diritti digitali

Se India stacca internet: una tecnica di regime controversa



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Il progetto “Digital India” ha trasformato l’India in un paese altamente connesso, ma l’uso frequente delle interruzioni di Internet per ragioni di sicurezza interna solleva questioni sulla libertà d’informazione e sul rispetto dei diritti fondamentali

Pubblicato il 10 nov 2023

Mario Di Giulio

Professore a contratto di Law of Developing Countries, Università Campus Bio-Medico Avvocato, Partner Studio Legale Pavia e Ansaldo



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In una nazione che conta quasi 1,4 miliardi di persone, Internet è divenuto lo strumento essenziale per l’accesso ai servizi di carattere sociale prestati dal governo. Sin dal 2015, il premier Modi ha lanciato l’iniziativa “Digital India”, ovvero la creazione delle infrastrutture digitali per connettere le aree rurali e creare nuove opportunità di lavoro.

Internet shutdown e sicurezza: i dubbi sulla strategia indiana

Internet è però uno strumento che consente anche la diffusione delle informazioni che, in un Paese che presenta forti differenze etniche e religiose, può prestarsi a una distorsione delle informazioni, con il proliferare di false notizie e messaggi d’incitamento all’odio ed è, pertanto, considerato potenzialmente pericoloso quando le tensioni nascono o si acuiscono.

Di fatto, tra i paesi asiatici, l’India appare essere la nazione che fa più spesso ricorso all’interruzione dell’accesso a Internet per ragioni di sicurezza interna.

Un dato di fatto che contrasta con la dichiarata natura democratica della nazione.

Bastano pochi dati a rendere la situazione: in base a quanto riportato da Internet Freedom Foundation e Human Rights Watch, almeno 18 stati indiani (sui 28 che costituiscono la federazione, oltre a otto territori) hanno interrotto l’accesso a Internet almeno una vola nel triennio 2020-2022; le ragioni vanno dalla prevenzione o repressione di proteste (57 casi), al tentativo di impedire imbrogli in esami scolastici o concorsi pubblici (37 casi), al prevenire violenze comuni (18 casi) e altre esigenze di carattere sociale (altri 18 casi). Nei territori, che includono – tra gli altri – anche il Jammu e il Kashmir, la situazione appare anche peggiore (Fonte: Industan Times del 15 giugno 2023). Nei due territori, infatti, si contano la sospensione dell’accesso a Internet per ben 550 giorni nel periodo che va da agosto 2019 a febbraio 2021 (Fonte: Human Rights Watch).

Deve essere notato che non tutti gli stati della federazione rendono ufficiali le interruzioni né ne rendono pubbliche le motivazioni.

Le interruzioni sono operate perlopiù sulla rete della telefonia mobile, che costituisce la maggiore parte dell’infrastruttura d’accesso a Internet (circa il 96% della popolazione in base ai dati resi noti da Human Rights Watch).

Il quadro legale

La possibilità di ricorrere alle interruzioni di Internet è consentita dalla normativa indiana in tema di telecomunicazioni, che prevede quali autorità possano imporre tale interruzione a livello di governo federale o locale.

A giudizio degli osservatori, appare invece molto lasca la determinazione delle fattispecie che ne consentono l’esercizio. In effetti, da una lettura della normativa emerge che si stabilisce soltanto chi può adottare il provvedimento, senza stabilire le relative limitazioni di carattere oggettivo o temporale; le motivazioni sono genericamente fatte rientrare in ipotesi di emergenza pubblica o d’interesse di pubblica sicurezza (incluso il mantenimento della pace con nazioni amiche o per evitare l’incitamento alla commissione di violenze).

La Corte suprema è intervenuta nel 2020 con una sentenza fondamentale (Anuradha Bhasin v. Union of India e Ghulam Nabi Azad v. Union of India) stabilendo che le interruzioni di Internet sono misure drastiche, che dovrebbero essere adottate solo quando non appaiono perseguibili rimedi meno intrusivi.

Confermando l’assenza di criteri chiari nella normativa, la Corte ha anche stabilito che le autorità debbano rendere pubbliche le interruzioni, che devono essere proporzionate e limitate nel tempo.

I danni collaterali delle interruzioni

A prescindere dalla fondatezza delle motivazioni che possono condurre alla sospensione dell’accesso a Internet, le ricadute negative sono le più varie.

Non solo l’impatto sui mezzi d’informazione e l’impossibilità di conoscere le notizie, creando un limbo che può esacerbare la diffusione d’informazioni false che passano di bocca in bocca, difficili da potere essere riscontrate e quindi contrastate, rendendo il rimedio peggiore del male, ma anche danni al processo educativo, privando di fatto gli studenti della possibilità di accedere a libri di testo e, altresì, danni alle varie imprese che si basano su sistemi digitali. Non ultimo, poi, l’impatto sui sistemi di pagamento ampiamenti digitalizzati ai più vari livelli.

Senza volere considerare che sempre più l’accesso ai servizi assistenziali è legato a Internet. Fra i tanti, basta citare NREGA (Mahatma Gandhi National Rural Employment Guarantee Act) che assicura forme d’impiego per almeno 100 giorni l’anno nell’India rurale: il governo indiano, a partire da quest’anno, chiede quale presupposto per il pagamento del sussidio la geolocalizzazione dei lavoratori; va da sé che l’interruzione di Internet rende impossibile il controllo e quindi l’erogazione delle retribuzioni (Fonte: Human Rights Watch).

Un altro esempio rende evidente l’impatto delle interruzioni: lo shutdown in Kashmir, in base alla Camera di commercio locale avrebbe provocato la perdita di 500.000 posti di lavoro.

Altri paesi nel mondo che ricorrono all’interruzione di internet

L’India non è la sola nazione a fare ricorso alla sospensione dell’accesso a Internet quale strumento di pubblica sicurezza.

Rimanendo in Asia, numerose sono le nazioni che vi fanno ricorso, a partire da quelle più scontate quali Cina e Myanmar, ma anche Cambogia, Bangladesh, Filippine e Sri Lanka tra le altre.

Cambiando continente, in Africa paesi quali La Repubblica del Congo, il Niger, l’Uganda e lo Zambia vi hanno fatto ricorso negli ultimi due anni (Fonte: Carnegie Endowment for international Peace, How Africans can preparare for Internet shutdowns del 25 aprile 2023).

Abbiamo però anche esempi positivi, quali il Kenya, che si è guardato dal farvi ricorso durante le elezioni tenutesi nel 2022 sebbene vi fossero forti tensioni che avrebbero potuto giustificarlo. Il Kenya è tra l’altro tra i pochi stati africani (con Capo Verde, Niger e Senegal) che hanno firmato la “Dichiarazione per il Futuro d’Internet”, sostenuta dagli Stati Uniti e volta a ostacolare gli autoritarismi digitali, che ha raccolto la sottoscrizione da almeno sessanta stati (Fonte: The East African del 29 aprile 2022).

Per ironia della sorte, è opportuno sottolineare che la sottoscrizione della dichiarazione non ha comunque escluso il Niger tra gli stati che hanno fatto ricorso alle interruzioni secondo il summenzionato report della Carnegie Endowment for International Peace.

Conclusioni

L’equilibrio tra rispetto delle libertà fondamentali e la tutela della sicurezza pubblica non è sempre semplice da raggiungere, basti pensare a quante voci si sono sollevate in Occidente quando sono state prese misure restrittive durante l’epidemia di Covid-19, che ancora non si sono sopite. Nei paesi nei quali inoltre vi sono spesso tensioni interne che possono sfociare facilmente in atti di violenza collettiva, il contemperamento dei diversi interessi può essere ancora più difficoltoso.

Rimane il fatto che in un sistema democratico, l’interruzione dell’accesso all’informazione dovrebbe essere davvero un ultimo rimedio e adottato nei limiti imposti dalla legge: in India, purtroppo, la legge appare troppo lasca nelle sue previsioni e spesso le indicazioni date dalla Corte suprema non risultano rispettate, violando non solo libertà fondamentali quali il diritto a comunicare e informarsi, ma anche provocando un grave pregiudizio su ampie fasce della popolazione, sia in termini economici che di accesso ai servizi di carattere sociale ed educativo.

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