Lo scenario

Digitalizzazione e commercialisti, ecco perché la formazione non è un optional

L’emergenza coronavirus ha posto i commercialisti di fronte alla necessità di affrontare la trasformazione digitale, per non restare esclusi dal mercato: fondamentale la formazione, ancora troppo trascurata dal settore

Pubblicato il 29 Mag 2020

Fausto Turco

Presidente Accademia dei commercialisti

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Il lockdown causato dall’emergenza sanitaria ha fatto emergere l’urgenza per i commercialisti di investire nella formazione in ambito digital. Se infatti le settimane di restrizioni a causa del coronavirus hanno portato maggiore consapevolezza su quanto sia indispensabile la tecnologia nella professione, è pur vero che sono diventati evidenti i limiti esistenti, soprattutto a causa di una tendenza del settore a non affidarsi all’innovazione. La reticenza però va abbattuta comprendendo gli enormi vantaggi portati dalla digitalizzazione delle procedure documentali e fiscali. In questo contesto, formarsi diventa per i professionisti un’occasione per rimanere competitivi. Vediamo perché non si può più rimandare.

Il gap digitale dei commercialisti

Per il ruolo indispensabile che svolgono nei confronti di aziende e professionisti, i commercialisti non possono fermare la loro attività. Se si bloccano, restano ferme anche le imprese. Questo in relazione al lockdown ovviamente ma, con un punto di vista più ampio, anche riguardo alla digitalizzazione dei processi. Le aziende infatti, dalle più grandi alle PMI alle micro realtà, stanno sempre di più capendo l’importanza e l’utilità di affrontare processi di trasformazione digitale. Il commercialista non può rimanere indietro, deve mantenere lo stesso passo dei suoi clienti per essere competitivo sul mercato. Eppure, questa consapevolezza non è ancora radicata nel settore. Di conseguenza, una situazione di crisi come l’emergenza coronavirus ha portato a galla in modo dirompente il gap digitali degli studi di commercialisti.

I comportamenti adottati dai professionisti del settore durante gli ultimi mesi sono diversi a seconda del grado di informatizzazione avuto in precedenza:

  • chi aveva tutta la documentazione necessaria a lavorare già in cloud, durante il lockdown è passato a una modalità smart facilmente, continuando a mantenersi operativa;
  • chi aveva una parte in cloud e una parte ibrida, ha fatto maggiormente fatica, perdendo giornate preziose di lavoro;
  • chi invece aveva un grado più basso di digitalizzazione e non usava il cloud, non solo ha avuto difficoltà ma ha causato ripercussioni problematiche per i propri clienti. I disagi si sono avuti anche dal punto di vista occupazionale, perché i dipendenti non sono stati messi nelle condizioni di poter lavorare.

Gran parte dei commercialisti ha sottovalutato i vantaggi della digitalizzazione troppo a lungo. Così, nell’emergenza sono sorte le difficoltà.

La diffidenza verso l’innovazione

Nel settore spesso manca un approccio completo relativo alla cultura tecnologica, così il gap digitale continua ad aumentare. Gli studi di commercialisti che hanno riaperto nella Fase 2, non possono ancora portare tutti i dipendenti in studio: lo smart working è ancora essenziale. Tuttavia, persistono problemi e resistenze. Le conseguenze possono essere molto serie, soprattutto in un momento come questo, caldissimo per i commercialisti a causa della corsa agli incentivi da parte di aziende e professionisti, nonché per le scadenze fiscali che si avvicinano. Proprio ora che i clienti hanno bisogno, gli studi rischiano di trovarsi senza personale e senza infrastrutture digitali adeguati.

Eppure, basterebbe poco, come usare piattaforme di condivisione. Il commercialista oggi deve essere in grado di affiancare l’imprenditore in ogni sua attività. Lo studio deve diventare un partner, consigliare e seguire l’azienda nell’intraprendere le giuste strategie. Una visione importante ma che manca nel settore, a livello nazionale.

Vista la situazione, è necessario implementare una cultura del dato. Per aiutare al meglio le aziende in crisi, i commercialisti devono reinventarsi e adottare una data driven strategy. Sono necessari un percorso di trasformazione e l’adozione di modelli di business che consentano ai commercialisti di capire l’importanza fondamentale dei dati, per formare una cultura su di essi. Gli studi devono avere un approccio diverso all’utilizzo dei dati.

Creare competenze: il caso dell’Accademia dei commercialisti

In tutto ciò, lo strumento per superare le difficoltà è la formazione. Gli studi di commercialisti investono poco in questo ambito ed è sbagliato. Eppure, le occasioni per migliorarsi e creare competenze non mancano. Un esempio sul mercato è dato dai corsi dell’Accademia dei commercialisti. Per superare il momento di emergenza, in queste settimane sono stati progettati percorsi formativi e tavole rotonde digitali, con l’ausilio di psicologi e professionisti di digital customer experience.

L’obiettivo è colmare il gap di competenze tra i commercialisti. A questo pro, sono partiti anche master tecnologici con gli ordini dei dottori commercialisti di Mantova, Busto Arsizio, Milano e Novara. Il percorso formativo prevede dieci lezioni per venti ore di formazione tecniche sulla digitalizzazione al servizio degli studi. Uno dei temi caldi trattati è la sicurezza dei dati, per l’adeguamento degli studi al regolamento europeo GDPR.

Conclusione

In sostanza, data protection, smart working, digital transformation sono i tre driver per il commercialista di successo. I professionisti del settore devono accrescere la propria consapevolezza e vincere la reticenza verso la tecnologia per poter lavorare in sicurezza e garantire perfomance di alta qualità ai propri clienti. Serve una scossa a questo mercato: gli studi devono preoccuparsi di rimodellare il loro metodo di erogazione dei servizi. Una condizione urgente, da affrontare subito.

L’articolo è parte di un progetto di comunicazione editoriale che Agendadigitale.eu sta sviluppando con il partner Accademia dei commercialisti.

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