big web e antitrust

Web e nuovi monopoli, il conto per l’economia reale sarà altissimo: ecco tutti i rischi

La contrazione della concorrenza determinata dall’enorme ecosistema messo in piedi dalle piattaforme web sta indebolendo i mercati e ricreando monopoli che credevamo scomparsi per sempre. Ecco quali sono i comportamenti anticoncorrenziali che le norme devono riconoscere e gli step per provare a porre rimedio

Pubblicato il 20 Giu 2019

Nicola Ruggiero

Focus Group srl

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E’ ormai fuori di dubbio che le piattaforme online siano di una utilità pubblica enorme e che abbiano contribuito alla sostanziale digitalizzazione di molti processi del nostro quotidiano, ma è altrettanto vero che il prezzo che si rischia di pagare se non vengono immediatamente regolati gli aspetti antitrust (così come altri, tipo privacy) è altissimo per il loro impatto sull’economia reale.

Bisognerebbe allora rovesciare la prospettiva, per quanto impopolare potrebbe sembrare, e cominciare a ragionare non più soltanto in termini di benessere dei consumatori, ma in ottica di competizione e struttura del mercato.

Big del web e norme antitrust

Per cominciare a comprendere meglio il filo del mio ragionamento, proviamo a porci una semplice domanda: come fanno i big delle piattaforme online (Google, Facebook, Amazon) a fare utili stratosferici e avere capitalizzazioni multimiliardarie in borsa mentre offrono agli utenti una serie di servizi gratis o a prezzi davvero contenuti?

La risposta più semplice è vendendo pubblicità, vendendo servizi B2B a pagamento, offrendo prodotti e soluzioni dedicate a pagamento. E se la risposta fosse: in barba a molte norme vendono la nostra identità?

Per essere più corretti non vendono necessariamente i nostri dati, ma ci indirizzano verso quello che vogliono. Ci indirizzano verso (loro) i partner B2B che a loro volta ci vendono qualcosa e pagano una fee alla piattaforma. Insomma, ci usano per alimentare il commercio on-line e far proliferare un sito o un servizio piuttosto che un altro.

E se il sito ed il servizio o il prodotto che si alimenta fosse il loro? O loro stessi?

Allora si inizia a chiudere il cerchio sul segreto dei big del web. A partire dai motori di ricerca o dai social network più famosi.

Non sono pochi i casi in cui le piattaforme e i social sono finiti sotto accusa, in Europa quanto negli Usa per aver violato norme antitrust per favorire se stessi.

Negli ultimi anni a nulla sono valsi i tentativi di introdurre nelle piattaforme regole di arbitraggio, se non addirittura aste competitive, per far sì che tutti avessero accesso allo stesso modo alle piattaforme online e fossero equamente visibili tra i risultati di ricerca e ricevessero potenzialmente lo stesso numero di visitatori sui propri e-commerce o siti. Dove l’equamente significa a parità di danaro investito proprio sulle piattaforme dei big per farsi spazio a suon di dollari per comprare utenti, click e visibilità.

Ci si dimentica però che gli algoritmi e le intelligenze artificiali che gestiscono le piattaforme rispondono a regole e risultati definiti dai big stessi e sono proprio queste regole ad essere messe continuamente in discussione.

Il precedente delle telco

Volendo fare un paragone con settori simili nelle Telco è avvenuto lo stesso con gli operatori incumbent: avevano la proprietà dell’infrastruttura fisica (il cavo in particolare) e spesso abusavano della posizione dominante e/o provocavano azioni di disturbo ai nuovi operatori che si affacciavano sul mercato nonostante la liberalizzazione del servizio e le authority che dettavano regole una dietro l’altra; ci sono voluti anni ed anni di multe e sanzioni, fino a forzare qualche scissione tra operatore e detentore della rete, prima di vedere il fenomeno mitigato. Ed ancora oggi non è detto che si sia risolto.

Nel mondo internet, nato per definizione libero e con paritetico accesso ai contenuti a tutti, e potenzialmente anche agli utenti, in realtà i big hanno acquisito una posizione dominante non perché hanno gli utenti legati ad un filo, ma perché di quegli utenti conoscono tutto e li dirottano dove meglio credono. Per raggiungere questa conoscenza (questo potere) hanno beneficiato di ingenti capitali raccolti sui mercati che hanno sostenuto molti anni di bilanci in perdita secca e cospicua pur di acquisire una posizione dominante il prima possibile.

Solo negli ultimi 5 anni si sta assistendo ad una continua presa di posizione, e un dibattito molto accesso sulla net neutrality, che accende i fari dei vari servizi antitrust nazionali nei paesi (soprattutto) europei ed americani.

E’ quasi un paradosso quello che stiamo vivendo in questi anni perché vogliamo che la rete rimanga neutrale, che tutti vi possano avere accesso allo stesso modo, ma non vogliamo essere un oggetto passato di mano in mano dai nostri fornitori online.

Il paradosso del mercato B2B

Ma il vero paradosso è proprio nel mercato B2B: se pensiamo ad Amazon o Alibaba, che sono i 2 retail più grossi al mondo e rappresentano messi insieme forse il 3-4% dell’intero commercio mondiale retail, possiamo allora capire che essi sono in realtà i competitor più grandi dei loro stessi clienti, che vendono servizi e prodotti a prezzi più bassi dei propri clienti-competitor e che, quando questi ultimi vendono attraverso la loro piattaforma, guadagnano anche una cospicua commissione per i servizi offerti. Ma non si ferma qui il paradosso.

Infatti l’indotto che i big alimentano è molto più grande del loro fatturato e valore stesso: la logistica, le società di trasporto, i produttori di hardware e software che li supportano, le centinaia di migliaia di dipendenti con le loro famiglie ed i consumi associati (casa, cibo, servizi sociali, scuole, sanità).

L’enorme ecosistema dei big web e il ritorno ai monopoli

Ma le big non si fermano ai servizi principali: oggi sono contemporaneamente motori di ricerca, e-commerce, newspaper su carta e online, operatori TV, operatori di logistica, produttori di film, servizi e contenuti, piattaforme per servizi cloud B2B, servizi di food (produzione e delivery), servizi di telecomunicazione e collaboration, servizi di health & wealth, produttori di libri, fashion designer, produttori di hardware, servizi di pagamento, banche e finanziamenti, etc etc.

E’ proprio questo enorme ecosistema, insieme al fatto che loro sono intermediari unici per una miriade di altre aziende, che rappresenta le n-facce della stessa medaglia e che porta ad un indebolimento dei mercati in quanto la competizione diminuisce: si stanno ricreando monopoli ed oligopoli che sembravano scomparsi dal linguaggio e dalle norme antitrust sin dagli anni ’50.

Infatti, i big online conoscono tutto di tutti: dei loro utenti, dei loro clienti B2B che utilizzano le loro piattaforme e anche dei clienti finali di questi ultimi. Insomma: gli forniscono soluzioni e piattaforme tecnologiche che controllano appieno, imparano a conoscerli e li indeboliscono come competitor.

Sono questi i veri comportamenti anticoncorrenziali che le norme devono riconoscere prima di tutto.

In prima battuta le norme antitrust, e più in generale il nostro quadro giuridico, dovrebbero comprendere la realtà di come le imprese dominanti acquisiscono ed esercitano il potere nell’economia di internet. E poi definire quali sono le forme e i gradi di potere che la legge identifica come una minaccia alla concorrenza.

Senza questi due step rischiamo di permettere la crescita di poteri a cui apparentemente ci opponiamo ma che non riconosciamo come minacce alla concorrenza.

Come preservare competizione e struttura del mercato

Al fine di cogliere questi atteggiamenti anticoncorrenziali, dovremmo sostituire il benessere dei consumatori con un approccio orientato a preservare un processo competitivo e la struttura del mercato.

Ad esempio, bisognerebbe valutare se la struttura di una società crea conflitti di interessi anticoncorrenziali; se sia in grado di sfruttare i vantaggi del mercato attraverso linee di business distinte; e se l’economia dei mercati delle piattaforme online incentiva la condotta aggressiva sui prezzi e se è questo quello che il mercato vuole. Insomma, spostare l’attenzione dal consumatore al mercato B2B. Per assurdo si potrebbe anche arrivare alla conclusione che in alcuni casi si potrebbe addirittura vietare l’integrazione verticale di piattaforme dominanti pur di mantenere la concorrenza su alcuni mercati.

L’impatto delle piattaforme online è altissimo sull’economia reale soprattutto delle città dove non hanno una loro base logistica o operativa, dove non hanno uffici o rappresentanze. In un certo qual modo sottraggono all’economia locale risorse economiche e finanziarie importanti per concentrarle in pochi posti in giro per il mondo e indebolendo localmente la comunità.

Sono questi i motivi che negli ultimi anni hanno messo i big sotto la lente dell’antitrust.

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