il punto

Riforma delle intercettazioni, occasione per una giustizia più “smart”: novità e questioni da risolvere

L’emergenza covid ha accelerato la digitalizzazione della Giustizia. La nuova disciplina potrà renderla più “smart” consentendo quel salto di qualità che permetterà sia lo svolgimento di servizi essenziali durante situazioni critiche, sia di raggiungere i livelli di ottimizzazione necessari a ridurre la durata dei processi

Pubblicato il 24 Set 2020

Antonio Marco Giuliana

Security Analyst hermes bay

Giustizia digitale

La nuova disciplina sulle intercettazioni contenuta nella legge del 28 febbraio 2020, n.7 rappresenta, per gli uffici giudiziari italiani, sotto il profilo organizzativo, un obiettivo di digitalizzazione avanzata e di messa in sicurezza dei sistemi informatici del relativo settore intercettazioni, nonché costituisce un decisivo passo in avanti verso la realizzazione del processo telematico.

Vediamo in cosa consiste la riforma, quali sono le novità più rilevanti (soprattutto in tema di captatori informatici) e le questioni da risolvere.

L’iter della riforma

La riforma è stata introdotta dal decreto legislativo del 29 dicembre 2017 n. 216 ma è stata poi modificata nella corrente legislatura dal decreto-legge n.161 del 2019 convertito con modificazioni dalla legge n.7 del 2020. Si ravvisa, pertanto, come la riforma, la cui pubblicazione era stata prevista per il 2018, abbia avuto un iter abbastanza complesso e travagliato costituito da numerose proroghe. Inoltre, la sua attuazione ha comportato uno sforzo organizzativo, formativo e di investimento infrastrutturale notevole, risultando al contempo innovativa sotto diversi aspetti così come evidenziato dal “Guardasigilli” Alfonso Bonafede secondo cui la riforma rappresenta “una fase nuova per uno strumento investigativo fondamentale come quello delle intercettazioni”. Proprio per consentire una più veloce attualizzazione delle novità introdotte, il Ministero della Giustizia “rimarrà costantemente in contatto con i Procuratori della Repubblica e l’Avvocatura per raccogliere le segnalazioni circa le eventuali criticità che dovessero manifestarsi ed approntare le relative soluzioni”.

Le novità più rilevanti

La nuova disciplina individua un punto di equilibrio tra le fondamentali esigenze della tutela della riservatezza, l’efficacia delle indagini preliminari e le garanzie difensive.

La novità più rilevante introdotta dalla riforma è quella riguardante la selezione delle intercettazioni relative alle indagini che spetta ora al Pubblico Ministero e non più alla polizia giudiziaria. La polizia giudiziaria che materialmente le esegue avrà invece il compito di vigilanza sullo svolgimento delle attività di intercettazioni stesse. Inoltre, il magistrato inquirente nell’esercizio delle sue attività è chiamato ad evitare possibili interferenze nella privacy facendo attenzione ad assicurare il delicato equilibrio tra la tutela della riservatezza delle persone coinvolte e le esigenze investigative. Si tratta di un punto nevralgico su cui si fonda la riforma. Infatti, le nuove norme dispongono che non dovranno essere trascritte le conversazioni relative ai dati sensibili per la privacy e neppure quelle che appaiono idonee a danneggiare la reputazione dei soggetti intercettati.

Altro aspetto è il potenziamento del ruolo degli avvocati difensori: costoro possono prendere visione dei fascicoli, ascoltare le conversazioni ed estrarre copia senza i limiti della legge Orlando; è anche possibile eseguire trasposizioni del materiale intercettato su altri supporti. Cambiano anche le disposizioni riguardo i giornalisti che pubblicano intercettazioni o parti di esse: non è più considerato violazione del segreto d’ufficio.

Tutto il materiale intercettato dovrà poi confluire, entro il termine massimo di cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, in un apposito Archivio Digitale Intercettazioni (ADI). A tal proposito, spetta al Pubblico Ministero il compito di vigilare su questo archivio che deve essere “gestito con modalità tali da assicurare la segretezza della documentazione relativa alle intercettazioni non necessarie per il procedimento ed a quelle irrilevanti e di cui è vietata l’utilizzazione ovvero riguardanti categorie particolari di dati personali”. Il Procuratore della Repubblica dal canto suo è tenuto ad “impartire, con particolare riguardo alle modalità di accesso, le prescrizioni necessarie a garantire la tutela del segreto su quanto custodito”. All’archivio possono accedere, secondo quanto stabilito dal codice, il giudice che procede e i suoi ausiliari, il pubblico ministero e i suoi ausiliari, ivi compresi gli ufficiali di polizia giudiziaria delegati all’ascolto. Possono accedervi anche gli avvocati difensori (assistiti se necessario anche da un interprete) recandosi presso l’ufficio della Procura con un’apposita istanza di accesso all’ADI, ma in un primo momento solo ascoltando quanto registrato senza estrarne copia, almeno fino alla possibile udienza che viene chiamata “stralcio”. L’iter per la consultazione prevede che, una volta ottenute le credenziali, il difensore potrà recarsi presso la sala di ascolto ove verrà identificato da parte del personale della Procura, che provvederà ad annotare il suo accesso in un apposito registro gestito con modalità informatiche; in esso saranno indicate data, ora iniziale e finale, e gli atti specificamente consultati e quelli consegnati in copia. All’avvocato verrà assegnata una postazione individuale con relativa cuffia ove potrà, previo login, consultare i contenuti autorizzati dalla Procura.

Il captatore informatico

Un altro punto molto importante introdotto dalla legge del 28 febbraio 2020, n.7 è la disciplina relativa all’utilizzo dei cosiddetti “captatori informatici” detti anche trojan, cioè dei software che consentono:

  • di captare tutto il traffico dati in arrivo o in partenza dal dispositivo “infettato” dell’indagato (navigazione e posta elettronica);
  • di attivare a distanza il microfono e, dunque, di apprendere per tale via i colloqui che si svolgono nello spazio che circonda il soggetto che ha la disponibilità materiale del dispositivo, ovunque egli si trovi;
  • di mettere in funzione la fotocamera, permettendo di carpire le immagini;
  • di perquisire l’hard disk e di fare copia, totale o parziale, delle unità di memoria del sistema (keylogger) e visualizzare ciò che appare sullo schermo del dispositivo bersaglio (screenshot);
  • di sfuggire agli antivirus in commercio;
  • di rilevare, tramite il gps, la posizione in tempo reale dell’indagato.

In particolare la riforma dispone che le captazioni del trojan, equiparate alle intercettazioni tra presenti, abbiano la peculiarità di poter essere utilizzate anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, qualora risultino indispensabili per l’accertamento dei delitti di mafia, terrorismo e, tra gli altri, traffico di droga e immigrazione clandestina, in sostanza per tutte le fattispecie di competenza della Direzione distrettuale antimafia. Possono però essere utilizzate anche per tutti i reati commessi contro le PA con pena detentiva superiore a cinque anni, sia se il soggetto attivo è un pubblico ufficiale, sia nelle indagini su incaricati di pubblico servizio. Ora occorre focalizzarsi su quest’ultima categoria per capire quale sia il margine di azione di questo strumento tecnologico: secondo la legge, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio, cioè una attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima. Non sono dunque pubblici ufficiali, ma svolgono comunque un servizio di pubblica utilità presso organismi pubblici. Quindi la qualifica di incaricato di pubblico servizio non è legata al ruolo formale ricoperto dal soggetto all’interno della pubblica amministrazione, ma ciò che rileva è la natura pubblicistica dell’attività svolta in concreto. Si tratta di una categoria ampia e trasversale di cui fanno parte per esempio medici, insegnanti, dipendenti pubblici, e via discorrendo. Ne consegue che il captatore informatico possa essere utilizzato anche nelle case private o in altre luoghi privati in cui l’intercettato lavora,  studia o svolge altre attività: per fare questo basterà che il magistrato titolare delle indagini dimostri un “fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo un’attività criminosa” e che il giudice approvi la motivazione, così si legge nelle modifiche apportate all’articolo 266 del codice di procedura penale.

Il tema dell’invasività del trojan – che di fatto può vedere, sentire e registrare tutto ciò che l’indagato vive e scrive – è presente al legislatore che ne affida le cure (qui come nelle intercettazioni telefoniche) al pubblico ministero che “dà indicazioni e vigila affinché nei verbali (di trascrizioni del registrato) non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini”. Il Pubblico Ministero ne analizzerà il contenuto e sceglierà quelle davvero rilevanti, avendo cura di eliminare dai successivi verbali tutti i dati sensibili e le espressioni che ledono la reputazione delle persone intercettate. Dopodiché, registrazioni e verbali verranno conservati in un apposito archivio digitale. Quest’ultimo punto, a ben vedere, rappresenta l’altra fondamentale novità della riforma ovvero la completa rivisitazione della disciplina di acquisizione e conservazione delle conversazioni e comunicazioni che, a prescindere dallo strumento tecnologico attraverso il quale sono state intercettate, prevede oggi un meccanismo piuttosto complesso di “trattamento”. La ratio ispiratrice è quella di tutelare la riservatezza tanto delle persone estranee al procedimento (le cui conversazioni loro malgrado potrebbero confluire negli atti del processo) quanto dello stesso indagato che, nonostante sottoposto ad indagini, non perde il diritto a non vedersi violare la segretezza delle comunicazioni e di tutto quanto non abbia attinenza rispetto alle indagini.

Le questioni da risolvere

Restano comunque alcune questioni da risolvere: è ancora da capire se il trojan verrà prodotto “in House” con una tecnologia proprietaria o se acquistato da società private anche straniere. In quest’ultimo caso si dovrà capire quale sarà il criterio di selezione che dovrà essere utilizzato per l’acquisto dei trojan, quali le caratteristiche tecniche da considerare e quali saranno le garanzie offerte, da tenere in considerazione, dalle società private che forniscono questi programmi anche alla luce dei principi di tutela dei dati personali da ultimo imposti dal Regolamento europeo 679/2016 (Gdpr). Potrebbe essere utile costituire un albo nazionale delle società abilitate a fornire questi strumenti come anche un tariffario per tali prestazioni. Sono tutte problematiche per la cui soluzione non resta che attendere auspicati chiarimenti da apprendere magari con la pubblicazione di appositi decreti ministeriali o, in assenza, con gli orientamenti degli uffici giudiziari.

Gli investimenti

Meticolosa è stata l’opera di individuazione dei fabbisogni di locali, di arredi e di ogni supporto logistico finalizzato al funzionamento della nuova disciplina delle intercettazioni. Sono stati censiti, individuati e conformati alle nuove previsioni i Centri per le Intercettazioni delle Telecomunicazioni (CIT), siti negli uffici della Procura della Repubblica, ove si svolgono le attività connesse all’effettuazione delle intercettazioni ed alle quali può accedere esclusivamente il personale autorizzato dal Procuratore della Repubblica, al fine di adeguarli alle nuove politiche di sicurezza così cristallizzate dalla normativa.

Inoltre, presso gli uffici delle Procure della Repubblica sono state individuate e allestite le cosiddette “sale di ascolto”, ovvero i luoghi deputati all’ascolto delle conversazioni e comunicazioni registrate per i soggetti legittimati. Tutte le strutture dedicate alle attività tecniche di intercettazione sono state dotate di sistemi di sicurezza avanzati: è stato, infatti, realizzato un sistema di videosorveglianza dedicato a circuito chiuso provvisto di telecamere digitali ad alta risoluzione, registratori digitali, monitor di controllo e infrastruttura di comunicazione, con registrazione delle immagini nel rispetto delle prescrizioni dettate dal Garante per la protezione dei dati personali.

In un dossier assai dettagliato gli uffici del Ministro Bonafede forniscono i dettagli di questa nuova riforma delle intercettazioni e i numeri necessari per capire meglio cosa succederà nei prossimi mesi in Italia. In particolare, il Ministero ha:

  • allestito 140 sale Centro Intercettazioni Telecomunicazioni (CIT) con rete e cablaggio dedicato e dotazione di Pc portatili dedicati;
  • installato in ogni sala CIT il server ministeriale e realizzato il software per la gestione dell’archivio digitale multimediale e per l’archivio documentale;
  • investito 60 milioni di euro per le infrastrutture tecnologiche, per le opere murarie e per gli acquisti necessari;
  • ha realizzato circa 700 server e rack dedicati alle sole intercettazioni;
  • ha acquistato oltre 1100 PC destinandoli alle sale d’ascolto;
  • coinvolto circa 3.500 persone nella formazione specifica (personale amministrativo, magistrati e polizia giudiziaria).

In relazione a quanto esposto il Ministero spiega che l’immediato futuro “vede gli uffici coinvolti chiamati indubbiamente alla sfida di un rinnovamento anche delle logiche organizzative e dei flussi di lavoro”. In tale direzione vanno le attività formative partite il 10 di settembre in tutte le Procure della Repubblica, con la predisposizione di un supporto ministeriale alla gestione organizzativa. Al fine di supportare tale percorso si segnalano le seguenti iniziative:

  • le fasi di avvio applicativo della nuova disciplina sono accompagnate dall’offerta di una costante assistenza da parte della Direzione Generale per i Sistemi Informativi Automatizzati (DGSIA) e della Direzione generale delle risorse materiali e delle tecnologie, per le attività di rispettiva competenza;
  • la DGSIA sta provvedendo a dotare le 140 Procure anche di personale di assistenza appositamente dedicato;
  • la formazione dedicata proseguirà anche mediante incontri specifici e webinar aperti al personale della polizia giudiziaria, secondo indicazioni che verranno offerte dalle competenti direzioni generali (Direzione del personale e Direzione dei servizi informativi e automatizzati);
  • sono in corso di programmazione gli incontri di carattere operativo/organizzativo con il Dipartimento al fine di verificare come risolvere le problematiche logistiche e lavorative che l’avvio della nuova disciplina potrebbe comportare;
  • è in fase di costituzione un gruppo operativo con la partecipazione di alcuni rappresentanti degli uffici di Procura, che si confronterà con la DGSIA sui necessari sviluppi del sistema informatico, anche nell’ottica di un rapido approdo alla gestione interamente digitalizzata del procedimento;
  • apposite sessioni saranno dedicate anche all’Avvocatura, mediante confronto in sede di “sportello permanente per la giustizia telematica”, istituito con il protocollo sottoscritto lo scorso 23 luglio.

Conclusioni

Il tema delle intercettazioni mette in gioco interessi diversi e diritti diversi come ad esempio il diritto alla sicurezza, il diritto alla vita privata, alla riservatezza, alla protezione dei propri dati. Le intercettazioni sono un punto delicatissimo di questo equilibrio proprio perché rappresentano una misura molto invasiva della vita privata ma che naturalmente è giustificata quando viene svolta nel rispetto delle regole. La predisposizione dell’archivio digitale rappresenta quindi il manifesto culturale della nuova disciplina delle intercettazioni che è avvenuta nel nome della protezione del diritto alla riservatezza. Si è visto, infatti, che tutti gli atti relativi al materiale intercettato dovranno essere depositati in via telematica, in un archivio digitale creato ad hoc presso la Procura della Repubblica. L’emergenza epidemiologica ha dato un’accelerazione notevole alla digitalizzazione della Giustizia con la previsione del deposito telematico degli atti di polizia giudiziaria e da parte dei difensori di istanze e documenti conseguenti alla chiusura delle indagini preliminari. Questa ulteriore disciplina potrà rendere la Giustizia più “smart” consentendole di fare quel salto di qualità necessario che permetterà, alla luce dei servizi digitali introdotti, da una parte lo svolgimento di servizi essenziali durante situazioni critiche (come quelle pandemiche), dall’altro potrà consentire di raggiungere livelli di ottimizzazione complessivi necessari alla compressione dei tempi di svolgimento dei processi.

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