giurisprudenza e tecnologie

Perché all’AI va negata la tutela tramite diritto d’autore e brevetto



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La concessione o meno di una protezione di diritto esclusivo ai risultati dell’AI è un problema che oltrepassa le questioni legate all’interpretazione letterale delle norme vigenti e concerne il diritto che riguarda il futuro dell’innovazione. Esaminiamo la case law internazionale più recente e la ratio profonda del rifiuto

Pubblicato il 13 set 2023

Simona Lavagnini

avvocato, partner LGV Avvocati



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Ultimamente, in molte giurisdizioni non si fa che parlare di casi (amministrativi o giudiziari) concernenti la (non) proteggibilità dei risultati dell’AI tramite i diritti esclusivi conferiti dal diritto d’autore o dal brevetto.

Da ultimo sono intervenute, quasi contemporaneamente ai capi opposti del nostro pianeta, la Seoul Administrative Court, con la decisione del 30 giugno 2023, relativa ad una domanda di brevetto per “food container” realizzata tramite l’AI del Dr. Thaler, e la United States District Court for the District of Columbia, con la nota decisione del 18 agosto 2023 relativa alle “opere dell’ingegno” realizzate dalla cd. “Creativity Machine”, sempre del Dr. Thaler. In entrambi i casi le Corti hanno negato la protezione.

Peraltro, già nel 2021 e nel 2022 si erano avute diverse decisioni sul tema, da parte di altre Corti in altre giurisdizioni, tutte negative con riguardo alla protezione. Fra queste si possono ricordare la decisione dell’EPO (European Patent Office di Monaco) del 21 dicembre 2021, nonché la sentenza della Federal Court of Australia del 13 aprile 2022.

La ratio delle ultime sentenze

Quello che appare più interessante è notare che in molti casi – soprattutto quelli più recenti degli ordinamenti statunitense e coreano – i giudici investiti delle questioni giudiziarie sono partiti dall’analisi letterale delle norme applicabili, valorizzando l’utilizzo in queste ultime di una terminologia chiaramente ed esclusivamente riferita alla persona fisica come autore originale di un’opera dell’ingegno o di un’invenzione. Alla luce di un’interpretazione letterale delle disposizioni, dunque, non vi era dubbio – secondo le corti – che de iure condito ai risultati realizzati autonomamente dall’AI debba essere negata la protezione di diritto esclusivo prevista dalla proprietà intellettuale.

Dall’analisi letterale delle norme i giudici sono poi passati a svolgere considerazioni più approfondite relative alla ratio della protezione di diritto esclusivo. In questo senso il Giudice Howell della United States District Court for the District of Columbia ha osservato che “At the founding, both copyright and patent were conceived of as forms of property that the government was established to protect, and it was understood that recognizing exclusive rights in that property would further the public good by incentivizing individuals to create and invent. The act of human creation—and how to best encourage human individuals to engage in that creation, and thereby promote science and the useful arts—was thus central to American copyright from its very inception. Non-human actors need no incentivization with the promise of exclusive rights under United States law, and copyright was therefore not designed to reach them”. In sostanza, secondo il giudice, la tutela di diritto esclusivo concessa dal sistema giuridico ai risultati creativi o inventivi mira a promuovere il bene pubblico (consistente nello sviluppo della scienza e dell’arte), attraverso il riconoscimento di incentivi morali ed economici agli individui (esseri umani) che si impegnano nelle attività creative ed inventive. Questi incentivi sono necessari per spingere gli individui alla produzione dei risultati protetti; mentre soggetti non-umani (come l’AI) non necessiterebbero di incentivi, men che meno nella forma di un riconoscimento di diritti esclusivi.

La decisione della Corte di Seoul sottolinea che secondo l’ordinamento interessato per godere di diritti esclusivi è necessario che l’ordinamento riconosca al titolare dei diritti una soggettività giuridica, che al momento non è tuttavia attribuita all’AI, la quale è tendenzialmente maggiormente assimilabile ad un oggetto fisico, piuttosto che ad un soggetto con una capacità giuridica attiva e passiva. Quanto alla ratio della tutela, la Corte sudcoreana si spinge oltre rispetto alle affermazioni del giudice statunitense, e non solo afferma che non vi sarebbe al momento sufficiente evidenza idonea a suggerire che il riconoscimento di una protezione di diritto esclusivo ai risultati dell’AI condurrebbe a un numero maggiore di invenzioni, ma si spinge invece a dichiarare che – al contrario – un tale riconoscimento presenterebbe grandi rischi. Prima di tutto, potrebbe portare alla drastica diminuzione o addirittura alla scomparsa delle attività creative ed inventive svolte da esseri umani. Inoltre, potrebbe trasformarsi in un metodo per proteggere solo gli interessi di un numero limitato di grandi aziende, che potrebbero monopolizzare l’AI più potente.

Diritto e futuro dell’innovazione

Nell’affrontare i temi ora tratteggiati le Corti puntano l’attenzione al cuore del problema della concessione o meno di una protezione di diritto esclusivo ai risultati dell’AI, problema che oltrepassa le questioni de iure condito legate all’interpretazione letterale delle norme e concerne invece la politica del diritto che riguarda il futuro dell’innovazione. È su questo che è necessario interrogarsi, per cercare di comprendere quali effetti potrebbe avere la scelta dell’una o dell’altra opzione sulla società e sugli individui che la compongono. È chiaro infatti che i sistemi di diritto della proprietà intellettuale si fondano sul riconoscimento di diritti esclusivi (morali e patrimoniali) agli individui – esseri umani che realizzano le opere, sul presupposto che tali diritti esclusivi siano di stimolo alla realizzazione di nuove opere. Il fine ultimo è la promozione dello sviluppo scientifico, culturale ed artistico della società nel suo complesso, che al termine della protezione acquisisce i risultati delle attività creative e/o inventive e le può liberamente utilizzare.

Questo paradigma-presupposto della protezione è ripetuto in generale dai commentatori in modo tralatizio, ma in verità scarsamente verificato nella pratica: in altre parole, non è del tutto certo se concedere incentivi di questo tipo agli individui sia il sistema migliore per promuovere l’innovazione, o se invece non siano più convenienti altri tipi di disciplina normativa, come ad esempio la proprietà pubblica ed il finanziamento della ricerca e la sua gestione da parte delle Autorità pubbliche.

Ancora, si tratta di una teoria idonea a spiegare e giustificare gli attuali sistemi di proprietà intellettuale in modo solo parziale, poiché è ben noto che i diritti esclusivi non sono mai stati riconosciuti esclusivamente solo agli esseri umani creatori e/o inventori, ed inoltre essi sono spesso acquisiti automaticamente (ancorché in modo derivativo) da enti giuridici, che ne diventano i reali beneficiari. Non solo: sono molti ed in crescita i diritti esclusivi creati dai vari ordinamenti per tutelare gli investimenti, tipicamente realizzati da enti giuridici.

A questo proposito basti pensare al diritto sui generis sulle banche di dati, o ai diritti audiovisivi sportivi. Non corrisponde quindi del tutto a verità che a) gli ordinamenti giuridici riconoscano diritti esclusivi solo a favore di essere umani, poiché già sono conosciuti ed accettati schemi diversi, secondo i quali anche un ente giuridico può ricevere la protezione; b) l’incentivo sia collegato ad un atto creativo o inventivo, essendo protetto in certi casi anche il solo investimento. Ne deriva dunque che anche in questi casi l’ordinamento riconosce che il diritto esclusivo possa essere uno strumento comunque idoneo al fine di promuovere ulteriori attività nel settore protetto, a beneficio della collettività nel suo insieme, sulla base di parametri diversi da quelli tradizionalmente applicati agli esseri umani creatori e/o inventori.

Il tema della soggettività giuridica

Alla luce di quanto precede è allora forse possibile fare qualche ulteriore riflessione sulle ragioni del riconoscimento, o della negazione, di una tutela di diritto esclusivo ai risultati dell’AI. Il primo punto riguarda il tema della soggettività giuridica. L’AI non è un essere umano e non è un ente giuridico, ed è dunque allo stato attuale privo di soggettività (perlomeno nella maggioranza degli ordinamenti). È possibile immaginare che all’AI sia attribuita una forma di soggettività? Alcuni autori lo suggeriscono, ragionando soprattutto dall’angolo della responsabilità: poiché l’AI cd. “adulta” sarebbe in grado di autodeterminarsi e assumere decisioni proprie, non sarebbe corretto attribuire la responsabilità di violazioni dei diritti a terzi (quali il produttore, lo sviluppatore, il proprietario dell’AI) che in realtà non hanno la possibilità di controllare appieno l’AI stessa. Viceversa, si dovrebbe attribuire all’AI in questione una sua propria soggettività, creando poi sistemi collettivi di risarcimento per le violazioni commesse dall’AI. È evidente che questo tipo di soggettività sarebbe una fictio iuris nuova nei nostri sistemi giuridici, ben diversa da quella – già conosciuta – propria degli enti giuridici, la quale in ultima istanza concerne sempre esseri umani a cui gli enti stessi sono riconducibili. Non è chiaro che cosa muoverebbe le decisioni di questo tipo di AI, se queste siano veramente svincolate dalla programmazione originariamente realizzata da parte dello sviluppatore e/o dalle scelte dell’utente. Soprattutto, implicherebbe prendere una direzione nuova e dai risultati non scontati per quanto riguarda il rapporto fra essere umano e AI.

Quale beneficio per la collettività?

Il secondo punto concerne la questione dell’atto e/o del bene da proteggere tramite il diritto esclusivo nell’attività dell’AI. Questo atto/bene – come si è visto sopra – allo stato degli ordinamenti giuridici attuali può anche essere in effetti un semplice investimento non creativo o inventivo, a condizione che la protezione esclusiva sia, o almeno appaia, idonea a produrre un beneficio per la collettività. Qui non è del tutto chiaro se sussista effettivamente un investimento in sé e per sé nella realizzazione dei risultati dall’AI (piuttosto che sullo sviluppo dell’AI, attività che tuttavia sarebbe proteggibile ex se, per esempio come invenzione, ricorrendone i requisiti secondo le regole già acquisite). Soprattutto, vi è da chiedersi (come fanno le Corti statunitense e sudcoreana) quale beneficio la collettività ne trarrebbe.

Si tratta di una questione particolarmente complessa, che deve prendere in considerazione molti piani diversi, fra cui quello degli effetti della protezione sulla promozione di investimenti in ricerca e sviluppo di nuove AI; sulla competizione fra creatori/inventori umani e creatori/inventori AI; sull’accesso diffuso alla tecnologia/arte e ai suoi risultati. Per quanto riguarda la prima questione, allo stato sembrerebbe che al momento la ricerca e lo sviluppo di nuove AI non necessitino del riconoscimento di diritti esclusivi sull’AI, essendo ampiamente sollecitati dalle prospettive legate alla distribuzione al pubblico dell’AI come strumento (si pensi al progetto di Microsoft di inserire l’AI nel proprio software commerciale o come strumento per il miglioramento delle ricerche online). Per quanto concerne la seconda questione l’assenza di diritti esclusivi sui risultati dell’AI potrebbe in effetti riverberarsi positivamente o non negativamente sulla creatività/inventività umana, che potrebbe attingere più liberamente a questi risultati (anche se va notato che i costi notevolmente più bassi delle attività dell’AI sono comunque destinati a deprimere il mercato delle opere intellettuali umane, perlomeno per quanto riguarda determinati settori a minor tasso di creatività, a prescindere dalla circostanza che ai risultati dell’AI sia riconosciuta o meno una tutela di diritto esclusivo).

L’accesso diffuso alla tecnologia/arte e ai suoi risultati

Infine, per quanto concerne la terza questione, ossia l’accesso diffuso alla tecnologia/arte e ai suoi risultati, sembrano applicarsi anche in questo caso le considerazioni che precedono: la negazione della tutela, per definizione, tenderebbe ad agevolare un accesso più ampio da parte di tutti i componenti della collettività.

Conclusioni

In altre parole, e conclusivamente, al di là di quanto previsto dalla lettera delle norme contenute nelle vigenti leggi sulla proprietà intellettuale, al momento sembra effettivamente che l’opzione migliore sia quella di negare una protezione di diritto esclusivo ai risultati dell’AI, sempre che gli obiettivi delle normative restino quelli indicati tradizionalmente dalla dottrina e dalla giurisprudenza (incentivare la creazione/invenzione, per promuovere la realizzazione di risultati creativi/inventivi a vantaggio della collettività).

Non da ultimo, appaiono molto serie anche le preoccupazioni espresse dalla Corte di Seoul relativamente agli effetti monopolistici negativi che la creazione di un diritto esclusiva porta sempre con sé, ed è questo un ulteriore terreno che le Autorità competenti nei vari Stati dovranno presto considerare, proprio per evitare che si creino situazioni di dominanza o di monopolio che potrebbero essere tanto indesiderabili quanto difficili da controllare, una volta consentita la loro costituzione.

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