skill match

Quali competenze per il lavoro: cosa cercano le aziende e cosa deve fare la scuola

Non più solo competenze hard e soft, ma anche “life skills”: problem solving, team working, flessibilità, gestione delle (proprie) risorse, creatività. Anche questo cercano le aziende e per chiudere il gap serve presidiare l’Alternanza Scuola Lavoro e altre iniziative che avvicinino la scuola alle esigenze delle imprese

Pubblicato il 25 Ott 2019

Carlo Giovannella

Università di Roma, Tor Vergata

digital skill

L’evento di presentazione degli esiti finali di Skill Match, progetto promosso e condotto da Unindustria con il sostegno della Camera di Commercio di Roma, è stata l’occasione per sviluppare un’ampia riflessione su due temi di particolare rilevanza, profondamente connessi tra loro:

  • le professionalità e le competenze ricercate dalle imprese;
  • i modelli formativi per l’alternanza scuola lavoro, in quanto processo utile alla riduzione dello “skill mismatch”.

Il tutto, per l’occasione, con un focus sull’ICT.

Come messo in evidenza da Giuseppe Biazzo, numerosi sono stati gli elementi di originalità che hanno caratterizzato il progetto, a partire dalle modalità utilizzate per individuare la domanda e i trend relativi alle professionalità ricercate dalle aziende. Non più questionari distribuiti alle imprese ma un’analisi semantica che incrocia i contenuti di più database, quali quello ricavato dagli annunci di lavoro pubblicati sul web (banca dati Wollybi) o quello contenente le comunicazioni obbligatorie (COB) rese disponibili, ad esempio, dal portale Open Data della Regione Lazio.

L’analisi condotta da Tabulaex, sui dati raccolti da gennaio 2014 a giugno 2018 ha messo in evidenza come vi sia stato, in particolare nel Lazio (ma l’andamento è riscontrabile in gran parte del paese), un incremento lineare degli annunci che in poco più di quattro anni è raddoppiato, a dimostrazione di una certa vitalità delle nostre imprese di settore. Dominanti nel Lazio, con circa il 70%, gli annunci provenienti dal mondo dei servizi.

Tra le professioni più ricercate i programmatori, i tecnici di rete e gli amministratori di sistema, con le relative “hard skill” che possono spaziare dalla programmazione Java alla gestione di database e all’uso di SQL. Molto più contenute le richieste per le competenze informatiche più soft, come quelle associabili agli ambiti dello sviluppo web e multimedia, della pubblicità e marketing, della gestione dell’informazione e della comunicazione. Ancora più bassa la richiesta di specializzazioni di alto livello come quelle possedute dagli analisti di sistema o dagli ingegneri industriali e gestionali.

I dati mettono anche in evidenza come, nonostante il raddoppio del numero degli annunci, quello dell’ICT al momento sembra essere un settore lavorativo maturo. Lo testimonia il fatto che la distribuzione percentuale delle professionalità richieste nell’ultimo anno non si discosta di molto da quella degli anni precedenti.

Nonostante il gran parlare che si fa di intelligenza artificiale e industria 4.0 non sembrano ancora emergere dai database analizzati elementi in grado di caratterizzare, differenziandole, le risorse umane che dovrebbero essere impiegate in tali settori. Nondimeno è stato possibile identificare alcune professionalità la cui richiesta sembra essere in crescita; molte di esse sono collegate alla capacità di trattare e analizzare grandi moli di dati (big data o business intelligent analyst, data scientist) altre allo spostamento in rete di un certo numero di attività e processi (social media marketing, cloud computing, cyber security expert).

Non proprio una visione del futuro ma, quantomeno, un presente in movimento, in lento allineamento con i trend che da qualche anno dominano il panorama internazionale.

Cresce l’interesse per le “life skills”

Accanto alle competenze più o meno hard associate alle professionalità sopra citate, l’analisi fa emergere anche l’interesse da parte delle aziende per un certo numero di “LIFE skills“: il problem solving, il team working, la comunicazione efficace, la flessibilità (declinata in termini di adattabilità al cambiamento), la gestione delle risorse (incluse le proprie), il pensiero divergente e la creatività. La rilevanza che viene data alle competenze orizzontali non raggiunge ancora il livello e la ricchezza di aspettative che si riscontrano nel mondo anglosassone ma indica, comunque, una crescente attenzione verso risorse umane che oltre a possedere competenze specialistiche verticali siano anche capaci di gestire sé stessi, le relazioni e i processi.

Nonostante il quadro sopra descritto non appaia caratterizzato da una dinamica prorompente, il disallineamento con le competenze in uscita, soprattutto dalla scuola secondaria di secondo grado, è ancora molto elevato e non solo per quel che riguarda le hard skill (istituti tecnici) ma anche per quel che riguarda le competenze orizzontali, che interessano, ovviamente, tutti i curricula scolastici.

L’importanza dei percorsi di Alternanza Scuola Lavoro

E’ a questo tema che è stata dedicata la seconda parte del progetto Skill Match che ha sostenuto la sperimentazione di percorsi di Alternanza Scuola Lavoro (ASL). Le attività sono state progettate realizzate grazie al sostegno di Unindustria che ha stimolato, anche con il supporto dell’ASLERD, l’interazione virtuosa tra realtà aziendali e scuole secondarie. Molti i modelli sperimentati, alcuni più maturi come quelli messi in campo da Almaviva e ITIS Armellini o dalla Softlab con l’IIS Ferrari, altri dei veri e propri battesimi del fuoco come quelli che hanno interessato Engineering e ITIS Fermi o Aubay, ancora una volta con l’ITIS Armellini.

Nella maggior parte dei casi si è trattato di percorsi dedicati a studenti selezionati (tra 10 e 25), mentre nel caso di Softlab-Ferrari si è cercato di mettere in campo un approccio massivo che ha coinvolto intere classi, in cui la selezione si è realizzata nel corso del processo su base motivazionale. In alcuni casi si è messa in campo una progettazione di dettaglio, in altri si è simulato un processo di innovazione, in alcuni casi si è definito un obiettivo realizzativo preciso in altri si è lasciati i ragazzi liberi di scegliere l’ambito di sviluppare dei progetti, in alcuni casi le attività si sono svolte principalmente a scuola in altri presso l’azienda, ecc.

Grande ricchezza e variabilità di modelli, processi, procedure e approcci didattici che verrà sicuramente restituita da un report in corso di preparazione.

Ciò che interessa qui è sottolineare come tutte le esperienze, comprese quelle più acerbe, abbiano riscosso un alto gradimento da parte dei ragazzi, sia in assoluto che – quando è stato possibile effettuare una misurazione, come nel caso del Ferrari – rispetto a tutte le altre esperienze di ASL svolte presso l’Istituto.

Tra gli elementi maggiormente apprezzati va annoverata sicuramente la pratica del co-design dei processi, che ha posto rimedio ad alcune criticità che hanno caratterizzato sin da subito le esperienze di ASL: le criticità nella governance e l’allineamento tra i linguaggi propri di aziende e scuole. Altro elemento positivo è risultato essere il coinvolgimento delle famiglie in avvio di processo.

Altri elementi emersi dalla discussione, di grande rilievo per i temi affrontati in questo scritto, sono l’effetto positivo che i progetti hanno avuto nella rimodulazione dei programmi di materie informatiche, la presa di coscienza circa la differenza di alcune competenze orizzontali declinate nei contesti scolastici e in quelli lavorativi come nel caso del “team working”, l’orientamento soprattutto verso l’organizzazione delle realtà lavorative.

Da tutte queste esperienze, inoltre, è emerso in modo molto chiaro come a breve termine non sia pensabile riuscire colmare il divario relativo a gran parte delle hard-skill (a volte operazione complessa anche per l’attuale sistema universitario) mentre si può lavorare sulla preparazione dei ragazzi a periodi di tirocinio aziendali successivi all’ASL (es. contratti di apprendistato), sia favorendo l’acquisizione di quelle che possiamo definire “soft-skill” informatiche o competenze digitali di carattere più orizzontale, sia lo sviluppo delle LIFE skill, unitamente a una propensione all’innovazione continua.

Il nodo della formazione dei docenti

Tralasciando l’analisi di dettaglio delle competenze digitali che meriterebbe un articolo a sé, qui ci preme sottolineare come tutti gli attori coinvolti abbiano rimarcato, in maniera inequivocabile, l’importanza dell’ASL quale strumento utile alla progressiva riduzione del divario di competenze. Purtroppo oggi è uno strumento che appare depotenziato dalla sua riduzione a PCTO e dalla riduzione dei fondi dedicati. E’ interessante notare come le aziende che all’avvio dei processi di ASL, introdotti dalla “Buona scuola”, apparivano forse come il soggetto più restio all’implementazione di tali percorsi (li consideravano uno spreco di risorse), oggi, dopo qualche esperienza sul campo, li hanno pienamente rivalutati e addirittura chiedono – anche per voce di Nicoletta Amodio di Confindustria – che vengano affrontati con una visione prospettica. In alti termini che vengano introdotti percorsi di avvicinamento, magari sin dalla scuola secondaria di primo grado, in grado di favorire uno sviluppo graduale delle competenze settoriali e orizzontali. Per riuscire a ottenere un risultato di questa portata, come ha sottolineato anche Licia Cianfriglia dell’ANP è inevitabile predisporre un adeguato piano di formazione dei docenti e, aggiungeremmo noi, un adeguato impianto valutativo che sia in grado di far emergere le “best practice”.

E’ necessario dunque un po’ di coraggio per andare oltre la demagogia e ripensare quanto fatto dall’ultimo governo. Come ha affermato il Presidente di Unindustria, Filippo Tortorello, è necessario presidiare l’Alternanza Scuola Lavoro e altre iniziative che possano contribuire ad avvicinare la scuola al mondo del lavoro.

Nel concludere mi piace sottolineare come non si debba aver paura di lavorare bene per il futuro dei nostri ragazzi. Sviluppare l’ASL, introdurre l’ora di innovazione, sviluppare percorsi per fasce di competenze, non deve essere visto come un attentato ai saperi tradizionali ma, piuttosto, come un modo per sostenere l’acquisizione di questi ultimi all’interno di un quadro più ampio e che possa anche accompagnare i ragazzi nello sviluppo di competenze adeguate alle loro inclinazioni, in grado di favorirne una più mirata e rapida integrazione negli ambienti di studio universitario e lavorativo (educazione di qualità – SDG 4 UNESCO per il 2030).

Pensate che cosa potrebbe significare lo sviluppo di un portfolio di competenze certificato da utilizzare per le assunzioni o le iscrizioni a corsi universitari, che possa fare piazza pulita di discutibili test che spesso risultano temporalmente concorrenziali a un esame di maturità che, da decenni, appare anacronistico, un esame che, nonostante i tanti maquillage a cui è stato sottoposto negli anni, non riesce a riacquistare smalto.

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