nuove direttive

Reati fiscali, così cambiano i controlli della Guardia di Finanza con la tecnologia

Dal primo gennaio in vigore una nuova metodologia in materia di verifica fiscale e di contrasto alle frodi fiscali nazionali ed internazionali, da parte delle Fiamme Gialle. E’ la prima modifica in dieci anni e tiene conto delle novità digitali e tecnologie. Ma apre dubbi su eventuali lesioni della privacy dei cittadini

Pubblicato il 19 Gen 2018

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A distanza di dieci anni la Guardia di Finanza rinnova le proprie direttive interne in materia di verifica fiscale e di contrasto alle frodi fiscali nazionali ed internazionali.

Lo scorso 4 dicembre 2017 è stata infatti pubblicata dal Comando Generale la nuova Circolare n. 1/2018 che costituisce per le Fiamme Gialle uno strumento di lavoro completo ed aggiornato, realizzato con l’intento di innovare le metodologie ispettive utilizzate per l’esecuzione delle verifiche e dei controlli in materia di imposte sui redditi, di imposta regionale sulle attività produttive, di imposta sul valore aggiunto ed altre imposte indirette. Le direttive contenute nel Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione fiscale e alle frodi fiscalientrato in vigore il 1 gennaio 2018, si inseriscono in un progetto di semplificazione dei rapporti tra il Fisco ed il contribuente e di instaurazione di una collaborazione fondata su regole trasparenti.

Una svolta nelle linee d’azione della Guardia di Finanza a difesa della sicurezza economico-finanziaria del Paese, come sottolineato dallo stesso Comandante Generale Giorgio Toschi, che ha ribadito come il nuovo documento “prenda le mosse dalle migliori esperienze e professionalità maturate in questo rinnovato scenario dai Reparti del Corpo nelle investigazioni contro le organizzazioni dedite alle false fatturazioni, le società fantasma o di comodo utilizzate per evadere le imposte, i fenomeni di illecito trasferimento e occultamento di patrimoni e disponibilità finanziarie all’estero, le manovre di pianificazione fiscale aggressiva, il riciclaggio e l’auto-riciclaggio di proventi dell’evasione, ma anche nella quotidiana azione di controllo economico del territorio, volta a contrastare il sommerso e la diffusione di illeciti di minore complessità ma comunque lesivi degli obblighi contributivi costituzionalmente tutelati”.

In tale rinnovato contesto è apparso sin da subito prioritario il tema delle attività investigative volte ad acquisire elementi occultati in dispositivi digitali, sistemi informatici e strumenti di archiviazione dei dati.

Tematica strettamente connessa ad un altro interrogativo, ancor più delicato e spinoso: fino a che punto le nuove tecnologie potranno costituire valido ausilio alle investigazioni senza che ne risulti violato e snaturato il diritto costituzionalmente garantito alla riservatezza dei cittadini?

Questione recentemente affrontata anche dalla Corte di Cassazione, la quale ha sì espresso l’esigenza di adattare la normativa al progresso tecnologico ma, al contempo, si è mostrata consapevole del pregiudizio che può derivare ai cittadini da un indiscriminato accesso a dati e documenti informatici.

Il Manuale Operativo della Guardia di Finanza delinea non solo le attività che gli investigatori possono compiere nel corso delle indagini, ma anche i documenti che ne possono essere oggetto.

Le ricerche investigative vengono estese non tanto ai dati di natura contabile, quanto a tutte le informazioni extracontabili sviluppate dal contribuente che possono ritenersi importanti nel far emergere casi di evasione fiscale.

Tra i dati oggetto di controllo (e di successivo eventuale sequestro) saranno ora ricompresi i files eliminati sia da memorie interne, chat e cronologie di ricerca, sia da pc e dischi esterni.

Il Manuale illustra l’importanza di verificare l’utilizzo di sistemi di cloud storage, come Google Drive o Dropbox, potenzialmente utilizzati per archiviare contabilità parallele, evidenziando la necessità d’identificare, in tal caso, la postazione dalla quale vengono eseguiti gli accessi.

La Guardia di Finanza potrà ora esaminare le RAM di computer, tablet e smartphone, onde comprendere la natura delle operazioni poste in atto dall’utente, potrà vagliare la cronologia di navigazione ed i client per gestire la posta elettronica. Le comunicazioni via email – tra il contribuente sottoposto a controllo e soggetti terzi, o all’interno della stessa impresa –  già aperte e visionate dal destinatario saranno direttamente acquisibili dai verificatori, mentre quelle non ancora lette o per le quali è eccepito il segreto professionale potranno essere acquisite sulla base di un provvedimento di autorizzazione del Giudice.

Neppure il rifiuto di fornire le proprie password per l’accesso a dati personali contenuti in email e smartphone sarà ora un ostacolo invalicabile, ben potendo la Guardia di Finanza avviare l’ispezione anche senza il consenso esplicito del contribuente. Di tale rifiuto alla collaborazione verrà fatta esplicita menzione nei processi verbali redatti, con indicazione delle modalità specifiche con cui i dati del contribuente sono stati successivamente elaborati e delle misure adottate per garantirne la conservazione e la genuinità.

Una riflessione sul controverso rapporto tra nuove tecnologie, diritti dei cittadini e accertamenti fiscali si rende inevitabile: viene infatti da chiedersi se lo strumento informatico e tecnologico, da sempre ausilio e supporto per i cittadini, non stia diventando il mezzo attraverso cui gli stessi cittadini sacrificheranno spazi sempre più ampi della loro sfera privata e personale.

Al ricorrere delle condizioni previste per l’esercizio della facoltà ispettiva, non sarà più possibile per il privato sottrarsi al dovere di fornire risposte. Persino i dati sensibili potranno essere legittimamente appresi dai verificatori, che sceglieranno in modo discrezionale le modalità operative più adatte per acquisirli.

Limitata sarà anche la tutela contro eventuali violazioni, esperibile solamente in una fase successiva all’acquisizione dei dati da parte della Guardia di Finanza: l’interessato dovrà dimostrare di aver subito un danno effettivo a causa dell’attività ispettiva dei verificatori e a causa della mancata diligenza che è richiesta dalla natura propria del trattamento di dati personali. Nessun risarcimento, conclude la Circolare, se, in concreto, nessun danno risulta prodotto, avvero se le finalità del controllo e le connesse esigenze di completezza ed esaustività non avrebbero potuto, né giuridicamente, né materialmente, essere perseguite con modalità diverse rispetto a quelle poste in essere dagli investigatori, oppure avrebbero potuto essere perseguite diversamente ma solo a seguito di aggravi esorbitanti.

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