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Pa digitale, Coppola: ”Che c’è da fare nel 2018 (per evitare il flop)”

I consigli sul 2018 da parte della Commissione parlamentare d’inchiesta. Focus necessario sulle competenze, nella speranza che passi un emendamento per un nuovo piano di assunzioni. Il bilancio 2017 rileva che è questa la carenza peggiore. Bene invece l’impegno dell’Italia su piano BUL e infrastrutture.

Pubblicato il 19 Dic 2017

Paolo Coppola

Professore associato di informatica, Università di Udine, consulente Governo per progetti di digitalizzazione della PA

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L’informatica nasce in campo militare e accademico, ma da quando ha lasciato quei due contesti iniziali per diffondersi in quasi tutti gli ambiti di attività umana, gli informatici hanno cercato di renderla facile, per poterla rendere accessibile. Qualche volta ci sono riusciti, molte altre volte no, ma il processo è continuo e le macchine vengono istruite in continuazione, tramite comandi o apprendimento, per eseguire compiti sempre più complessi, affiancando e talvolta sostituendo gli uomini, fornendo loro strumenti sempre più potenti e sempre più facili.

La complessità di questi strumenti, però, è cresciuta ed è un grave errore scambiare la facilità dell’utilizzo con la semplicità dello strumento.

Il mondo del digitale diventa, o dovrebbe diventare, sempre più facile, ma non è semplice. Anzi!

Il nostro Paese, lo sappiamo, sconta una grave carenza di competenze digitali. Non è l’unica carenza culturale, purtroppo, ma quella digitale sta assumendo un’importanza e un’urgenza sempre maggiore a causa dell’accelerazione che la tecnologia impone al mondo. Esistono vari aneddoti sulla crescita esponenziale della potenza di calcolo e sul fatto che ormai stiamo per entrare nella “seconda metà della scacchiera”[1] e, per quanto si possa essere scettici, sicuramente bisogna ammettere che già le tecnologie attuali possono, se sfruttate nel modo corretto, portare grandi benefici: quindi è assurdo non agire nella direzione di una maggiore digitalizzazione.

La Camera dei Deputati ha istituito nel 2016 una Commissione parlamentare d’inchiesta con il compito di capire i motivi delle scarse performance digitali della nostra Pubblica Amministrazione. Dopo più di un anno di lavoro sono emerse con forza alcune criticità che vanno risolte velocemente.

La prima è sicuramente quella delle competenze.

La trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione non si può fare senza le giuste competenze nei livelli apicali della macchina amministrativa. La legge, così come modificata in questa legislatura, lo prevede con estrema chiarezza: “Il responsabile dell’ufficio (a cui è affidata la transizione alla modalità operativa digitale e i conseguenti processi di riorganizzazione finalizzati alla realizzazione di un’amministrazione digitale e aperta, di servizi facilmente utilizzabili e di qualità, attraverso una maggiore efficienza ed economicità) è dotato di adeguate competenze tecnologiche, di informatica giuridica e manageriali”. Purtroppo dai lavori della Commissione d’inchiesta risulta evidente che le amministrazioni non hanno rispettato questa norma. Il danno è enorme, perché vertici amministrativi (e politici) che non comprendono l’importanza e il portato della trasformazione digitale spendono male e non raggiungono risultati di miglioramento.

L’incompetenza digitale porta larghe fasce di alta dirigenza pubblica a continuare a considerare il digitale come un servizio accessorio che permette di velocizzare l’attività e di risparmiare qualche soldo. Un pizzico di polvere “magica” da aggiungere all’esistente. Una visione vecchia di almeno un quarto di secolo e risalente, probabilmente, a quando hanno iniziato la loro carriera e, forse, all’ultima volta in cui si sono interessati dei progressi della tecnologia. Dall’incompetenza non ci si salva nemmeno facendo ricorso al mercato, perché non sapendo cosa chiedere, non avendo gli strumenti per capire se quello che viene fornito sia o meno allo stato dell’arte e se valga o meno il denaro speso, si sprecano risorse e non si ottengono risultati. L’incompetenza della committenza pubblica è un danno anche al sistema delle imprese, perché porta tutto al ribasso.

Quale multinazionale destinerà i suoi migliori esperti al mercato della PA italiana se gli interlocutori non sono in grado né di capire, né di pretendere? Come è possibile usare la leva della spesa pubblica come strumento di politica industriale che alzi l’asticella e spinga le imprese a migliorarsi, se la committenza non sa cosa chiedere e si limita a comprare pacchetti di ore uomo pagati al massimo ribasso?

Le pubbliche amministrazioni dovevano, molti anni fa, rendersi conto che nella società della conoscenza occorreva attrezzarsi prima possibile con il capitale umano più adeguato. Andava fatto un piano di assunzioni che immettesse personale con le competenze giuste nei livelli apicali e andava fatto un serio piano di formazione per tutto il personale. Non averlo messo in opera è una grave responsabilità politica. Mentre scrivo è in discussione un emendamento alla Legge di bilancio 2018 che cerca di correggere quell’errore politico, proponendo uno stanziamento di 50 milioni di euro a supporto dell’assunzione di dirigenti per la trasformazione digitale della PA e spero sinceramente che questa volta non si perda l’occasione.

L’incompetenza dei vertici non è solo un “tappo” per i competenti che si trovano nei livelli più bassi, ma è anche un freno alla vera trasformazione della PA, quella necessaria per ottenere pienamente i benefici che derivano dall’uso delle tecnologie digitali. Nel 2018 dobbiamo prendere di petto la sfida della trasformazione. Il piano banda ultra larga sta finalmente correggendo un altro errore politico e strategico che l’Italia ha compiuto anni fa quando ha scelto di non dotarsi di un’infrastruttura capillare per la tv via cavo. Quella scelta ha condannato il nostro Paese a trovarsi impreparato per il passaggio alla banda ultra larga come invece hanno fatto molti altri paesi europei che quell’infrastruttura l’hanno costruita e sfruttata per portare connettività ad alta velocità. Un errore politico e strategico che ha rallentato lo sviluppo del nostro Paese in un momento storico in cui gli studi dimostravano che all’aumentare della penetrazione della banda larga, aumentavano PIL e posti di lavoro. Ora, finalmente, con il piano strategico BUL, a quell’errore politico si sta rimediando e nel 2018 il piano va portato avanti con decisione; come pure si deve continuare nella realizzazione delle infrastrutture immateriali e le altre azioni del piano triennale per l’informatica della Pubblica Amministrazione.

In un anno di lavoro della Commissione d’inchiesta abbiamo capito quanto sia importante, e, purtroppo, raro, che la PA programmi le proprie azioni, definendo tempistiche e indicatori di risultato. Il piano triennale va mantenuto e migliorato, recepito nei piani delle performance delle PA, monitorato dal Governo e dai cittadini, anche grazie al nuovo Portale delle Performance previsto dall’art. 60 del dlgs 179/2016.

Le parole chiave del 2018 saranno “collaborazione” e “trasformazione”. La complessità della sfida richiede la massima collaborazione, con le istituzioni, col mercato, con le associazioni, con i cittadini, evitando di lasciare indietro qualcuno, perché il nostro Paese ha bisogno di un passo avanti in tutti i settori. “Sortirne tutti insieme è Politica” diceva Don Milani e, fortunatamente, le tecnologie rendono sempre più semplice collaborare, purché ci sia la volontà, questo rimane inteso.

La sfida più grande che vedo è, però, quella del cambiamento, perché la corretta digitalizzazione deve intervenire sulle organizzazioni, sulle gerarchie, sul potere, sulle abitudini. Trasformazione digitale vuol dire anche avere attenzione alle paure delle persone che devono essere accompagnate nel cambiamento, perché chi è stato bravo ad eseguire un compito per 10 o 20 anni ha il diritto di non sentirsi “inutile”, perché ora quel compito lo esegue in modo più efficiente una macchina. Chi ha servito lo Stato per anni ha il diritto di vedere riconosciuto il proprio valore che non si esaurisce nei compiti che ha imparato a svolgere, ma nella sua capacità di poter contribuire al benessere collettivo. Per fare questo serve una trasformazione digitale che metta l’uomo al centro, che non si limiti ad acquistare tecnologia, ma si occupi del patrimonio più grande che abbiamo: il capitale umano.
E poi trasformazione digitale significa, soprattutto, lotta alla corruzione. Una corretta digitalizzazione dei processi li rende trasparenti e non ambigui e forse questo è stato e sarà l’ostacolo più grande che dovremo affrontare nel 2018. Chi vuole una PA inefficiente, che permette la corruzione, il privilegio, l’interesse personale a discapito della collettività, non può far altro che contrastare in ogni modo la corretta digitalizzazione, rallentandola, mantenendo il più a lungo possibile i “doppi binari” analogico/digitale e rimandando lo switch-off, sfruttando l’incompetenza per digitalizzare male, alimentando la scarsa cultura digitale e la diffidenza nei confronti delle tecnologie.

La sfida della trasformazione digitale ha quindi come primo nemico la corruzione e sarà bene tenerlo a mente in questo nuovo anno che sta per arrivare. Servono persone oneste e competenti e fortunatamente il nostro Paese non ne ha meno degli altri!

[1]  Erik Brynjolfsson, Andrew McAfee “La nuova rivoluzione delle macchine”. Feltrinelli

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