DeFi

La finanza decentralizzata su Ethereum: strumenti, punti di forza e problemi

La finanza decentralizzata è una naturale evoluzione dei concetti di criptovaluta e di smart-contract, consentendo una disintermediazione di un fenomeno rigidamente regolato come quello della finanza tradizionale.

Pubblicato il 28 Giu 2021

Riccardo Berti

Avvocato e DPO in Verona

Franco Zumerle

Avvocato Coordinatore Commissione Informatica Ordine Avv. Verona

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Quando si elencano i punti di forza di Ethereum (criptovaluta pensata non solo come una moneta digitale ma piuttosto come un vero e proprio computer decentralizzato in grado di eseguire codice a pagamento) si sente spesso nominare, insieme a smart-contract ed NFT, la finanza decentralizzata (DeFi).

DeFi in sostanza è una forma di finanza basata su blockchain, si tratta di un termine collettivo che raggruppa diversi prodotti e servizi che ricalcano i prodotti finanziari proposti dai mercati in una forma decentralizzata (e deregolata) garantita dalla blockchain.

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Di fatto non stiamo parlando solamente di strumenti finanziari nel senso classico del termine, la DeFi include anche strumenti distanti dal mondo della finanza comunemente intesa, come lotterie e prestiti fra privati.

Inoltre sono diffusi progetti di assicurazione su DeFi, mirati soprattutto a garantire gli investitori dai rischi di programmazione che potrebbero comportare una perdita economica per i soggetti che investono in questi strumenti.

Ci sono poi strumenti che si avvicinano maggiormente a quelli finanziari tradizionali, come acquisto e vendita di criptovalute, token, progetti di crowdfunding, prestiti lampo (senza la necessità di rivelare le identità di mutuante e mutuatario) e numerosi altri progetti.

Il vantaggio di questi strumenti, oltre ai bassi costi e alla privacy estrema che possono offrire, consiste nella possibilità di predeterminare il comportamento dello strumento (ad esempio vendendo o acquistando titoli o token sulla base del raggiungimento di determinati valori da parte degli stessi, affidando questa scelta ad “oracoli”, ovvero servizi di terze parti che forniscono dati affidabili agli smart-contract negoziati su blockchain).

I protocolli DeFi consentono, in sostanza di programmare i nostri soldi, implementando codici che eseguono ordini complessi sulle nostre negoziazioni (similmente a come accade, sui mercati negoziati, in alcune piattaforme di trading)

Il protocollo più noto per negoziare strumenti DeFi è Uniswap, che è basato sulla blockchain di Ethereum e consente di creare “liquidity pool”, ovvero gruppi di utenti (ma anche bot) che si riuniscono per fornire liquidità che poi viene prestata o scambiata, generando (auspicabilmente) utili per i soggetti che hanno messo a disposizione i fondi. Di fatto Uniswap può essere visto come una sorta di exchange decentralizzato, che consente inoltre di negoziare strumenti finanziari.

Il predominio di Ethereum

A oggi oltre il 90% di questi strumenti, il cui mercato a ottobre 2020 valeva 11 miliardi di dollari, è negoziato su Ethereum, il che dimostra ancora una volta come il futuro delle criptovalute non sia solo quello di fare appunto da “valute”, ma passi necessariamente per la programmazione di azioni e relazioni che operano su queste blockchain.

Per questo Ethereum, che è stata la prima blockchain a nascere con l’idea di essere una criptovaluta “programmabile” gode ora di un successo paragonabile solamente a quello di Bitcoin.

C’è da dire però che il mercato si sta arricchendo di competitors e se si stanno facendo avanti piattaforme alternative per gestire queste operazioni di finanza decentralizzata (anche per sfuggire alle commissioni elevate che si pagano sull’affollata blockchain di Buterin).

Inoltre Ethereum, anche a causa dei valori che ha raggiunto, soffre ultimamente di una certa difficoltà a prendere decisioni difficili ma necessarie, come quella dell’abbandono della proof-of-work in favore di modelli più agili di validazione, più volte prorogata.

Le proroghe hanno anche comportato il temporaneo “disinnesco” della cosiddetta “difficulty bomb”, ovvero un meccanismo creato per aumentare progressivamente la difficoltà degli algoritmi di chiusura dei blocchi con il passare del tempo. Il progressivo aumento della potenza di calcolo necessaria a chiudere i blocchi farà arrivare i miners a un punto in cui chiudere i blocchi non sarà più conveniente e così Ethereum entrerà nella cosiddetta “Era Glaciale di Ethereum” in cui non sarà più possibile far proseguire la blockchain registrando nuove transazioni.

Questa “difficulty bomb” è pensata come un meccanismo che dovrebbe spingere i vari soggetti che collettivamente possono decidere il futuro di Ethereum all’abbandono della proof-of-work per un sistema che non si basi sulla difficoltà dell’algoritmo per convalidare le transazioni, ma le difficoltà della piattaforma nel raggiungere un consenso verso questa transizione hanno spinto a molteplici sospensioni del meccanismo per il timore che l’”Era glaciale” della criptovaluta possa realizzarsi davvero.

Nonostante questi problemi Ethereum rimane, come visto, di gran lunga il primo mercato per la DeFi, anche se la concorrenza inizia a farsi sentire, con l’aumento della notorietà di questi meccanismi.

I concorrenti

La sfida ora consiste nel separare il grano dalla crusca e individuare quali fra queste piattaforme concorrenti siano davvero affidabili in un mondo senza regole giuridiche e governato dalla tecnologia, dove è essenziale negoziare su un mercato affidabile, un “terreno di gioco” – ovvero la blockchain – che deve essere stabile e affidabile per consentire di svolgere transazioni con un minimo di tranquillità.

In questo mondo non esistono questionari MiFID e soggetti da tenere responsabili nel caso di consigli incauti, ma nonostante i rischi gli investitori sono attratti dai bassi costi e dai guadagni potenzialmente elevati.

Come dimostra però il fondamentale passaggio della scelta della blockchain a cui affidare i propri investimenti, questo non è un terreno adatto ai neofiti, per poter utilizzare gli strumenti di finanza decentralizzata è opportuno aver dimestichezza non solo con il mondo della finanza, ma anche con quello della tecnologia.

Tra le nuove piattaforme che si stanno specializzando a gestire strumenti di DeFi, possiamo menzionare Polkadot, Pancake Swap, Chainlink e Near Protocol.

Polkadot è un recente protocollo lanciato dalla Web3 Foundation e creata dal co-fondatore di Ethereum Gavin Wood. Il sistema punta sull’interoperabilità fra diverse blockchain per battere la concorrenza.

La novità di Polkadot consiste in particolare nelle cosiddette “parachain”, ovvero nella possibilità di integrare blockchain esterne al protocollo come sidechain garantendo così l’inedita possibilità di fare da tramite fra piattaforme distinte con estrema semplicità.

Pancake Swap è il progetto per la finanza automatizzata di Binance (uno tra gli exchange di criptovalute più grandi del mondo) ed è ospitato sulla Binance Smart Chain.

Questo protocollo è molto noto per la possibilità di partecipare a lotterie e scambiare token e ha raggiunto e superato Ethereum per numero di transazioni in alcuni giorni del 2021.

Chainlink e Near Protocol invece si basano entrambi su blockchain proprietarie proof-of-stake (in termini estremamente semplicistici si tratta di una blockchain in cui la convalida delle transazioni avviene sulla base di “cauzioni” messe a disposizione dai validatori) il che pone questi due protocolli in una posizione di vantaggio rispetto a Ethereum, ancorato alla proof-of-work, sistema per cui la validazione delle transazioni è basata sulla potenza di calcolo e quindi più dispendioso in termini energetici (e quindi di costi).

Chainlink, inoltre, è un progetto che include un network di oracoli, che punta quindi a fornire un sistema affidabile di terze parti, che può fornire informazioni sui valori finanziari a cui si ancorano gli strumenti di DeFi agli smart-contract che li propongono.

La mancanza di tutele

La finanza decentralizzata è una naturale evoluzione dei concetti di criptovaluta e di smart-contract, consentendo una disintermediazione di un fenomeno rigidamente regolato come quello della finanza tradizionale.

I problemi sono però evidenti e partono dal principio che questa rigida regolamentazione dei vari settori della finanza tradizionale non è casuale ed è orientata alla tutela degli investitori nonché dei soggetti che ricevono investimenti, affinché le regole del gioco non siano falsate a danno di un’azienda o di uno o più investitori.

La mancanza di queste regole rende possibile meccanismi speculativi incontrollati e incontrollabili, così come rende difficile “tornare indietro” e fornire tutela a soggetti, progetti o aziende finanziate che abbiano subito delle truffe a loro danno che ne hanno alterato i rendimenti.

Inoltre per i soggetti meno avvezzi ai meccanismi tecnologici, o a quelli finanziari, esiste sempre il rischio di cadere vittime di schemi piramidali che si fanno scudo dell’apparente sicurezza di una blockchain.

La deregolamentazione giuridica e l’anonimato, punti di forza di questi strumenti finanziari, finiscono quindi per diventare una debolezza nel momento in cui questi strumenti tentano di diventare mainstream e approcciare un pubblico più vasto.

Se la finanza in criptovalute è uno strumento che è destinato ad aumentare nei volumi, a oggi è ancora difficile pensarlo come un vero e proprio sostituto della finanza “intermediata”, rimanendo uno strumento che diventa importante all’aumentare della sfiducia verso le istituzioni (come dimostra ad esempio il recente boom negli investimenti in criptovalute e nel mining in un’Argentina vessata dall’inflazione).

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