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La regolamentazione delle ICOs in Italia: l’approccio Consob e il contesto internazionale

La consultazione pubblica Consob sulla possibile regolamentazione delle “offerte iniziali di crypto-assets” apre la strada alla disciplina di un settore finora frammentato. L’analisi del il contesto, internazionale e domestico, in cui si inserisce l’iniziativa, in attesa di una soluzione condivisa a livello europeo

Pubblicato il 10 Mag 2019

Giovanni Cucchiarato

Partner dello Studio Legale DWF (Italy) ed esperto di FinTech

Crypto_assets

Ico e scambi di crypto-assets, la Consob ha lanciato una consultazione pubblica (scade il 5 giugno) che apre la strada a una futura regolamentazione del settore basato sulla blockchain. Ecco alcune riflessioni sulle proposte contenute nel documento dell’authority, in vista del public hearing organizzato dall’Autorità di controllo sulla Borsa per il 21 maggio alla Bocconi di Milano.

Il Documento per la discussione di Consob su ICO

Tramite la pubblicazione, lo scorso 19 marzo, di un “Documento per la Discussione” (d’ora in avanti anche il “Documento”) la Consob ha deciso di avviare anche in Italia un dibattito sulla possibile regolamentazione delle “offerte iniziali di crypto-assets (note comunemente col nome di “initial coin offerings” o “ICOs”) e della successiva fase di scambio e negoziazione degli stessi crypto-assets (per i quali Consob utilizza nel Documento l’espressione in italiano “cripto-attività” e che vengono normalmente denominati nella prassi con espressioni anglosassoni quali “tokens“, “digital assets” o “virtual assets“).

Le ICOs si caratterizzano normalmente, rispetto alle ordinarie quotazioni (“initial public offerings” o “IPOs”), per la presenza di alcuni elementi distintivi, richiamati anche da Consob nel suo Documento, quali:

  • l’utilizzo della tecnologia blockchain e la connessa disintermediazione rispetto ai soggetti tipicamente operanti sui mercati dei capitali;
  • l’utilizzo (il più delle volte) di valute virtuali per il pagamento dei crypto-assets;
  • la pubblicità e la promozione delle offerte tramite il web;
  • la pubblicazione di un cosiddetto whitepaper in luogo del prospetto prescritto per le IPOs.

Nello specifico, attraverso la pubblicazione del Documento – che è frutto di un lavoro interno all’Autorità durato otto mesi – Consob ha deciso di rivolgersi agli stakeholders del mondo finanziario (risparmiatori, emittenti/offerenti di crypto-assets, promotori di ICOs dirette al pubblico dei risparmiatori residenti in Italia, soggetti che offrono servizi di negoziazione e/o custodia di crypto-assets, nonché altri soggetti potenzialmente interessati), al fine di raccogliere loro commenti e proposte in merito a:

  • una possibile definizione normativa dei crypto-assets;
  • un possibile approccio regolatorio relativamente alle offerte di crypto-assets di nuova emissione;
  • un possibile approccio regolatorio rispetto alla successiva fase di negoziazione dei crypto-assets.

Con riferimento alle sopra citate tre aree tematiche, Consob ha tratteggiato nel Documento una propria idea di possibile regolamentazione, sottoponendo a coloro che vorranno partecipare alla pubblica consultazione una serie di quesiti (15 in totale) riferiti a ciascuna delle proposte regolamentari avanzate dall’Autorità.

Al fine di discutere degli argomenti posti all’attenzione degli stakeholders, l’Autorità di Vigilanza italiana ha organizzato un public hearing, che si terrà la mattina del prossimo 21 maggio presso l’Università Bocconi di Milano.

Come annunciato dal Commissario Consob Paolo Ciocca durante la presentazione del Documento, ad esito della pubblica consultazione – il cui termine finale è stato prorogato dal 19 maggio al 5 giugno – e del public hearing che si terrà il 21 maggio, verrà presentata al Governo, auspicabilmente prima dell’estate, una proposta di testo legislativo che avrà quale obiettivo principale la tutela degli investitori.

La “apertura” della Consob verso il fenomeno delle ICO

Come da più parti autorevolmente evidenziato, la decisione di Consob di coinvolgere – anche tramite un public hearing – tutti gli stakeholders nel dibattito su una possibile futura normazione della materia fa ben sperare relativamente ad un positivo (ed auspicabile) atteggiamento di apertura verso il fenomeno delle initial coin offerings e, più in generale, nei confronti della tecnologia blockchain sulla quale esse si fondano.

Tale atteggiamento di apertura verso le distributed ledger technologies (“DLTs”) è confermato anche dalla loro recente definizione legislativa, avvenuta con la conversione in legge del “Decreto Semplificazioni” (Decreto Legge 14 dicembre 2018, n. 135, convertito con Legge 11 febbraio 2019, n. 12), che ha definito le “Tecnologie basate su registri distribuiti” come le “tecnologie e i protocolli informatici che usano un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili”.

Il Decreto Semplificazioni ha inoltre regolamentato altri aspetti relativi alle DLTs (che abbisognano ancora di essere meglio definiti tramite l’emanazione di atti di normativa secondaria), come il riconoscimento degli effetti giuridici connessi alla memorizzazione di un documento informatico attraverso l’uso delle DLTs, alla quale vengono riconosciuti “gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica”, ossia del cosiddetto “time stamp“, conferendo così certezza giuridica sulla data ed ora applicate al documento digitale; nonché la definizione dello smart contract quale “programma per elaboratore che opera su Tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse”, ed il riconoscimento a quest’ultimo del requisito della forma scritta “previa identificazione informatica delle parti interessate”.

Certezza normativa per favorire gli investimenti

Tornando alla pubblica consultazione aperta da Consob, essa è sicuramente meritoria anche in considerazione della necessità, da più parti invocata, della definizione di un quadro regolatorio chiaro. Non vi è dubbio infatti che la certezza normativa favorisca gli investimenti, anche da parte di attori stranieri, siano essi rappresentati da nuovi operatori del settore, o dagli “incumbents” già presenti sul mercato.

Vi sono poi due ulteriori fattori – di cui la Consob non fa mistero nel proprio Documento – che rendono opportuna, oltre che non più rinviabile, la definizione di un quadro normativo nazionale, ossia:

  • la mancanza (attualmente) di una regolamentazione del fenomeno a livello europeo, che ha portato – come vedremo – alcuni Stati membri a prevedere un approccio regolamentare autonomo,
  • la presenza di forme di abusivismo consistenti nel lancio di ICOs rivolte al pubblico degli investitori residenti in Italia ed aventi le caratteristiche delle offerte al pubblico di prodotti finanziari, effettuate senza il rispetto delle prescrizioni del TUF, ed in particolare senza la pubblicazione di un prospetto informativo approvato da Consob.

In attesa di una regolamentazione a livello Ue

Con riferimento al primo fattore, Consob dichiara espressamente nel Documento che l’iniziativa è stata posta in essere “in attesa della definizione in ambito europeo di un condiviso orientamento circa la qualificazione giuridica dei crypto-assets e in particolare in merito alla loro riconduzione al novero dei valori mobiliari”.

A tale riguardo, si ricorda come l’ESMA (European Securities and Markets Authority) abbia pubblicato il 9 gennaio 2019 un advice, a seguito della richiesta in tal senso pervenutale dalla Commissione europea, nella quale ha affrontato le problematiche connesse all’applicazione della disciplina sui servizi finanziari (e in particolare della MiFID 2) ai crypto-assets qualificabili come strumenti finanziari. A tale riguardo, l’ESMA ha chiesto alla Commissione europea di chiarire i vari dubbi interpretativi emersi, ed in particolare se, ai sensi della MiFID o di altre normative, i security tokens debbano rientrare nella categoria delle “transferable securities” (definite da MiFID 2 come “classes of securites which are negotiable on the capital market, with the exception of instrument of payment“) e se le piattaforme che li scambiano siano equiparabili agli “Organized trading facilities” (OTF) o ai “Multilateral trading facilities” (MTF); ed ha sollecitato una revisione della stessa MiFID 2 al fine di modificare la definizione degli “strumenti finanziari” con lo scopo di renderla idonea a ricomprendere alcune categorie di crypto-assets.

Come è stato già autorevolmente evidenziato da altri Autori, l’approccio proposto da Consob è invece diverso – e ad avviso di chi scrive più corretto –, dal momento che non suggerisce di ricomprendere i crypto-assets in categorie già esistenti, come quella degli strumenti finanziari, ovvero dei prodotti finanziari (la cui presenza nel nostro ordinamento rappresenta una sorta di peculiarità rispetto ad altri Paesi europei), ma propone di creare una nuova categoria, alla quale applicare una normativa di favore, meno rigida rispetto a quella prevista dal TUF per gli strumenti o i prodotti finanziari (una sorta di sandbox priva di limitazioni temporali).

L’attuale contesto regolamentare internazionale e domestico

Proprio la sopra accennata perdurante mancanza di una regolamentazione armonizzata a livello europeo delle ICOs e di una soluzione condivisa con riferimento alle principali problematiche giuridiche ad esse connesse – prima fra tutte la possibile qualificazione giuridica dei tokens quali “titoli” (securities) o più precisamente quali “valori mobiliari” (transferable securities) – ha fatto sì che alcuni stati del Vecchio Continente abbiano dato avvio ad autonome iniziative regolamentari.

Si tratta, in particolare, dei casi – citati dalla stessa Consob:

  • della Francia, dove è stato individuato un approccio regolamentare basato su uno schema di autorizzazione opzionale (cd. “opt-in“) in cui i promotori delle ICOs hanno la facoltà di richiedere una autorizzazione alla AMF (Autorité des marchés financiers) per il rilascio del relativo visto, oppure di non richiedere alcuna autorizzazione,
  • del Regno Unito, dove il 23 gennaio 2019 la FCA (Financial Conduct Authority) ha avviato una pubblica consultazione per chiarire agli operatori di mercato in quale regolamentazione ricadono le diverse categorie di crypto-assets
  • di Malta, la cui normativa sarà oggetto più sotto di un breve approfondimento.

Oltre ai tre Paesi citati da Consob nel Documento, possono farsi altresì gli esempi della Svizzera, paese precursore del lancio delle ICOs, dove lo scorso 22 marzo il Consiglio Federale ha approvato una mozione favorevole alla disciplina delle criptovalute; della Germania, dove la BaFin (l’Autorità Federale di Vigilanza Finanziaria) ha recentemente autorizzato l’emissione di un security token tramite il lancio di una security token offering (“STO”), e dove è in corso di discussione l’approvazione di una normativa organica in materia; nonché, per restare sempre nel contesto europeo (anche se extra-UE), del Liechtenstein, di Gibilterra e della Repubblica di San Marino.

Con specifico riferimento all’esempio di Malta, va ricordato come esso sia stato il primo Stato membro dell’Unione europea a regolamentare la materia tramite legislazione primaria, con l’approvazione a luglio 2018 di tre leggi:

  • una relativa all’istituzione di una autorità ad hoc (“Malta Digital Innovation Authority Act“),
  • un’altra (“Innovative Technological Arrangement and Services Act“) che disciplina le DLTs e gli smart contracts, e
  • una terza (“Virtual Financial Asset Act“) che regolamenta le offerte e gli scambi di quei tokens che, a seguito dell’effettuazione del cd. “financial instrument test ” (da svolgersi dinanzi ad un cd. VFA Agent, un ente registrato presso l’autorità di vigilanza maltese), rientrano nella definizione di “virtual financial assets“, categoria residuale rispetto agli strumenti finanziari (financial instruments, ai quali si applica la MiFID), ed ai “virtual tokens“, che corrispondono a quelli che nella prassi vengono definiti “utility tokens” ed ai quali non si applica alcuna regolamentazione del mercato finanziario.

Dalle ICO alle security token offerings, i vantaggi

Nonostante Malta sia stata “first mover” in questo settore, la nuova normativa – anche a causa del clima di sfiducia e della crisi delle ICOs che sono seguiti alla caduta del prezzo del Bitcoin, e delle criptovalute in generale, rispetto ai valori di dicembre 2017 – sembra non stia ancora riscontrando il successo sperato, mentre un numero crescente di investitori sta spostato l’attenzione dalle ICOs alle STOs (security token offerings), le quali, proprio perché prevedono l’emissione di securities in base alla normativa nazionale ed europea applicabile, offrono maggiori garanzie.

Altri vantaggi delle STOs consistono, ad esempio:

  • nel consentire ad un emittente di creare uno strumento finanziario che, pur essendo emesso tramite un regime regolamentare tradizionale conosciuto agli investitori (e quindi a loro più “confacente” rispetto alla emissione di un token tramite una ICO), abbia delle spiccate caratteristiche di innovatività e flessibilità, permettendo, ad esempio, di raccogliere capitale senza diluizione degli azionisti esistenti e/o infrangere negative pledges o altri covenants,
  • nel dare la possibilità, tramite l’utilizzo di smart contracts, di “introdurre” nel token tipiche funzioni di utility (quali, ad esempio, la fruizione di servizi dell’emittente a tariffe agevolate) in aggiunta a diritti di partecipazione e/o puramente economici tipici di una security.

Ad avviso di chi scrive non deve stupire più di tanto la circostanza che proprio a Malta, primo Paese europeo a regolamentare in modo compiuto le ICOs, a queste ultime vengano attualmente preferite dagli investitori le STOs. La nuova normativa, ed in particolare il sopra citato financial instrument test, permette infatti di ottenere una pre-classificazione accettata a livello regolamentare del token in questione quale security token, che viene inoltre emesso ai sensi della normativa europea, permettendo quindi che il marketing dello stesso security token possa avvenire tra Stati membri UE ai sensi del cosiddetto “passporting right” tipico della “Prospectus Directive” (e del nuovo Regolamento Prospetto).

Il contrasto all’abusivismo delle ICO

L’altro fattore che, da quanto si ricava dal Documento, ha spinto Consob ad intraprendere l’iniziativa qui in commento, è rappresentato dalla presenza sul mercato di forme di abusivismo legate al lancio di ICOs. Tale fenomeno ha portato Consob ad emanare, tra la fine del 2018 ed i primi mesi del 2019, una serie di provvedimenti di sospensione cautelare e di divieto relativamente a svariate offerte iniziali di crypto-assets, in quanto considerate dall’Autorità come configuranti i requisiti delle offerte al pubblico residente in Italia di prodotti finanziari, effettuate però in assenza della preventiva comunicazione alla Consob e/o della trasmissione a quest’ultima e della pubblicazione di un prospetto informativo, ai sensi della normativa applicabile (si vedano, in particolare, le recenti delibere – consultabili sul sito della Consob e tutte molto simili tra loro nel contenuto – nn. 20844 e 20845 del 13 marzo 2019, nn. 20814 e 20815 del 14 febbraio 2019 e n. 20786 del 22 gennaio 2019).

Una volta appurata la presenza degli altri elementi costitutivi di una offerta al pubblico ai sensi del diritto domestico (i.e. la sussistenza di una comunicazione rivolta al pubblico residente in Italia volta a far acquistare o sottoscrivere prodotti finanziari e contenente, di conseguenza, quantomeno la rappresentazione delle principali caratteristiche degli stessi), Consob ha ritenuto che i tokens emessi nelle ICOs oggetto dei sopra citati provvedimenti di sospensione e divieto fossero da considerarsi quali “prodotti finanziari”, categoria che comprende (ex art. 1, comma 1, lett. u), del TUF) sia le figure tipizzate degli “strumenti finanziari”, sia “ogni altra forma di investimento di natura finanziaria”.

L’Autorità ha infatti ritenuto che tali tokens integrassero la nozione di “investimento di natura finanziaria” – la quale implica la prevalenza del connotato finanziario rispetto a quello di godere e disporre del bene acquisito con l’operazione –, avendo rinvenuto la compresenza dei seguenti tre elementi:

  • un impiego di capitale;
  • una promessa/aspettativa di rendimento di natura finanziaria (rappresentati, nel caso dei tokens emessi nelle ICOs in questione, da proventi sia in via diretta, connessi all’iniziativa imprenditoriale, sia in via indiretta, correlati al potenziale apprezzamento di valore del token negoziato negli exchanges);
  • l’assunzione di un rischio direttamente connesso e correlato all’impiego di capitale.

Proprio l’onerosità per l’Autorità di condurre un’analisi “case-by-case” volta a verificare la sussistenza o meno delle caratteristiche tipiche del prodotto finanziario al fine di individuare i casi di abusivismo, è stata considerata da Consob come uno dei principali motivi che rendono necessaria la codificazione/definizione della categoria dei crypto-assets.

Delineato così il contesto, internazionale e domestico, in cui si inserisce l’iniziativa di Consob, in un successivo contributo verrà fornita una prima analisi delle proposte formulate da Consob, senza voler comunque entrare nel dettaglio delle possibili risposte ai quesiti posti da Consob nel Documento di Discussione, ai quali chi scrive avrà modo di fornire osservazioni ed eventuali suggerimenti entro il termine del 5 giugno e durante il public hearing del prossimo 21 maggio.

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