Il caso

Meta ha evaso il fisco italiano? Perché è una accusa importante

L’indagine avviata dalla Guardia di finanza, su denuncia della Direzione regionale delle Entrate di Milano, relativa a una possibile evasione fiscale da parte di Meta sulla pubblicità online permette di riflettere sulle controversie legate alla tassazione delle grandi aziende tecnologiche

Pubblicato il 03 Mar 2023

Daniele Tumietto

Dottore commercialista

facebook

Meta è sotto indagine per una possibile evasione fiscale riguardante l’Iva in Italia. L’indagine, che ha coinvolto anche la società Facebook, è stata avviata a seguito di una denuncia presentata dalla Direzione regionale delle Entrate di Milano che ha avviato i controlli della Guardia di Finanza per verificare se la società ha evaso l’IVA sulla pubblicità online.

La base dell’indagine è una tesi innovativa, che anni fa fu respinta dalla Commissione Ue e che si basa su questo ragionamento: Meta guadagna con i dati, dunque, le iscrizioni a Facebook non sono da considerare gratuite e per questo Meta deve pagare l’Iva, stimata in circa 1 miliardo di euro.

Questa inchiesta è solo l’ultimo esempio di una serie di controversie riguardanti la tassazione delle grandi aziende tecnologiche, che spesso usano filiali in Paesi con una tassazione più favorevole per ridurre i costi fiscali.

Questo ha portato a una crescente pressione da parte dei governi per una maggiore trasparenza e regolamentazione fiscale delle società tecnologiche, le cui conseguenze saranno significative per l’intera industria digitale in Italia e in Europa.

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Quali sono le accuse a Meta

Il Gruppo Meta ha attualmente diverse “partite” aperte che disegneranno il suo futuro e tra queste sicuramente va tenuta presente quella relativa al presunto omesso versamento Iva per circa 870 milioni di euro, cifra comunque piccola per una società che fattura globalmente circa 86 miliardi di dollari. Nel caso in esame, dall’ipotetico omesso versamento di Iva è partita una contestazione alla sede irlandese del Gruppo Meta, la Meta Platforms Ireland, avrà ripercussioni finanziarie, economiche e mediatiche.

Il Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza di Milano imputa la mancata presentazione della dichiarazione dell’imposta sul valore aggiunto da parte del Gruppo Meta per i periodi d’imposta a partire dal 2015 fino a tutto il 2021.

Le indagini della Procura di Milano hanno portato a definire che il Gruppo Meta avrebbe evaso, specificatamente tra il 2014 e il 2018, un importo di Iva pari circa 100 milioni di euro, realizzato attraverso un sistema di fatturazione che avrebbe consentito al Gruppo Meta di fatturare le vendite in un paese a fiscalità privilegiata, nel caso l’Irlanda l’IVA è meno elevata rispetto all’Italia. L’indagine fa perno su questo principio e, come si intuisce, ha implicazioni potenzialmente enormi per tutte le società del settore, con riflessi importanti per l’ammontare delle imposte pagate in vari Paesi.

L’impatto

Se le accuse di evasione fiscale saranno confermate, la società potrà essere obbligata a pagare una multa pesante e a rivedere il suo modello di fatturazione. Allo stesso tempo, l’indagine potrebbe aumentare la pressione sul Governo italiano (e dell’UE) per riformare la tassazione delle grandi aziende tecnologiche e creare un sistema fiscale più equo e trasparente per tutti.

L’ultimo caso è stato quello di Netflix che ha chiuso i conti col Fisco versando quasi 56 milioni di euro, e prima ancora Google con 306 milioni di euro nel 2017 ed Apple due anni prima con 318 milioni per chiudere tutte le pendenze.

Le dichiarazioni di Meta

Ricordiamo che già nel 2018, poi, Facebook si era messa in regola versando all’Erario oltre 100 milioni di euro, cifra simile a quella sborsata nel dicembre 2017 anche da Amazon. Ed anche il Washington Post accende i fari sul Gruppo Meta scrivendo che il gruppo Meta si appresterebbe ad annunciare una nuova ondata di licenziamenti dopo gli 11mila tagli dello scorso anno. Si può ipotizzare che sia il primo di diversi annunci simili che arriveranno nel prossimo futuro? E riguarderanno solo il Gruppo Meta o anche altre big tech americane? In base a quanto si conosce attualmente l’indagine dalla Guardia di Finanza, condotta in base al già menzionato principio, ha portato a determinare che Meta avrebbe dovuto pagare solo nel nostro paese 220 milioni di euro, mentre a livello europeo la cifra si avvicina a 900 milioni di euro.

Al momento l’unico commento del Gruppo Meta è stato quello rilasciato da un portavoce che ha dichiarato, come riportato da La Stampa: «Prendiamo sul serio i nostri obblighi fiscali e paghiamo tutte le imposte richieste in ciascuno dei Paesi in cui operiamo. Come sempre, siamo disposti a collaborare pienamente con le autorità rispetto ai nostri obblighi derivanti dalla legislazione europea e nazionale».

Le registrazioni e l’Iva sui dati

Da sempre Facebook ha un modello di business che si basa sull’utilizzo massiccio dei dati dei soggetti che si registrano sulla piattaforma. Lo stesso Zuckerberg, nell’ambito delle indagini condotte in USA su Cambridge Analytica, illustrò al Congresso degli Stati Uniti come Facebook faceva soldi sui dati, e proprio questo è l’aspetto che, ora, l’inchiesta italiana sta valutando perché l’Iva non versata riguarderebbe proprio l’iscrizione degli utenti sulle diverse piattaforme social.

Il fatto che le registrazioni sono gratuite è solo di facciata, perché l’utente paga fornendo i propri dati personali che sono utilizzati in prima battuta da Facebook, che così ha creato forse il più grosso database mondiale di dati personali, ma successivamente essi sono venduti a soggetti terzi per operazioni di pubblicità sempre più accurata.

Grazie alle nuove tecnologie questi dati sono rielaborati con analisi e ricerche che tegono conto anche delle interazioni degli utenti sulla piattaforma (condivisioni, like, commenti…). E qui l’indagine si intreccia con un’altra che è stata avviata dell’European public prosecution office. L’attività istruttoria ha riguardato la quantificazione degli utenti italiani iscritti nei vari social del Gruppo Meta, che non è solo social ma anche media, partendo dai dati europei per arrivare a quelli degli utenti italiani.

Successivamente gli inquirenti hanno quantificato per ogni utente la creazione di valore che l’utilizzo dei suoi dati procura alle casse dell’azienda. L’analisi è empirica e sconta una qualità dei dati non ottimizzato visto che esistono profili fake, bot, untenti doppi… e costringe il Gruppo Meta a dichiarare il dettaglio degli utenti che generano profitto e quelli che invece non permettono di ottenere valore dai loro dati perchè non veritieri, ma questo aiuterebbe gli inquirenti a ottenere conferma della loro tesi d’indagine.

Conclusione

Nel 2018 le autorità fiscali tedesche portarono il caso al Comitato Iva della Commissione Ue per conoscere se la fornitura di servizi elettronici senza corrispettivo da parte di fornitori di servizi IT, in cambio del diritto di utilizzare i dati dei propri clienti e la concessione da parte degli utenti al fornitore di servizi informatici all’uso di tali dati, costituissero un’operazione imponibile ai fini Iva.

Allora la risposta fu negativa perché la fornitura di dati non è una prestazione di servizi imponibile. E se ora la tesi della Procura di Milano fosse accolta, tenendo conto anche delle dichiarazioni che Zuckerberg ha fatto al Congresso degli Stati Uniti in merito al modello di business di Facebook cosa succederebbe? Fino a quando l’indagine è in corso è difficile prevedere degli scenari che potrebbero avere risvolti e ripercussioni molto più grandi di quanto si pensi ora.

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