il punto di bertele’

Dove c’è il vero valore dell’IA generativa: chip e dati binomio vincente



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Gli incredibili dati finanziari appena pubblicati da Nvidia ci devono fare pensare a dove si trova ora il valore vero per l’IA generativa. Poco in chi la produce. Molto di più in chi ci mette l’infrastruttura. Ma a breve lo scenario può cambiare grazie a un uso diverso dei dati di training

Pubblicato il 25 ago 2023

Umberto Bertelè

professore emerito di Strategia e chairman degli Osservatori Digital Innovation Politecnico di Milano



nvidia ai

Nel leggere, ieri, i dati strabilianti della trimestrale Nvidia – persino più magnifici delle già alte aspettative di mercato – viene in mente che invece c’è ancora molta attesa – da parte del mondo finanziario ma anche delle imprese che devono prendere decisioni sul loro futuro – di altri dati connessi all’IA generativa, così centrale per il successo di Nvidia.

Quelli che comincino a evidenziare i reali vantaggi economici, in termini di potenziamento delle vendite e/o di riduzione dei costi, che l’introduzione dellintelligenza artificiale (IA) generativa può comportare.

Se ne è parlato in termini molto generici, come ho scritto in un precedente articolo, in occasione della presentazione delle trimestrali da parte delle big tech.

Immagine che contiene testo, schermata, linea, DiagrammaDescrizione generata automaticamente

Pochi dati sull’AI nei conti big tech

E la tendenza a non fornire dati concreti, a fronte di affermazioni talora trionfalistiche, emerge chiaramente da un recente articolo del Financial Times – “CEOs extol benefits of AI on earnings calls but not in official filings – S&P 500 groups from a burrito maker to a cruise-ship operator tout promise of emerging technology” (22 agosto) – che mette in luce come il 40% circa delle imprese facenti capo allo S&P 500 (ovvero circa 200 delle imprese più rappresentative dell’economia statunitense) abbiano esaltato l’impatto dell’IA generativa sui loro conti nella presentazione delle trimestrali, ma meno di una su 6 ne abbia fatto anche solo cenno nella documentazione ufficiale presentata alla SEC.

Chi fa soldi già con l’AI

Molto fumo e poco arrosto? Sarebbe prematuro dirlo, data la novità della tecnologia (tuttora in fase evolutiva) e di conseguenza i tempi necessari per esplorare le possibili applicazioni, ma colpisce l’ansia di moltissime imprese – e soprattutto del loro top management – di non apparire obsolete e perdere punti in Borsa: un fenomeno che si era già verificato con il metaverso, fino a coinvolgere un’impresa della rilevanza di JPMorgan, ma in misura meno estesa.

Chi sembra però al momento non avere dubbi sul futuro sono soprattutto

  • i grandi cloud – non solo i tre leader facenti capo ad Amazon (AWS), Microsoft (Azure) e Alphabet (Google Cloud), ma anche (limitandomi ai principali) quelli di Oracle, Salesforce e Ibm e della stessa Nvidia – che stanno investendo massicciamente per mettere a disposizione degli attuali e futuri clienti le rilevantissime risorse di calcolo necessarie per istruire i modelli di intelligenza artificiale (AI training) e farli correntemente operare (AI inference);
  • le big five in generale, le tre citate sopra ma pure Meta e Apple, che investono cifre anche estremamente consistenti in IA generativa al proprio interno, nel tentativo di rendere più efficiente ed efficace la macchina organizzativa e di mettere a punto servizi innovativi – possibilmente lucrativi – da offrire al mercato;
  • gli sviluppatori di software (molte le startup fondate negli ultimi anni in larga misura da ex-Google), volti a individuare applicazioni che rendano economicamente convenienti gli investimenti in IA generativa nei comparti più disparati dell’economia e aiutare le imprese – specie se non tech – a implementarli.

Nvidia comun denominatore di successo

Ciò che curiosamente accumuna queste imprese è di essere tutte clienti delle GPU (graphic process unit) di Nvidia o in coda (dato lo squilibrio fra la domanda delle GPU stesse e la loro disponibilità) nell’attesa di diventare tali. E il ruolo di monopolista di fatto di Nvidia, in assenza al momento di una reale concorrenza in termini di prestazioni, fa sì che la dinamica delle sue vendite di GPU per i data centre – 10,3 miliardi di $ nel trimestre fiscale finito a luglio con una crescita di ben 6 miliardi rispetto ai tre mesi precedenti – possa essere visto come un indicatore molto significativo degli investimenti in IA.

Cosa è Nvidia

Qualche cenno su Nvidia, l’impresa che “si è trovata al posto giusto nel momento giusto” e che sta sfruttando più di tutti gli altri – con rialzi molto rilevanti nei ricavi e nell’utile netto e ancor più nella capitalizzazione (oltre un trilione di $ già prima della recentissima trimestrale) – la gigantesca campagna di marketing che OpenAI e Microsoft hanno portato avanti a partire da novembre 2022, offrendo ChatGPT non solo al mondo corporate ma (per la prima volta) anche a quello consumer. E’ un’impresa che, fondata nel lontano 1993 con l’obiettivo di mettere punto microprocessori e software che migliorassero la qualità dei videogames, è riuscita a superare i 10 miliardi di capitalizzazione solo nel 2014, oltre 20 anni dopo.

È un’impresa che ha continuato a investire nelle sue GPU (graphic process unit), che si sono dimostrate particolarmente efficienti nel mining dei bitcoin: da cui il primo balzo della capitalizzazione sopra gli 800 miliardi di $ nel novembre 2021, seguito però poi nel giro di un anno da una precipitosa caduta di oltre 500 miliardi, in linea con la caduta del bitcoin e la perdita di interesse per l’attività di mining.

La scommessa sulla AI

È un’impresa, che forte anche dell’ecosistema di produttori di software che si era progressivamente creata, ha deciso a questo punto di puntare le sue carte sull’intelligenza artificiale – creando GPU sempre più potenti, potenziando ulteriormente il software (messo a disposizione degli sviluppatori) che ne permette il massimo sfruttamento, mettendo a punto supercomputer basati sui suoi microprocessori, creando un suo cloud – con il risultato (come detto) di diventare il numero uno in assoluto per prestazioni nel comparto, in assenza al momento di una reale concorrenza: le stesse big tech, che a partire da Google si producono le loro GPU, sono clienti di Nvidia per le applicazioni più critiche e i grandi produttori di microprocessori – come AMD-Advanced Micro Devices e Intel – stanno faticosamente cercando di mettere a punto prodotti con prestazioni simili, in un mercato in cui (almeno per ora) la qualità fa premio sul prezzo.

L’ultima trimestrale

I numeri dell’ultima trimestrale e quelli attesi per il trimestre corrente sono tutti superiori alle già molto elevate previsioni degli analisti: 13,51 miliardi di dollari i ricavi (inclusivi delle più tradizionali forniture per i videogames) del secondo trimestre fiscale chiusosi a luglio – più del doppio rispetto allo stesso periodo del 2022 – e 16 quelli previsti per il trimestre fiscale corrente (che si chiuderà a ottobre); 6,19 miliardi l’utile netto, oltre tre volte i 2 miliardi di un anno fa.

L’infrastruttura per rendere possibile l’espansione delle applicazioni di IA generativa alle imprese operanti nei settori diversi dell’economia appare quindi in fase avanzata di costruzione e la domanda è tale da prevedere un proseguimento di questo trend almeno anche per il prossimo anno. Meno certezze esistono invece, tornando al punto di partenza di questo articolo, su quello che accadrà dopo: sulla capacità o meno dell’IA generativa, al di là dell’impatto che essa ha avuto e ha sul largo pubblico, di garantire ritorni economici significativi.

L’importanza dei dati per l’intelligenza artificiale: un nuovo valore economico

Se la tecnologia – di cui ho parlato finora – gioca un ruolo fondamentale, un ruolo altrettanto fondamentale è giocato dai dati.

La qualità dei dati immessi per il training dei modelli di IA ne condiziona la validità e la funzionalità, secondo il vecchio detto “garbage in garbage out”. E, soprattutto per i modelli più grandi di AGI-artificial general intelligence, il reperimento dei dati è sempre più critico.

Una prima ragione è legata al rischio di violazione della proprietà intellettuale, come appare anche dalla nostra stampa non specializzata: “Scontro su internet e algoritmi. Il New York Times pensa di portare in tribunale ChatGPT – Faro sull’uso di articoli per addestrare il software. Il nodo dei compensi” (Corriere della Sera, a tutta pagina nell’edizione cartacea, 23 agosto).

Il New York Times per primo ha inibito a OpenAI l’accesso ai propri archivi – imitato da altri quotidiani e riviste statunitensi – e ha fatto trapelare la notizia che potrebbe intentare una causa per l’uso improprio dei propri dati nelle versioni attualmente disponibili di ChatGPT. E sono diversi i settori – da chi possiede archivi di immagini a chi di brani musicali – che si stanno attrezzando per inibire l’accesso e/o per contrattare una soddisfacente remunerazione.

Di converso può risultare avvantaggiato, nel mettere a punto modelli più puntuali, chi possiede grandi archivi di cui dispone dei diritti di proprietà, come spiega The Economist in un recente articolo – “AI is setting off a great scramble for dataFeeding ever-larger models is requiring makers to get creative”, 13 agosto – con riferimento al caso Adobe (234 miliardi di $ di capitalizzazione, Photoshop e Acrobat tra i suoi prodotti più noti): data per spacciata da alcuni analisti al momento dell’apparizione di ChatGPT, essa ha invece sfruttato il suo archivio di centinaia di milioni di foto per mettere a punto un proprio modello di IA – Firefly – che ha già generato nei pochi mesi di vita un miliardo di foto.

Una seconda ragione è legata al rischio che, introducendo indiscriminatamente dati da Internet, il modello possa poi generare risposte socialmente scorrette e legalmente oggetto di possibili incriminazioni. L’operazione di “pulizia dei dati”, solo in parte gestibile automaticamente, è spesso delegata – lo sostiene The Wall Street Journal – a persone che vivono in Paesi più poveri (“Cleaning Up ChatGPT Takes Heavy Toll on Human Workers – Contractors in Kenya say they were traumatized by effort to screen out descriptions of violence and sexual abuse during run-up to OperAI’s hit chatbot”, 24 luglio).

Una terza ragione (ma la mia trattazione non pretende di essere esaustiva) è legata all’evoluzione attesa dei dati su Internet, che rischiano di essere percentualmente sempre meno genuini, per l’aumento di quelli generati da chatbot: con il rischio che si vada verso un deterioramento progressivo della qualità dei modelli generali, invece che verso un continuo miglioramento con il loro uso come auspicato nel momento del lancio di ChatGPT.

Il futuro: modelli circoscritti con dati di proprietà

Una considerazione conclusiva. Rileggendo l’articolo mi sono reso conto che mi sono soffermato più sugli aspetti negativi che sulle potenzialità dell’AI generativa, forse come reazione (più o meno inconscia) ai toni miracolistici che ne hanno accompagnato il lancio da novembre in poi. Le mie perplessità, in realtà, riguardano soprattutto i grandi modelli generali – quali ChatGPT o Bard o Claude AI – mentre credo molto di più nei modelli “circoscritti”, che usino in larga misura dati relativi all’impresa o (come nel caso del Firefly di Adobe) dati in possesso dell’impresa.

Ma essendo l’AI una tecnologia ancora in pieno sviluppo, preferisco astenermi da ogni previsione e attendere con una forte curiosità intellettuale quello che ci riserverà il futuro.

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