La Commissione europea[1] ha ufficialmente presentato, in occasione del relazione annuale sullo stato dell’Unione, la proposta di regolamento recante norme volte ad istituire un quadro comune per i media nel mercato interno (“European Media Freedom Act”), ulteriormente integrata dall’adozione di una Raccomandazione complementare (non vincolante) che, alla stregua di un catalogo generale ricognitivo delle migliori pratiche, mira ad incentivare la spontanea adozione di misure volontarie sulla base di un diretto coinvolgimento dei giornalisti nell’ambito della strategia di cooperazione partecipativa definita dal “pacchetto anti-SLAPP” al fine di rafforzare l’indipendenza editoriale.
L’importanza dei media per la ripresa sostenibile e la stabilità politica
Giova in primo luogo precisare che, come si evince dal preambolo introduttivo alla formulazione testuale delle disposizioni legislative, il settore dei media costituisce uno dei 14 fondamentali ecosistemi delle industrie culturali e creative da cui dipende non solo la ripresa socio-economica sostenibile e inclusiva ma anche la stabilità politica e civile dell’Unione europea grazie al funzionamento dei mezzi di informazione che rappresentano fonti affidabili per i cittadini e per le imprese, garantendo l’indipendenza dei media come imprescindibile presupposto di uguaglianza nell’esercizio dei diritti fondamentali.
Per tale ragione, l’Unione europea è intervenuta in materia al fine di superare le criticità esistenti che, a fronte di una “insufficiente convergenza normativa”, ostacolano il funzionamento del mercato interno dei servizi di media, a maggior ragione rispetto al flusso comunicativo telematico, considerato che “nello spazio dei media digitali […] le piattaforme online globali fungono da gateway per i contenuti multimediali, con modelli di business che tendono a disintermediare l’accesso ai servizi multimediali e ad amplificare i contenuti polarizzanti e la disinformazione. Queste piattaforme sono anche fornitori essenziali di pubblicità online, che ha dirottato risorse finanziarie dal settore dei media, incidendo sulla sua sostenibilità finanziaria e, di conseguenza, sulla diversità dei contenuti offerti” (cfr. Considerando n. 3, cit.).
I 4 obiettivi del Media Freedom Act
L’art. 2 della proposta di regolamento positivizza una nozione generale di “servizio di media” che comprende qualsiasi attività consistente nel “fornire programmi o pubblicazioni di carattere giornalistico al pubblico, con qualsiasi mezzo, al fine di informare, intrattenere o educare, sotto la responsabilità editoriale di un fornitore di servizi di media”.
Il Media Freedom Act enuncia 4 specifici obiettivi:
- Promuovere l’attività e gli investimenti transfrontalieri nel mercato interno dei media;
- Aumentare la cooperazione normativa e la convergenza nel mercato interno dei media;
- Facilitare la fornitura gratuita di servizi di media di qualità nel mercato interno;
- Garantire un’allocazione trasparente ed equa delle risorse economiche nel mercato interno dei media.
Ridurre l’eccessiva frammentazione normativa
Perseguendo tali obiettivi prioritari, da cui si evince, come “ratio” applicativa del prospettato intervento, la necessità di promuovere la partecipazione democratica, combattere la disinformazione e sostenere la libertà dei media, secondo quanto enunciato nel cd. “European Democracy Action Plan”, il Media Freedom Act recepisce il contenuto del “Rule of law Report 2022” e prevede la revisione della Direttiva sui servizi di media audiovisivi (Direttiva 2010/13/UE) giustificata dall’esigenza di ridurre l’eccessiva frammentazione normativa esistente in materia, mediante l’emanazione di una normativa cogente, vincolante ed omogenea che consenta di conformare le legislazioni nazionali vigenti alla nuova disciplina europea nel rispetto del principio di certezza del diritto. Al riguardo, infatti, si segnala che “la tutela delle fonti giornalistiche è attualmente disciplinata in modo eterogeneo negli Stati membri. Alcuni Stati membri forniscono una protezione assoluta contro la costrizione dei giornalisti a divulgare informazioni che identificano la loro fonte nei procedimenti penali e amministrativi. Altri Stati membri forniscono una protezione qualificata limitata ai procedimenti giudiziari basati su determinate accuse penali, mentre altri forniscono protezione nella forma di un principio generale. Ciò porta alla frammentazione del mercato interno dei media. Di conseguenza, i giornalisti, che lavorano sempre più su progetti transfrontalieri e forniscono i loro servizi a un pubblico transfrontaliero e, per estensione, fornitori di servizi di media, rischiano di incontrare ostacoli, incertezza giuridica e condizioni di concorrenza diseguali. Pertanto, la protezione delle fonti giornalistiche e delle comunicazioni necessita di un’armonizzazione e di un ulteriore rafforzamento a livello di Unione” (cfr. Considerando n. 17, cit.).
Garantire il pluralismo informativo
Con l’intento di garantire il pluralismo informativo e prendendo atto del rilevante ruolo dei media all’interno dei sistemi politici democratici grazie alla funzione di controllo che il giornalismo svolge, come “cane da guardia” del potere, a presidio della libertà di opinione (secondo i tratti del cd. “watchdog journalism”), alla luce delle minacce rilevate attraverso il “Media Pluralism Monitor”, il legislatore europeo intende evitare il rischio di indebite ingerenze politiche che, unitamente al pericolo di insidiose forme di sorveglianza in grado di controllare occultamente i giornalisti per effetto di sofisticati “spyware”, possono – anche indirettamente – compromettere l’imparziale flusso informativo veicolato alla collettività degli utenti, a causa del ricorso a ingenti e stabili finanziamenti pubblici erogati dalle autorità statali con l’intento di imporre la diffusione di contenuti propagandistici “a senso unico” destinati a influenzare il dibattito sociale.
Per fonti di finanziamento riconducibili a forme di pubblicità statale si intendono in senso lato tutte le “attività promozionale o di autopromozione intraprese da, per o per conto di un’ampia gamma di autorità o enti pubblici, inclusi governi, autorità o organismi di regolamentazione, nonché imprese statali o altri enti controllati in diversi settori, a livello nazionale o regionale, o enti locali di enti territoriali con più di 1 milione di abitanti”, ad eccezione dei “messaggi di emergenza necessari, ad esempio, in caso di disastri naturali o sanitari , incidenti o altri incidenti improvvisi che possono causare danni alle persone” (cfr. Considerando n. 10, cit.).
A tenore dell’art. 24, qualora si intenda procedere all’erogazione di finanziamenti statali a sostegno delle attività editoriali, “i fondi pubblici o qualsiasi altro corrispettivo o vantaggio concesso dalle autorità pubbliche ai fornitori di servizi di media a fini pubblicitari sono assegnati secondo criteri trasparenti, obiettivi, proporzionati e non discriminatori e mediante procedure aperte, proporzionate e non discriminatorie”.
Requisiti per l’efficiente allocazione delle risorse pubblicitarie statali
In combinato disposto con il Digital Services Act (DSA) e il Digital Markets Act (DMA), il Media Freedom Act detta specifici requisiti per l’efficiente allocazione delle risorse pubblicitarie statali destinate ai media secondo standard trasparenti e non discriminatori per favorire lo sviluppo di un ecosistema equo, sostenibile e pro-concorrenziale sull’assunto che, a causa di un possibile impatto distorsivo delle fonti di finanziamento, i media di servizio pubblico possono essere esposti al rischio di interferenze esterne che dunque giustificano la necessità di concrete garanzie a tutela della libertà di stampa anche contro la rimozione ingiustificata dei contenuti veicolati online.
Il Media Freedom Act introduce un “diritto di personalizzazione dell’offerta multimediale” (art. 19), applicabile, in via esemplificativa, a collegamenti hardware (es. telecomandi) e software, consentendo così agli utenti di modificare su dispositivi e interfacce (come le TV connesse) le impostazioni predefinite in base alle proprie preferenze mediante la diretta gestione dei servizi audiovisivi offerti.
Facendo riferimento alla legge sui mercati digitali il Media Freedom Act stabilisce la “misurazione dell’audience” (art. 24) come obbligatorio sistema di calcolo dei prezzi pubblicitari funzionale a garantire l’efficiente allocazione dei ricavi tra i fornitori di servizi multimediali, anche mediante la spontanea elaborazione di appositi codici di condotta per promuovere la trasparenza, l’inclusività e la non discriminazione.
La costituzione del Consiglio europeo indipendente per i servizi di media
La disciplina predisposta in sede di Media Freedom Act prevede la costituzione del “Consiglio europeo indipendente per i servizi di media” (“Comitato” – “European Board for Media Services”) ex artt. 8 e ss. (composto dalle autorità nazionali di regolamentazione di cui all’articolo 30 della direttiva 2010/13/UE). Il nuovo organo, destinato a sostituire il gruppo dei regolatori europei per i servizi di media audiovisivi (ERGA) (istituito ai sensi della direttiva sui servizi di media audiovisivi) sarà preposto a promuovere l’applicazione efficace e coerente del quadro normativo dell’UE in materia (ivi compresa l’adozione di iniziative di “soft-law”, sulla falsariga del cd. “strengthened Code of Practice on Disinformation”), assistendo la Commissione europea nella costante elaborazione di orientamenti interpretativi, con il compito, tra l’altro, di salvaguardare l’indipedenza degli editori nel rispetto di adeguate canoni di trasparenza sulla proprietà dei media, anche nell’ottica di prevenire il radicarsi di concentrazioni restrittive della libertà di informazione, nonché l’emergere di conflitti di interesse suscettibili di pregiudicare il corretto funzionamento del settore. Il Consiglio fornirà consulenza su aspetti normativi, tecnici o pratici della regolamentazione dei media, formulerà pareri sulle misure nazionali e sulle concentrazioni che possono incidere sul funzionamento del mercato interno dei servizi di media e faciliterà la cooperazione nello scambio efficace di informazioni, esperienze e migliori pratiche tra le autorità nazionali, svolgendo un ruolo specifico nella lotta alla disinformazione.
Si prevede inoltre, a tenore dell’art. 18, che il “Consiglio europeo indipendente per i servizi di media” proceda all’organizzazione del “dialogo strutturato” (i cui risultati saranno periodicamente riferiti alla Commissione europea) secondo un approccio multistakeholder di confronto partecipativo “tra i fornitori di piattaforme online di grandi dimensioni, i rappresentanti dei fornitori di servizi di media e i rappresentanti della società civile per discutere l’esperienza e le migliori pratiche […] per favorire l’accesso a diverse offerte di servizi indipendenti media su piattaforme online molto grandi e per monitorare l’adesione alle iniziative di autoregolamentazione volte a proteggere la società da contenuti dannosi, compresa la disinformazione e la manipolazione e interferenza di informazioni estranee”.
La concreta implementazione della citata normativa, non appena si concluderà l’iter istituzionale della procedura prevista per la sua definitiva approvazione, richiederà in ogni caso l’intervento diretto degli Stati membri che, rispetto alla vincolante cornice normativa prescritta dal legislatore europeo (mediante lo strumento cogente del regolamento), sono tenuti (ex art. 21 della proposta di regolamento) a valutare periodicamente l’impatto delle concentrazioni del mercato dei media sul pluralismo informativo e sull’indipendenza editoriale, effettuando all’uopo uno specifico test di proporzionalità funzionale a verificare la legittimità di qualsivoglia restrittiva misura legislativa, regolamentare o amministrativa eventualmente incidente in materia.
Un percorso ancora ai primi passi
Alla luce delle finalità enunciate, è innegabile che, in termini di efficacia giuridica, la forma di regolamento che il Media Freedom Act assume lo rende uno strumento cogente direttamente applicabile negli Stati membri con effetti obbligatori e vincolanti astrattamente in grado di introdurre una normativa omogenea e uniforme in tutta l’Unione europea. Tuttavia (a differenza della raccomandazione complementare immediatamente utilizzabile dagli operatori come flessibile strumento di soft-law), il complesso e prolungato iter procedurale ordinario previsto per la formale e definitiva approvazione del testo legislativo ufficiale – oggi soltanto appena avviato e quindi ancora in una fase embrionale di iniziale discussione istituzionale (la cui concreta operatività sarà comunque posticipata a decorrere da 6 mesi dopo la sua entrata in vigore per espressa previsione dell’art. 28) – potrebbe di fatto rallentare o peggio ancora vanificare i buoni propositi formalizzati (sempre sulla carta) dal legislatore europeo.
In altre parole, al pari di quanto sta già accadendo in altri settori strategici dell’ecosistema digitale europeo (emblematiche in tal senso le dinamiche sul preoccupante ritardo riscontrabile nella tardiva adozione della legge sull’Intelligenza Artificiale), sembra delinearsi in via sistematica un generale processo di revisione legislativa tecnicamente orientato a introdurre una regolamentazione “pesante”, da cui però discende la tendenza a “fare il passo del gambero” (metodologicamente incompatibile con i tempi celeri dell’evoluzione tecnologica) come rilevante criticità ostativa alla rapida applicazione delle nuove norme da introdurre per garantire un adeguato e coerente livello di uniformazione applicativa in tutta l’Ue.
Note
- Nell’esercizio del suo potere di iniziativa legislativa ex art. 17, par. 2 TUE, il 16 settembre 2022 ↑