È passata qualche era geologica, in termini di tecnologia, dall’introduzione nel nostro ordinamento di una delle norme a quel tempo più attese dagli italiani alle prese con la burocrazia dei timbri. Eravamo alla fine del secolo scorso e, con l’autocertificazione[1], si mandavano finalmente in soffitta (timbri e bolli inclusi) molti dei certificati da presentare ogni qualvolta un cittadino o un imprenditore doveva attestare (alla pubblica amministrazione o a un gestore di pubblici servizi) i propri “stati, fatti o qualità”. Fino a quel momento, la circostanza che tali notizie fossero già note a qualche altro pezzo della PA non aveva alcuna rilevanza: per mandare avanti la pratica non c’era scampo: serviva il certificato.
L’autocertificazione: una soluzione ormai superata
Per oltre vent’anni, quella conquista ha permesso a ciascuno di noi di riappropriarsi di un po’ di libertà e di sentirsi cittadini e imprenditori ‘adulti’, membri di una società più moderna e meno vessatoria nei meccanismi burocratici che la governano. La crescita della complessità del mondo in cui viviamo, però, ha fatto sì che nel tempo le interazioni tra cittadini/imprenditori e PA siano continuamente aumentate e, con queste, anche la massa delle autocertificazioni necessarie, generando nuove criticità. Nel frattempo, anche le tecnologie si sono evolute ed hanno mostrato inevitabilmente i limiti di quello che ormai è uno strumento, nei fatti, superato.
L’autocertificazione, infatti, comporta inevitabilmente rischi di errori sia per chi la sottoscrive sia per la PA che è tenuta a verificarne la correttezza; implica la circolazione di dati (personali e non) che spesso eccedono le finalità del procedimento e/o che sono già in possesso delle PA; comporta numerose attività manuali suscettibili di errori, rende più complicato e costoso l’espletamento delle pratiche amministrative.
Le verifiche del Registro delle Imprese
Gran parte delle PA svolge – quantomeno a campione – controlli manuali sulle autocertificazioni che riceve, utilizzando documenti cartacei o, anche se digitali, di tipo “statico” (pdf). Solo per quanto riguarda il Registro delle Imprese delle Camere di commercio, parliamo di circa 5 milioni di documenti (visure camerali) destinati a verifica nell’ambito di autocertificazioni nell’anno 2022: quasi un documento per ogni impresa.
Il Registro delle Imprese è una banca dati definita dal Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD[2]) “di interesse nazionale” e può essere equiparato all’anagrafe dei cittadini visti come cittadini-imprenditori. Le informazioni che esso contiene riguardano tutti i soggetti che svolgono attività economiche nel nostro Paese e che sono tenuti per legge a comunicarle e a mantenerle aggiornate attraverso comunicazioni telematiche. Dati sulle sedi, sugli amministratori, sui soci e sul capitale sociale, sui bilanci, sulle certificazioni e molto altro ancora. Informazioni indispensabili per avviare procedimenti che riguardano l’impresa, dalla partecipazione ad un bando pubblico all’apertura di una linea di credito.
Se allarghiamo l’orizzonte all’intera PA, centrale e locale, è facile immaginare i costi totali e le inefficienze di un sistema basato sull’autocertificazione e quindi appare imperativo – per un Paese che sta traguardando la trasformazione digitale come passaggio decisivo per il proprio futuro – trovare soluzioni tecnologiche innovative e radicalmente diverse per il dialogo tra imprese e PA.
Il Digital Hub: una nuova soluzione per il dialogo tra imprese e PA
La disponibilità di nuove tecnologie, insieme allo sviluppo di adeguate competenze nella gestione di problemi organizzativi complessi, consente oggi di superare l’autocertificazione e di rendere pienamente digitale il rapporto impresa-PA. In attuazione di una specifica previsione normativa[3] – e nell’ambito del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR – il sistema camerale, con il coordinamento di Unioncamere e tramite il supporto operativo di InfoCamere (società in-house delle Camere di commercio per l’innovazione digitale), ha realizzato quello che la norma ha definito come “Servizio di collegamento delle imprese alla Piattaforma Digitale Nazionale Dati” (PDND[4]) più sinteticamente denominato “Digital Hub”.
Il ruolo degli algoritmi aperti certificati e delle API
Attraverso questo servizio, le imprese possono autorizzare espressamente – in modo semplice e sicuro – il trattamento dei propri dati amministrativi per interagire automaticamente e in tempo reale con le PA. Grazie all’utilizzo di algoritmi aperti certificati (Open Algorithms, OPAL) reso possibile dall’evoluzione della PDND – non più concepita come un data lake dove duplicare dati e informazioni delle singole amministrazioni – e dal nuovo modello di interoperabilità che – nel rispetto delle linee guida AGID – prevede l’utilizzo di Application programming interface (API), il Digital Hub rende facile per le imprese collegarsi alla PDND e si configura come uno snodo che consente ai cittadini imprenditori e alle PA di dialogare dinamicamente tra di loro, attuando il principio “once only” e superando di fatto lo strumento dell’autocertificazione.
I vantaggi per le imprese
Il servizio è stato concepito fin dall’inizio tenendo ben presente che il modello alla sua base, per diventare un riferimento anche per altre tipologie di utenti e per altri procedimenti amministrativi, deve assicurare a tutti gli attori interessati dei benefici tangibili.
Dal lato delle imprese, al momento dell’avvio di un procedimento amministrativo è possibile:
- autorizzare i controlli automatizzati sostitutivi dell’autocertificazione, evitando errori e rischi di false dichiarazioni;
- non fornire più dati già in possesso di altre pubbliche amministrazioni (principio “once only”);
- verificare automaticamente, mediante algoritmi aperti certificati (OPAL) la propria compliance, provvedendo se necessario a regolarizzare la propria posizione;
- ottenere, su richiesta, informazioni certificate dalle pubbliche amministrazioni da utilizzare con i soggetti privati.
I benefici del Digital Hub per la Pubblica Amministrazione
Dal lato della PA, i vantaggi si possono riassumere nella possibilità di:
- effettuare controlli automatizzati, evitando errori nella verifica delle autocertificazioni;
- ottenere automaticamente la certificazione della compliance dell’impresa da parte delle altre pubbliche amministrazioni coinvolte nel procedimento amministrativo;
- ridurre le richieste di accesso ai documenti contenenti dati non necessari ai controlli amministrativi.
Un esempio pratico del funzionamento del Digital Hub
Un esempio per comprendere il funzionamento pratico di questo flusso può essere quello di un imprenditore che vuole partecipare ad un bando per l’assegnazione di risorse pubbliche di una PA centrale (ma lo schema può funzionare ad ogni livello).
Per presentare la domanda, di norma l’imprenditore deve produrre una serie di documenti da sottoporre al vaglio degli uffici della PA che, al termine dell’iter, utilizza le informazioni ricevute per elaborare la classifica di assegnazione delle risorse. Ad oggi, questa procedura prevede l’utilizzo di forme diverse di autocertificazione da parte dell’imprenditore per attestare il possesso dei requisiti richiesti. Dati che spesso sono già nella disponibilità della PA, ma che l’imprenditore deve comunque comunicare rispondendo a domande che lo riguardano (ad esempio: il suo fatturato, quanti aiuti pubblici ha ricevuto in un certo intervallo, il numero di addetti e così via).
Sull’altro versante, la PA che riceve la domanda è tenuta a fare i necessari controlli, formali e sostanziali, rivolgendosi alle amministrazioni che detengono i dati certificati ed interrogando in varie modalità i rispettivi sistemi informatici. Come già detto, la forma più diffusa è l’analisi di documenti ufficiali in formato cartaceo o digitale statico (pdf).
Le criticità di questo tipo di flusso sono evidenti: aggravio di tempi/costi e possibili errori materiali su entrambe i versanti, quello dell’impresa e quello della PA, con conseguenze negative per entrambi: l’impresa può vedersi negato il beneficio e l’amministrazione rischia di sprecare inutilmente risorse pubbliche per l’istruttoria.
Il modello del Digital Hub
Secondo il modello del Digital Hub, l’imprenditore che intende partecipare al bando pubblico non deve fare altro che autorizzare la PA che chiede dati e informazioni relative alla sua impresa a prelevarli laddove questi risiedono (Registro delle Imprese, INPS, INAIL, Agenzia delle Entrate e via dicendo). Come? Utilizzando la propria identità digitale tramite il cassetto digitale dell’imprenditore impresa.italia.it – realizzato da InfoCamere per conto delle Camere di commercio – così come già facciamo con lo SPID per accedere ai diversi servizi pubblici disponibili in rete ed autorizzando l’utilizzo dei controlli automatici relativi ai propri dati.
Una volta dato il proprio consenso, l’imprenditore ha la certezza che la sua domanda sarà compilata con i dati esatti che gli vengono richiesti (perché ufficiali e già in possesso della PA), senza rischi di errori e contestazioni. Spetta poi all’algoritmo, opportunamente istruito, inviare a ciascuna amministrazione la precisa richiesta dello specifico dato – e solo quello – necessario alla compilazione della domanda di accesso al beneficio. Restando al caso del Registro delle Imprese, non c’è più bisogno per l’imprenditore di recuperare e inviare la propria visura camerale, lasciando che sia la PA ricevente a cercare tra i dati quei pochi che realmente sono necessari alla definizione della pratica.
Nel modello del Digital Hub la PA cui viene inoltrata una richiesta motivata deve solo rispondere con un “Si” o con un “No” (ad esempio: “Ha depositato il bilancio?”, “Chi ha firmato la pratica è titolare di cariche nell’impresa?” “L’impresa svolge effettivamente l’attività per cui sono offerti i benefici?” “E’ in regola con i versamenti contributivi dovuti?” o “L’impresa è iscritta alla Camera di commercio?” e così via); oppure con un valore (il fatturato dell’ultimo anno, il numero di addetti, ecc.). Nient’altro. In caso negativo, la PA evidenzia i motivi che impediscono all’impresa di completare il procedimento, facilitando e accelerando tra l’altro la compliance e la regolarizzazione di eventuali adempimenti amministrativi mancanti. Il controllo sui dati resta alla PA che ne è titolare e nessun dato viene inutilmente trasferito. Un’equazione in cui velocità, sicurezza e qualità producono il risultato dell’efficienza.
Conclusioni
In sintesi, il Digital Hub consente alla PA di semplificare e automatizzare i controlli relativi a stati, fatti e qualità delle imprese e dei loro amministratori e, in prospettiva, di superare definitivamente la logica del “pezzo di carta” (che si tratti di un certificato o di un’autocertificazione dell’impresa), passando dall’uso di documenti “statici” (cartacei, pdf) allo scambio di dati interoperabili “dinamici”.
In questa prima fase il servizio è partito con PA altamente automatizzate a livello centrale tramite specifici accordi, per poi progressivamente estendere il modello anche alle PA territoriali. L’auspicio è che il suo successo possa accelerare l’avviamento a regime della PDND e dare un contributo tangibile alla realizzazione del PNRR attraverso la valorizzazione del patrimonio informativo pubblico, a vantaggio della competitività delle imprese e del sistema-Paese.