseguenza della nostra azione. Questo potrebbe essere ad esempio il caso di un sistema di guida autonoma che ci impedisce alla guida di compiere una manovra che corrisponde ad una infrazione del codice della strada. Ma ci sono casi in cui questo principio non si applica con facilità, si pensi al celebre dilemma del carrello ferroviario [9], che propone un esperimento mentale di natura etica. Nella sua formulazione originale, il dilemma recita: supponi di essere l’autista di un tram, il quale è capace solo di cambiare rotaia tramite deviatoio senza la possibilità di frenare, ed è diretto sul proprio binario percorso verso cinque persone legate e incapaci di muoversi. Se tra il tram e le persone legate si diparte un secondo binario parallelo, sul quale è presente invece una sola persona legata e impossibilitata a muoversi, si presenta un’alternativa per l’autista: lasciare che il tram prosegua dritto la sua corsa, uccidendo le cinque persone, oppure azionare lo scambio e ucciderne una sola. Qual è allora la scelta etica più corretta da compiere in questo caso?

Si capisce bene come gli scenari che vengono aperti da queste possibilità rendono necessario uno studio più approfondito di tipo filosofico, giuridico ed etico, proprio della roboetica come disciplina appunto, che ci consenta di individuare i confini dell’azione dell’intelligenza robotica.

Conclusioni

Tra le varie ricerche che conduciamo alla Scuola Sant’Anna nel campo della robotica, studiamo gli effetti associati alla presenza umana a distanza attraverso un avatar robotico, ovvero ci occupiamo dello sviluppo di soluzioni robotiche che possono interagire con l’uomo in condizioni di telepresenza [10]. Questo paradigma può consentire di agire a distanza in condizioni pericolose per l’uomo, come ad esempio l’intervento a distanza in uno scenario di disastro nucleare o per la disinfezione di ambienti contaminati [11].

Ci sono molto aspetti fisici della socialità che sono importanti nell’interazione che noi stabiliamo con i nostri simili. Ad esempio, nel festeggiare un evento è comune l’abitudine di fare un brindisi: ci accorgiamo di come questi aspetti sociali siano determinanti quando vengono a mancarci, così come in questo periodo di eventi rigorosamente on-line, quanto ci manca il brindisi come momento di apertura o di chiusura di eventi conviviali!

Abbiamo pertanto cercato di riprodurre attraverso un robot, la possibilità da parte di un operatore di calarsi a distanza nei panni del robot per poter interagire ad esempio a distanza attraverso il suo avatar robotico con un altro umano. I risultati sono davvero molto interessanti, e ci consentono di affermare che la diffusione delle tecnologie di comunicazione sempre più avanzate, quali il 5G ad esempio, può rendere questo paradigma già possibile oggi.

Ci aspetta quindi un futuro ricco di innumerevoli sfide tecnologiche e nuovi stimoli culturali e sociali: riusciranno i robot domestici e personali ad aprire nuovi scenari della nostra vita quotidiana?


Bibliografia

1. Lewis-Kraus, G., The Great A.I. Awakening, in The New York Time Magazine. 2016.

2. Hurst, N., et al., Social and Emotional Skills Training with Embodied Moxie. 2020.

3. Riess, H.J.J.o.p.e., The science of empathy. 2017. 4(2): p. 74-77.

4. Carr, L., et al., Neural mechanisms of empathy in humans: a relay from neural systems for imitation to limbic areas. 2003. 100(9): p. 5497-5502.

5. Pepito, J.A., et al., Intelligent humanoid robots expressing artificial humanlike empathy in nursing situations. 2020. 21(4): p. e12318.

6. Chen, B., C. Vondrick, and H.J.S.R. Lipson, Visual behavior modelling for robotic theory of mind. 2021. 11(1): p. 1-14.

7. Mori, M., et al., The uncanny valley [from the field]. 2012. 19(2): p. 98-100.

8. Sierra Rativa, A., et al., The influence of game character appearance on empathy and immersion: Virtual non-robotic versus robotic animals. 2020. 51(5): p. 685-711.

9. Jarvis Thomson, J.J.Y.L.J., The trolley problem. 1985. 94(6): p. 5.

10. Klamt, T., et al., Flexible disaster response of tomorrow: Final presentation and evaluation of the CENTAURO system. IEEE robotics automation magazine, 2019. 26(4): p. 59-72.

11. Tiseni, L., et al., UV-C Mobile Robots with Optimized Path Planning: Algorithm Design and On-Field Measurements to Improve Surface Disinfection Against SARS-CoV-2. 2021.

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