Industria 4.0

Cos’è il modello “digital twin” e come migliora sviluppo e prodotti

Esempi di aziende che usano un “gemello digitale”, digital twin, per migliorare la loro offerta. Nel fare questo hanno anche cambiato l’idea stessa di prodotto, dove ormai produttore e consumatore restano sempre in contatto. Ecco le nuove frontiere

Pubblicato il 07 Lug 2020

Roberto Saracco

coordinatore Gruppo di lavoro “Intelligenza Artificiale” di Anitec-Assinform

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Dietro il modello Digital Twin, che si sta diffondendo nelle aziende più innovative al mondo, c’è un principio di base: l’evoluzione tecnologica in corso è caratterizzata da uno spostamento da “atomi” a “bit”. Le ragioni economiche sono legate al minor costo dei bit, sia in termini di “stoccaggio” che di elaborazione e trasporto. Se è possibile effettuare operazioni sui bit anziché sugli atomi le imprese scelgono questa strada.

Cos’è il Digital Twin

Il Digital Twin (“modello digitale”) – termine coniato nel 2001 dal pioniere tecnologo Michael Grieves – sono appunto repliche digitali di sistemi fisici. Servono per testare e capire come si comporteranno i sistemi e i prodotti che un’azienda intende realizzare. Si utilizzano a tal scopo, ambienti e simulazioni digitali, virtuali.

Esempi di funzionamento del Digital Twin

Ad esempio, la Dallara anziché sviluppare prototipi di scocche e testarli in gallerie del vento e altri laboratori, costruisce dei modelli digitali e su questi effettua tutte le prove e le simulazioni necessarie ad arrivare ad un progetto soddisfacente. Quando il modello in bit è pronto, attraverso vari tipi di macchine (per esempio stampanti tridimensionali e robot) si convertono i bit in atomi e si ottiene il prodotto. Tutto il processo di progettazione diventa più rapido e permette anche di effettuare test e simulazioni che sarebbero difficili su di un mock-up. Diventa soprattutto più rapido provare soluzioni diverse, cambiare forme e materiali, valutare strutture alternative: si fa tutto con i bit.

Facile, quindi? Non proprio.

Il passare da atomi a bit richiede competenze diverse, i progettisti sono, o vengono affiancati, da matematici specializzati e non facili da reperire.  Inoltre, cambia il processo di progettazione, sviluppo e produzione; in pratica, occorre una nuova azienda.

Non finisce qui. Un prodotto è un aggregato di varie componenti, normalmente realizzate da aziende diverse. Perché non estendere l’approccio di utilizzare bit anziché atomi a tutte le aziende della filiera? Certo, alla fine ciascuna di queste dovrà produrre e consegnare un oggetto fatto di atomi ma le parti di progettazione complessiva potrebbero essere fatte basandosi solamente sui bit.

Una azienda sviluppa il suo modello e lo consegna all’altra che lo integrerà nel proprio modello (o lo farà interagire) fino ad arrivare alla azienda che dovrà assemblare tutti i componenti che simulerà questa operazione sui diversi modelli ricevuti. Non è fantascienza. In effetti da diversi anni la Boeing progetta i suoi aerei in questo modo (a partire dal 777). I suoi fornitori ricevono le specifiche in “bit” delle parti con cui il loro componente dovrà interfacciarsi, sia questo un rivetto o un flight management system, e a loro volta forniranno alla Boeing una rappresentazione in bit del futuro componente. La Boeing effettua la integrazione a livello dei bit, esegue test e simulazioni e, quando è convinta che tutto sia a posto, attiva la produzione, sua e dei fornitori.

Il processo non è poi così diverso da quello di produzione di un giornale di oggi. Ciascun giornalista lavora sul suo pezzo sulla base di specifiche ricevute (numero di battute, fotografie…) e poi passa il pezzo al redattore per l’impaginazione finale. Questo potrà effettuare alcune modifiche e quando sarà soddisfatto convertirà i bit in atomi, cioè manderà in stampa.

Il modello in “bit” può anche essere utilizzato per fare test di durata, ad esempio per valutare l’usura di certe parti. Questi test possono essere eseguiti accelerando lo scorrere del tempo in modo da valutare in alcune ore anni e anni di operatività. In caso in cui si presenti un problema il tempo può essere “rallentato” per permettere al progettista di osservare quello che succede in intervalli di secondi o anche millisecondi, come guardare un film al rallentatore.

Da queste poche considerazioni è facile capire l’utilità di passare a una progettazione e a uno sviluppo basati sui bit. Questo, però, non è che l’inizio di un nuovo modo di concepire un prodotto, sia da parte di chi lo produce sia da parte di chi lo utilizza. Benvenuti nel mondo dei Digital Twin.

Il caso General Electric

La General Electric da alcuni anni ha esteso l’utilizzo del modello fatto in bit delle sue turbine (sia quelle che sono utilizzate nei sistemi eolici sia quelle che operano nei motori dei jet più moderni come il Boeing 787) alla loro manutenzione e controllo.

Quando la turbina viene venduta, viene associata ad un modello in bit che da quel momento sarà specifico di quella turbina, un gemello digitale, un digital twin.

La turbina fatta di atomi, il prodotto, contiene una varietà di sensori che in tempo quasi reale comunicano con la turbina virtuale, informandola dell’utilizzo in corso. Ad esempio, nel caso di pale eoliche, verrà segnalata l’accensione, la velocità di rotazione delle pale, la potenza elettrica istantanea, l’attrito (riscaldamento) dei diversi componenti e così via.

Stesso discorso per la turbina di un motore di aereo (qui i parametri segnalati saranno molti di più, ovviamente). Tanto per dare un’idea, 20 anni fa un aereo generava circa 1kB di informazioni per ogni volo, registrando lo stato dell’aereo 3 volte per ogni volo, stato basato su una trentina di parametri. Oggi un aereo di ultima generazione genera per ogni volo 500GB di dati, con lo stato aggiornato ogni secondo e basato su circa cinquemila parametri (dati forniti da General Electric).

Questi stati vengono inviati in tempo quasi reale (ogni minuto o ogni 3 minuti a seconda dell’area in cui sta volando l’aereo) e consentono da un lato di simulare la situazione operativa da parte del digital twin e dall’altro di rilevare difformità di funzionamento tra il digital twin e la turbina fatta di atomi (quella che vola!). Dato che il digital twin opera secondo i dati di progetto una difformità significa che qualcosa non va nella turbina reale. A questo punto scattano dei meccanismi di controllo per identificare il problema (ad esempio cosa stia causando un surriscaldamento) e quindi per porvi rimedio (ad esempio diminuire la richiesta di potenza al motore provvedendo ad aumentare, se possibile, quella dell’altro motore ribilanciando l’aereo per far fronte ad una spinta asimmetrica).

L’azienda che crea dei digital twin (la General Electric ne ha operativi oltre 550.000 a fine 2017) si apre uno spazio di business basato sulla offerta di servizi. Infatti fornisce un monitoraggio dell’operatività del prodotto e può spesso intervenire per porre rimedio a problemi o comunque suggerire interventi tempestivi di manutenzione.

Dal punto di vista dell’azienda la possibilità di monitorare i prodotti durante il loro utilizzo offre anche la possibilità di verificarne le funzionalità e come queste sono utilizzate. In pratica permette di continuare il testing in situazione di uso reale e di continuare ad affinare il prodotto. Considerando che oggi esiste una componente molto rilevante di software in ogni prodotto l’azienda può variare il software ed aggiornare il prodotto (o offrire un aggiornamento a pagamento quando vengono forniti miglioramenti) in tempo reale.

Tesla

La Tesla riceve informazioni dalle sue auto ogni giorno: centinaia di migliaia di auto comunicano dove stanno viaggiando, gli ostacoli identificati lungo il percorso, il funzionamento del motore. Ogni giorno Tesla riceve l’equivalente di oltre 2 milioni di Km percorsi, sommando i contributi di tutte le auto. Questa enorme mole di dati consente di costruire una mappa costantemente aggiornata delle strade e di verificare la presenza di malfunzionamenti “strutturali”, cioè dipendenti dalla progettazione e che quindi coinvolgono molte vetture. Anche nel caso della Tesla ogni auto ha un suo “digital twin” costantemente aggiornato.

Una nuova idea di prodotto

Questi non sono che due esempi di aziende che hanno messo in pratica l’idea del digital twin per migliorare la loro offerta. Nel fare questo hanno anche cambiato l’idea stessa di prodotto: non siamo più in presenza di un oggetto che viene acquistato tramite un rivenditore che disaccoppia il produttore dall’utilizzatore. Al contrario produttore ed utilizzatore rimangono in contatto, addirittura costantemente in alcuni casi.

L’utilizzatore, proprio attraverso l’utilizzo che fa del prodotto, fornisce informazioni al produttore che consentono a questo di migliorarlo, o di tener conto di possibili migliorie da introdurre in altri prodotti. L’utilizzatore, in cambio, ha la certezza che il suo prodotto è seguito e se necessario sarà più semplice intervenire per la manutenzione che diventa un servizio integrato nel prodotto stesso.

La filiera si modifica e questo è un elemento che caratterizza l’Industria 4.0. Non cambia infatti soltanto la produzione all’interno dell’azienda (questa diventa sempre più permeata dal software) ma anche la relazione tra i diversi attori lungo la filiera con il coinvolgimento dell’utente finale.

La presenza di digital twin apre anche, potenzialmente, uno spazio per terze parti, spesso PMI e start up, che possono sviluppare servizi a partire dal digital twin. Essendo questi basati su bit i costi transazionali sono molto limitati, mettendo lo sviluppo di applicazioni alla portata di un grande numero di attori. A loro volta questi creano nel tempo un ecosistema che arricchisce il prodotto stesso.

Un digital twin per le persone

Da notare come in prospettiva non solo i prodotti potranno avere un digital twin. Anche noi stessi, in quanto persone, potremo avere il nostro digital twin che rappresenta in bit quello che facciamo, il nostro stato di salute per arrivare alle nostre conoscenze. Il digital twin potrà rendersi utile in vari modi compreso quello di entrare nella filiera produttiva (vuoi acquistare un nuovo paio di scarpe sicuro che ti “calzino” a pennello? Manda il tuo digital twin a fare l’acquisto dal produttore di scarpe. Gli fornirà le misure esatte del tuo piede e anche informazioni su come cammini!).

La possibilità di mantenere una sincronizzazione tra un prodotto (o una persona) ed il suo digital twin si basa sulla presenza di una infrastruttura di comunicazione pervasiva a cui i sensori presenti nel prodotto possono agganciarsi per inviare i dati (nel caso di una persona possono essere quelli integrati nello smart watch, nel telefonino, nel braccialetto, sensori medicali…).

Questi sensori, anche chiamati Internet of Things –IoT-, sono sempre più presenti e costituiscono un altro degli elementi caratterizzanti l’Industria 4.0.

Le aziende devono assolutamente riflettere su questi nuovi scenari e impostare un percorso di evoluzione entro questo decennio. Iniziare nel prossimo potrebbe essere troppo tardi. Al tempo stesso il regolatore, governo/istituzioni, deve intervenire prontamente per mettere a disposizione un contesto in cui sia garantita privacy, trust, ownership ma non bloccando l’evoluzione imponendo vincoli che di fatto la rendano impossibile. Occorre avere dal legislatore la capacità di guidare l’evoluzione affinché questa sia compatibile con i diritti dei cittadini.

Primi passi sono stati fatti, ad esempio con l’adozione degli Open Data Framework, e molti altri ne devono seguire.

L’Istituto Europeo per l’Innovazione e Tecnologia nella parte che si occupa dello sviluppo ICT, EIT Digital, sta affrontando questi temi. La sede italiana a Trento li porta avanti coinvolgendo l’amministrazione municipale e provinciale trentina, il satellite presente a Milano focalizzato sui temi di Industria 4.0, lavora con l’ecosistema lombardo e le istituzioni per promuovere la transizione verso il digitale di cui i Digital Twin rappresentano un elemento sempre più significativo.

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