psicologia delle masse

La narrazione persuasiva degli anti-green pass: così manipola le menti

Pro o contro i green pass? In realtà questa dicotomia semplifica una questione più complessa che coinvolge direttamente il modo in cui la comunicazione di massa si avvale sempre di più dei social media per costruire l’opinione pubblica, attraverso dinamiche legate al tipo di narrazione più che al contenuto

Pubblicato il 04 Ott 2021

Daria Grimaldi

docente di psicologia sociale delle comunicazioni di massa, Università di Napoli Federico II

dati ai

Senza dubbio, l’introduzione dell’obbligatorietà del Green Pass è stata accolta con grande fermento emotivo dall’opinione pubblica, con un overload informativo che nel vociare indistinto dei social ha finito per prendere le sembianze di tiro alla fune tra due squadre, riducendo il dibattito ad una querelle tra vaccinati e no vax.

In realtà questa dicotomia semplifica grossolanamente una questione più complessa che coinvolge direttamente il modo in cui la comunicazione di massa si avvale sempre di più dei social media per costruire l’opinione pubblica, attraverso dinamiche propagative che veicolano i contenuti con processi virali legati al tipo di narrazione più che al contenuto.

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Green pass e narrazione persuasiva

Qualche centinaia di luoghi riportati e quasi tre milioni di visualizzazioni per la mappa interattiva chiamata “aperti e liberi”, che monitora e segnala le attività che non chiedono la certificazione, pubblicata dai seguaci del movimento “Io Apro” a partire dal 6 agosto, data in cui è entrata in vigore l’obbligatorietà del Green Pass per i locali al chiuso.[1]

Contemporaneamente, sempre in rete, nasce un mercato di Green Pass falsi, nemmeno troppo nascosto, e proliferano foto e commenti degli orgogliosi utenti che senza documento di vaccinazione cenano in comitiva, postando tutti i dettagli delle loro sfide alle restrizioni.

Gruppi tematici, la diffusione di meme che paragonano green pass ad eventi drammatici della storia, fino alle minacce ai virologi e violenze verso i giornalisti durante le manifestazioni, sono tutti gli eventi che hanno riempito le pagine e gli schermi delle comunicazioni pubbliche sul tema facendo parlare di una vera e propria “escalation di violenza dei No vax e No Green pass.[2]

Quella dei no-vax è una narrazione persuasiva e lo è da prima del Green Pass e del vaccino anti-covid. I gruppi antivaccinisti hanno negli anni dimostrato di saper utilizzare i social network e le loro risorse per mettere in atto processi di proselitismo attivo, attraverso azioni di misinformation e disinformation, utilizzando argomentazioni controverse, come il vantaggio economico dei prodotti farmaceutici e, più di ogni altra cosa, narrazioni personali, emotivamente coinvolgenti, per spostare l’attenzione su contenuti che potessero creare appeal, in assenza di dati fattuali o risposte attendibili a confronti basati sui fatti.[3]

Argyris e colleghi hanno dimostrato come gli argomenti antivaccino hanno una maggiore distintività intertopica rispetto alle conversazioni di chi sostiene il vaccino, dimostrando maggiore attenzione a circoscrivere con accuratezza gli argomenti trattati analizzandoli in modo approfondito.[4] Questa modalità risponde perfettamente ai processi della comunicazione persuasiva ed in particolare al paradigma delle quattro dimensioni di Entman, una tecnica persuasiva utilizzata nella propaganda, attraverso la quale si fa in modo di predisporre il pubblico ad una visione unilaterale di una questione, trattandola con un numero preciso e ricorrente di contenuti e minimizzando le altre prospettive.[5]

Più in generale, quando una persona cerca di spiegare un evento, la comprensione è strettamente legata alla cornice all’interno della quale esso viene collocato: se cambia la cornice cambia interamente il significato. Ciò su cui fa leva il paradigma, quindi, è il ruolo fondamentale del frame che crea il contesto in cui viene costruita la narrazione e che sui social è più facile manipolare, anche con l’uso di fake news e fattoidi.

I contenuti vengono tenuti insieme ed utilizzati in modo coerente all’interno di una sorta di logica culturale che induce cambiamenti comportamentali e attitudinali, seguendo un processo ben preciso: partendo dalla definizione di un problema specifico a cui segue la diagnosi della causa del problema/tema, rigorosamente accompagnata da un forte giudizio morale, che volutamente polarizza la questione da un solo lato e che, lungi dal cadere nel vuoto, è seguito da un suggerimento proattivo di un rimedio al problema. Un esempio è la narrazione portata avanti dai no vax con enfasi sproporzionata sugli effetti collaterali con la relativa minimizzazione di ogni argomento relativo ai benefici dei vaccini o, più di recente, l’apologia della privazione di libertà correlata con la richiesta del green pass per accedere in diverse attività al chiuso.

topoi delle comunicazioni anti-vacciniste

Più in generale, sono state individuate delle ricorrenze precise nelle comunicazioni degli utenti antivaccinisti, che utilizzano nei loro messaggi prevalentemente narrazioni personali, storie, rischi dei vaccini, sfiducia nell’industria farmaceutica e, ovviamente, teorie della cospirazione.[6]

Oltre alla tipologia anche le modalità della narrazione sono ampiamente coinvolgenti, dal momento che hanno la tendenza a condividere storie ad alto livello di identificazione, elevando in questo modo la visibilità e la diffusione dei contenuti propri.[7]

Oltre a ciò, dall’analisi delle specifiche caratteristiche linguistiche utilizzate all’interno delle comunità no-vax, drammatizzate e personalizzate, è stato rilevata una densità di rete più elevata rispetto ai sostenitori del vaccino, quindi gruppi con maggiori legami e connessioni tra i soggetti con una eco-chamber più strutturata.[8]

Inoltre, queste narrazioni aumentano esponenzialmente la circolazione di fake news, che volontariamente o involontariamente diventano velocemente virali ed alimentano in modo distorto il dibattito.

Il problema, difatti, è che le dinamiche proprie dei social, con la creazione di camere d’eco e bolle autoreferenziali, fa sì che ciascuno finisca per rinforzare la posizione che si decide di accogliere come propria, che diventa fondata anche solo perché ascoltata più di frequente: la tendenza sempre più diffusa, difatti, è quella di aderire a concezioni coincidenti con la propria visione del mondo. Il dibattito tra persone che la pensano allo stesso modo tende a produrre una maggiore estremizzazione delle posizioni iniziali, generando una polarizzazione dei gruppi che enfatizzata uno dei nostri principali bias cognitivi, il processo di conferma (confirmation bias), per cui nella realtà e nelle conversazioni, lungi dal cercare il confronto, siamo alla costante ricerca di quanto possa tranquillizzarci sulla coerenza e veridicità delle nostre posizioni. [9]

La paura come emozione virale

A fronte delle difficoltà materiali incontrate in questi tempi di pandemia, è ragionevole che il pubblico si ponga domande e che si lasci sopraffare dalla paura, che è la vera grande protagonista del dibattito pubblico attorno alla pandemia ed ai vaccini. Che si tratti di paura di contrarre la malattia, paura delle reazioni ai vaccini, paura di nuove chiusure, paura di restrizioni alla libertà, la vera grande emozione che governa la comunicazione pubblica degli ultimi tempi è la più antica delle emozioni, nonchè una delle più efficaci leve della comunicazione persuasiva, che ben si presta alle dinamiche algoritmiche dei social network. Questi sono progettati esattamente per trattenerci al loro interno ed a livello comportamentale un utente rimane con più probabilità all’interno di una piattaforma, se è preso fortemente dal dibattito e sarà più portato a condividere e commentare contenuti emotigeni.[10]

Così, nel ruolo del contagio emotivo in rete, ampiamente dimostrato dalla letteratura, troviamo spiegazione per il diffondersi dei comportamenti collettivi che dividono l’opinione pubblica: voci arrabbiate si accavallano in post e commenti dai toni accessi, proprio perché è l’algoritmo stesso a nutrirsi di questi sentimenti forti negativi, come rabbia o indignazione, alimentati a loro volta dalla struttura emotigena stessa delle fake news. [11]

La gestione dell’incertezza

Gli esseri umani non tollerano l’incertezza e, soprattutto, in situazioni potenzialmente ansiogene sono alla ricerca di spiegazioni facili: le risorse cognitive individuali vengono coinvolte per soddisfare il bisogno di spiegare eventi inquietanti e insoliti ed i mezzi di comunicazione sono il luogo preferito per cercare di dare senso alla realtà.

Il problema, quindi, nasce proprio nella distorta comunicazione pubblica attorno alle questioni connesse alla pandemia ed ai vaccini, che invece di rassicurare ha finito con il veicolare timori e paura a tal punto che per il 49,7% degli italiani la comunicazione dei media sull’epidemia sanitaria è stata confusa, per il 39,5% ansiogena, per il 34,7% eccessiva.[12] Per quanto i media tradizionali persistano nel ruolo di gatekeeper, è decisamente significativo il numero di persone che utilizza proprio la rete ed i social media per orientarsi: ben 50 milioni di italiani, praticamente il 99,4% degli italiani adulti, negli ultimi mesi hanno cercato sul web informazioni sulla pandemia da diverse fonti, tra cui chiaramente molte informali, dando vita ad un palinsesto informativo del tutto personalizzato.[13]

Di fatto, come abbiamo visto, la popolazione no vax ha una maggiore presenza online e dimestichezza con le dinamiche persuasive digitali, il che rende la propria rete di gran lunga più virale: riescono così ad aumentare la propria presenza e diffusione nonostante l’inferiorità numerica. Diventano a tutti gli effetti delle minoranze attive, con la virualità e la potenzialità che questo comporta.

Gli indecisi, nel tentativo di orientarsi e crearsi una opinione sul vaccino, hanno più probabilità di sviluppare una percezione inferiore della sua sicurezza o della sua efficacia. Inoltre, queste persone, per rafforzare la propria coerenza cognitiva, avranno più probabilità di divenire molto attive online e divenire nodi per la nascita di nuovi legami connessi a gruppi anti-vaccinazione.[14]

Chi sostiene e vuole promuovere le campagne di vaccinazione, raramente ci si confronta in maniera diretta ed aperta con chi presenta dubbi legati al vaccino. Questo genera un vuoto che sui social media viene erroneamente riempito da quanti etichettano da subito come negazionisti o cospirazionisti coloro che mostrano qualche perplessità o remora a lasciarsi vaccinare. Questa strategia o meglio l’assenza di una strategia persuasiva pensata ad hoc per gli indecisi, si rivela del tutto inefficace o addirittura dannosa, aumentando esponenzialmente la vulnerabilità alle narrazioni no-vax.

Da un punto di vista psicosociale questi meccanismi non sono nati con i social, ma è qui che trovano il terreno per una crescita esponenziale. Le masse sono indirizzate in modo efficace da stimoli ancestrali, forti, e tra questi la paura è senza dubbio una tra le più mobilitanti: si tratta di una risposta adattiva ad una condizione percepita come rischiosa o pericolosa. La sua connotazione è intrinsecamente sociale perché dipende del tutto dall’interpretazione della situazione (il frame di cui abbiamo parlato), che non è un dato meramente oggettivo, ma strettamente legato al contesto. Possiamo a tutti gli effetti parlare di rappresentazione condivisa del pericolo, che è un fattore fondamentale nella mente del singolo, a partire da quelle che la sociologia definisce “narrative di controllo”.[15] Per rispondere ad uno stimolo è fondamentale comprendere come il proprio ambiente sociale descrive una determinata situazione e come, eventualmente, suggerisce di affrontarla.

Una modesta proposta

Oggi, nella filiera della comunicazione pubblica online non ci si affida più ai soggetti dell’intermediazione, a garanzia di una verifica e di una selezione delle notizie, ma le narrative sono affidate alla voce del popolo, inaffidabile e confusa, organizzata in palinsesti autoprodotti. Per affrontare la disinformazione e l’impatto che genera concretamente nelle scelte degli individui, diviene quindi prioritario da parte dei più autorevoli protagonisti dell’informazione sul tema – governo, istituzioni sanitarie, giornalisti, editori, esperti e chiunque abbia competenza e responsabilità – rivedere le proprie strategie e lavorare attraverso capillari azioni di prebunking[16], un vero e proprio vaccino necessario per fronteggiare i “virus della mente”,[17] frutto di informazioni che si diffondono e si affermano nell’opinione pubblica a partire dal vociare distorto della rete.

Note e bibliografia

  1. Mappa Aperti e Liberi; sui Green Pass falsi 
  2. Uno tra i tanti titoli sul tema 
  3. Ortiz-Sánchez E. et alii, Analysis of the Anti-Vaccine Movement in Social Networks: A Systematic Review, Public Health 2020, 17, 5394 July 2020 doi:10.3390/ijerph17155394
  4. Argyris YA, Monu K, Tan P, Aarts C, Jiang F, Wiseley KA Using Machine Learning to Compare Provaccine and Antivaccine Discourse Among the Public on Social Media: Algorithm Development Study JMIR Public Health Surveill 2021;7(6):e23105 doi: 10.2196/23105
  5. Robert M. Entman, Framing: Toward Clarification of a Fractured Paradigm, Journal of Communication, Volume 43, Issue 4, December 1993, Pages 51–58, https://doi.org/10.1111/j.1460-2466.1993.tb01304.x
  6. Wawrzuta D, Jaworski M, Gotlib J, Panczyk M Characteristics of Antivaccine Messages on Social Media: Systematic Review J Med Internet Res 2021;23(6):e24564 doi: 10.2196/24564
  7. Xu, Z. Personal stories matter: topic evolution and popularity among pro- and anti-vaccine online articles. J Comput Soc Sc 2, 207–220 (2019). https://doi.org/10.1007/s42001-019-00044-w
  8. Memon SA, Tyagi A, Mortensen DR, Carley KM. Characterizing Sociolinguistic Variation in the Competing Vaccination Communities. In: Thomson R, Bisgin H, Dancy C, Hyder A, Hussain M, editors. Social, Cultural, and Behavioral Modeling. SBP-BRiMS 2020. Lecture Notes in Computer Science, vol 12268. Cham: Springer; 2020:118-129.
  9. Sunstein, C. R., Deliberative trouble? Why groups go to extreme 2000: https://www.yalelawjournal.org/pdf/449_3p1xtbdh.pdf
  10. Johnson, N. F. et al. Hidden resilience and adaptive dynamics of the global online hate ecology. Nature 573, 261–265 (2019)
  11. Adam D. I. Kramer, Jamie E. Guillory, Jeffrey T. Hancock, Emotional contagion through social networksProceedings of the National Academy of Sciences Jun 2014, 111 (24) 8788-8790; DOI: 10.1073/pnas.1320040111
  12. Rapporto Censis, Disinformazione e fake news durante la pandemia: il ruolo delle agenzie di comunicazione, Aprile 2021: https://www.censis.it/sites/default/files/downloads/Rapporto%20Ital%20Communications-Censis_def.pdf
  13. ivi
  14. Betsch C, Brewer NT, Brocard P, et al. Opportunities and challenges of Web 2.0 for vaccination decisions. Vaccine. 2012;30(25):3727–3733. Crossref, Medline, Google Scholar;
  15. Si veda al riguardo:Bennato D. Paura: un’emozione tra due secoli. Percezione, narrazione, media ed effetti sulla società. Luglio 2019: https://forward.recentiprogressi.it/it/rivista/numero-14-paura-coraggio/timeline/paura-un-emozione-tra-due-secoli/
  16. Stephan Lewandowsky & Sander van der Linden (2021) Countering Misinformation and Fake News Through Inoculation and Prebunking, European Review of Social Psychology, DOI: 10.1080/10463283.2021.1876983
  17. Il riferimento al testo di Brodie R. Virus della mente, Ecomind 2000 è volutamente associato all’analisi della viralità dei contenuti online condotta secondo l’approccio della memetica di R. Dawkins.

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