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Open source: la PA non è costretta ad avere una licenza Microsoft Office



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Sono molte le direttive (italiane ed europee), le linee guida e le normative che richiedono alla Pubblica Amministrazione di adottare software libero, a cominciare dal CAD. Molte PA, però, sono convinte che sia obbligatorio avere una licenza Microsoft Office

Pubblicato il 24 ott 2023

Flavia Marzano

Digital Transformation Consultant



Infrastruttura di comunicazione: un approccio open source

La PA non è obbligata ad avere una licenza Microsoft Office e non perché lo dice la comunità dell’open source o qualche pasdaran del software libero ma perché lo dice la normativa europea, nazionale e a dire il vero anche di molte regioni italiane.

Direttive, norme e linee guida per l’open source nella PA

Iniziamo con un breve riassunto su direttive (italiane ed europee), linee guida e normative che richiedono alla Pubblica Amministrazione di adottare software libero.

Il 6 settembre 2021 la Commissione Europea pubblica uno studio relativo all’impatto del software “open source” sull’economia europea dove si legge: “La Commissione ha pubblicato oggi i risultati di uno studio che analizza l’impatto economico del software e dell’hardware “open source” sull’economia europea. Si stima che nel 2018 le imprese con sede nell’UE abbiano investito circa 1 miliardo di € in software “open source”, con un impatto positivo sull’economia europea compreso tra 65 e 95 miliardi di €.

Lo studio prevede che un aumento del 10% dei contributi al software “open source” genererebbe ogni anno un aumento del PIL compreso tra lo 0,4% e lo 0,6% e permetterebbe la nascita di oltre 600 nuove start-up nel settore delle ICT nell’UE.

Gli studi di casi rivelano che, acquistando software con codice sorgente aperto anziché software proprietario, il settore pubblico potrebbe ridurre il costo totale della proprietà, evitare effetti di dipendenza dal fornitore (“vendor lock-in”) e di conseguenza rafforzare la propria autonomia digitale. Lo studio formula una serie di raccomandazioni specifiche di politica pubblica per fare sì che il settore pubblico diventi autonomo sotto il profilo digitale, la ricerca e l’innovazione abbiano carattere aperto e favoriscano la crescita europea e l’industria sia digitalizzata e competitiva a livello interno. A lungo termine, i risultati dello studio potrebbero essere utilizzati per rafforzare la dimensione “open source” nello sviluppo di future politiche in materia di software e hardware per l’industria dell’UE.”

La strategia Ue per il software open source 2020-2023

In realtà già a ottobre 2020 la Commissione Europea aveva approvato la nuova “Strategia per il Software Open Source 2020-2023” i cui obiettivi principali erano di consentire alla Commissione progressi verso l’autonomia digitale e:

  • Attuare la strategia digitale della Commissione europea;
  • Incoraggiare la condivisione e il riutilizzo di software e applicazioni, nonché di dati, informazioni e conoscenze;
  • Contribuire alla società della conoscenza condividendo il codice sorgente della Commissione;
  • Costruire un servizio pubblico di livello mondiale;

L’attuazione della strategia sarà guidata da 6 principi: pensare aperto, trasformare, condividere, contribuire, proteggere, mantenere il controllo.

In pratica, la Commissione mira a rafforzare una cultura lavorativa interna che è già in gran parte basata sui principi dell’open source e a raggiungere gli obiettivi della strategia attraverso le seguenti azioni concrete:

  • Istituire un ufficio per i programmi Open Source presso la Commissione;
  • Impostare e promuovere l’impostazione predefinita della sorgente interna;
  • Migliorare il repository del software;
  • Revisionare le pratiche di distribuzione del software;
  • Abilitare e creare innovazione con laboratori open source;
  • Sviluppare competenze e competenze nel reclutamento;
  • Aumentare la sensibilizzazione alle comunità;
  • Integrare l’open source nella governance IT interna;
  • Garantire la sicurezza dell’OSS;
  • Incoraggiare e promuovere la fonte interiore.

La strategia think open

La strategia interna, sotto il tema “Think Open“, definisce una visione per incoraggiare e sfruttare il potere trasformativo, innovativo e collaborativo dell’open source, dei suoi principi e delle pratiche di sviluppo. Promuove la condivisione e il riutilizzo di soluzioni software, conoscenze e competenze, per fornire servizi europei migliori che avvantaggiano la società e riducono i costi per la società. La Commissione si impegna ad aumentare l’uso dell’open source non solo in settori pratici come l’IT, ma anche in ambiti in cui può essere strategico.

D’altronde si partiva dalla Strategia per il software open source 2014-2017 i cui obiettivi specifici erano:

  • Parità di trattamento negli appalti
  • Contributo alle comunità
  • Chiarimento degli aspetti giuridici
  • Software open source e interoperabile sviluppato dalla Commissione
  • Trasparenza e migliore comunicazione
  • Parità di trattamento negli appalti

Cosa dice il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD)

Questi dati e queste raccomandazioni sarebbero già sufficienti per capire con estrema chiarezza l’importanza dell’adozione del software open source da parte della Pubblica Amministrazione ma in realtà sarebbe già sufficiente la normativa italiana, la ricordiamo per chi avesse la memoria corta: il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) che all’articolo 68, Analisi comparativa delle soluzioni, recita:

1. Le pubbliche amministrazioni acquisiscono programmi informatici o parti di essi nel rispetto dei principi di economicità e di efficienza, tutela degli investimenti, riuso e neutralità tecnologica, a seguito di una valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico tra le seguenti soluzioni disponibili sul mercato:

a) software sviluppato per conto della pubblica amministrazione;

b) riutilizzo di software o parti di esso sviluppati per conto della pubblica amministrazione;

c) software libero o a codice sorgente aperto;

d) software fruibile in modalità cloud computing;

e) software di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso;

f) software combinazione delle precedenti soluzioni.

1-bis. A tal fine, le pubbliche amministrazioni prima di procedere all’acquisto, secondo le procedure di cui al codice di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016, effettuano una valutazione comparativa delle diverse soluzioni disponibili sulla base dei seguenti criteri:

a) implementazione, di mantenimento e supporto;

b) livello di utilizzo di formati di dati e di interfacce di tipo aperto nonché di standard in grado di assicurare l’interoperabilità e la cooperazione applicativa tra i diversi sistemi informatici della pubblica amministrazione;

c) garanzie del fornitore in materia di livelli di sicurezza, conformità alla normativa in materia di protezione dei dati personali, livelli di servizio tenuto conto della tipologia di software acquisito.

1-ter. Ove dalla valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico, secondo i criteri di cui al comma 1-bis, risulti motivatamente l’impossibilità di accedere a soluzioni già disponibili all’interno della pubblica amministrazione, o a software liberi o a codici sorgente aperto, adeguati alle esigenze da soddisfare, è consentita l’acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso. La valutazione di cui al presente comma è effettuata secondo le modalità e i criteri definiti dall’AgID.

E a proposito di AgID segnaliamo anche il documento “Formati di file e riversamento” che fornisce indicazioni sui formati dei file con cui vengono rappresentati i documenti informatici, formati che sono stati scelti tra quelli che possono maggiormente garantire il principio dell’interoperabilità tra i sistemi di gestione documentale e conservazione e in base alla normativa vigente riguardante specifiche tipologie di documenti. In questo documento vengono ad esempio definiti i formati della suite open source degli applicativi da ufficio LibreOffice.

Conclusioni

E qui arriviamo al punto.

Un dipendente pubblico il cui ente, da anni, seguendo le linee guida AgID, ha abbandonato il software MicrosoftOffice e adottato la soluzione alternativa LibreOffice, ci scrive dicendo che un ente, che si occupa di erogazione a fondo perduto per progettualità a enti di varia natura fra i quali le Pubbliche Amministrazioni, mette a disposizione un file in formato Excel e soprattutto a e-mail in cui comunicano di non disporre di suite Office a pagamento ma di LibreOffice, risponde quanto segue: “la informo che l’uso di programmi alternativi non è consentito in quanto non gestiscono correttamente le macro presenti nel template”.

Allora domandiamo: queste macro hanno funzioni essenziali alla comunicazione dei dati che l’ente deve fare attraverso il foglio di calcolo? Se no, si possono disattivare, se sì, si potrebbe pensare a una soluzione più universalmente compatibile, accessibile e strutturata creando una piccola web application.

In realtà LibreOffice non è un “programma alternativo” e una Pubblica Amministrazione non può essere costretta ad acquistare software a pagamento per poter partecipare a un bando dedicato proprio alle PA, ma soprattutto le misure minime di sicurezza ICT per le pubbliche amministrazioni dell’Agenzia per l’Italia digitale indicano di bloccarne l’esecuzione automaticamente e lo stesso MSOffice le blocca di default se la fonte è “non attendibile”.

La risposta alla domanda di parere ha alcune risposte: mandate loro questo articolo e se insistono, segnalateli all’AgID, ma soprattutto proponiamo di migliorare la normativa e il rapporto della Pubblica Amministrazione con l’open source ad esempio migliorando l’offerta formativa per i dipendenti pubblici includendo in DigComp e nel Syllabus un percorso specifico sull’open source sui tre livelli (base, intermedio e avanzato) per garantire quanto richiesto dalla normativa citata.

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