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Svecchiare l’economia per decreto? Ecco che c’è e che manca nella manovra del Governo

Decreto Rilancio, Decreto ministeriale Transizione 4.0 e Impresa 4.0 Plus. Le principali politiche pubbliche per l’innovazione del governo Conte II sono contenute in questi atti. Cosa c’è e cosa manca per rafforzare la competitività e la capacità d’innovazione del Paese

Pubblicato il 27 Lug 2020

Giacomo Bandini

Competere

I pilastri del futuro 4.0 (o 5.0) dell’Italia, rivelano intrinsecamente le debolezze del relativo sistema economico. Specialmente di quello digitale. Il nostro Paese è in ritardo e continua a innovare per incentivi e decreti, mancando nel nostro DNA la propensione sia agli investimenti di rischio che a quelli in ricerca e sviluppo. Si fatica a creare ecosistemi e a unire le competenze delle diverse parti in gioco.

Dal Governo arrivano misure interessanti – la più utile rimane la creazione di un Fondo per il trasferimento tecnologico – ma riusciranno a stimolare gli investimenti e ad aumentare la competitività dell’Italia? E, ancora, come intende muoversi l’esecutivo per costruire una capacità tecnologica nazionale?

Facciamo il punto sulle misure contenute nel Decreto Rilancio, Decreto ministeriale Transizione 4.0 e Impresa 4.0 Plus e come utilizzarle al meglio per “rifare” l’Italia.

Transizione 4.0

Il primo atto ad essere stato pubblicato è il Dm 26 maggio 2020 conosciuto anche come Piano transizione 4.0. Come già anticipato, il Piano interviene complessivamente su tre aree di investimento principali:

  • investimenti in beni strumentali,
  • ricerca, sviluppo, innovazione e design,
  • altre tipologie di innovazione.

Il Dm pubblicato ufficialmente sulla Gazzetta Ufficiale il 21 luglio è riferito soprattutto ai punti 2 e 3 del Piano. Il credito d’imposta previsto per queste attività presenta quote percentuali diverse di a seconda dell’attività svolta o delle risorse che vi sono dedicate e sulle quali si chiede applicazione dell’incentivo. È compreso tra il 6% per le attività base di “innovazione tecnologica” finalizzata alla creazione di nuovi prodotti e processi e attività di design, salendo a 10% nel caso siano innovazioni green o digitali 4.0, e il 12% riconosciuto alle attività di “ricerca fondamentale, ricerca industriale e sviluppo sperimentale” in campo scientifico e tecnologico. Il tetto massimo di spesa è pari a tre milioni di euro per quest’ultimo caso.

Le tre tipologie di ricerca secondo le quali è possibile richiedere il bonus sono: ricerca fondamentale, ricerca industriale e sviluppo sperimentale. Tra le novità di maggior rilievo vi è la possibilità di usufruire del credito in caso di continuazione nel 2020 di attività iniziate nei periodi di imposta precedenti.

Decreto Rilancio

Dopo due mesi di dibattito e polemiche, il Decreto Rilancio sembra giungere finalmente alla conclusione del suo iter legislativo. Tre le misure sul piano dell’innovazione che meritano di essere analizzate. In primo luogo, il credito d’imposta per le attività di ricerca e sviluppo viene ampliato nelle aliquote per alcune regioni italiane. Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia, Lazio, Marche e Umbria godranno infatti di un regime agevolato con le seguenti modalità:

• 25% per le grandi imprese (250 addetti e fatturato di almeno 50 milioni di euro)

• 35% per le medie imprese (50 addetti e fatturato di almeno 10 milioni di euro)

• 45% per le piccole imprese (meno di 50 addetti e fatturato fino a 10 milioni di euro).

Ampliate ulteriormente invece le agevolazioni riguardanti gli investimenti nelle startup. Il principale veicolo degli incentivi è il programma Smart&Start Italia con una dotazione ulteriore pari a cento milioni di euro da destinare al fondo base per il sostegno del sistema di finanziamenti agevolati. Duecento milioni, invece, sono stanziati per “Fondo di sostegno al venture capital” dove gli investimenti vengono direttamente indirizzati al capitale di startup e PMI innovative. Da sottolineare anche la detrazione Irpef pari al 50% sulle somme investite nel capitale sociale di una o più startup o PMI innovative per investimenti massimi di 300.000 euro da mantenere per almeno 3 anni.

Il terzo intervento riguarda la creazione di un Fondo per il trasferimento tecnologico. Istituito presso il Ministero per lo Sviluppo Economico (MISE) avrà una dotazione di 500 milioni di euro per l’anno 2020 e sarà finalizzato a “sostenere e accelerare i processi di innovazione, crescita e ripartenza duratura del sistema produttivo nazionale, rafforzando i legami e le sinergie con il sistema della tecnologia e della ricerca applicata”. Lo strumento che convoglierà i finanziamenti è una Fondazione ad hoc che verrà creata in seno ad ENEA. Parzialmente accontentati anche coloro che chiedevano un ritorno al superammortamento. Prorogati fino al 31 dicembre 2020 i termini di consegna per i beni strumentali ammissibili al beneficio del superammortamento.

Per il futuro, sostiene il Ministro Patuanelli, possiamo aspettarci un Piano Impresa 4.0. Che cosa dovrebbe prevedere? Un rafforzamento delle agevolazioni (aliquote più elevate rispetto a quelle attuali), ma soprattutto un focus sulle tecnologie di frontiera. Spazio quindi a progetti basati su Intelligenza Artificiale, Blockchain, cyber security, edge e cloud computing. In p rticolare, l’intenzione del governo sarebbe quella di sostenere la transizione ecologica e l’innovazione dei prodotti. Meno quella dei processi produttivi.

Conclusioni

Il nostro paese è in evidente difficoltà nello sviluppo di campioni nazionali d’innovazione (cosiddetti “Unicorn”) e di una rete di investimento che non derivi solamente dal settore pubblico. Mentre negli altri paesi avanzati si creavano le condizioni per la nascita di nuove startup e imprese innovative, noi siamo rimasti a guardare. Così ci ritroviamo a dover costruire un sistema, pezzo dopo pezzo, emergenza dopo emergenza, per decreto.

Il venture capitalism all’italiana rischia di non funzionare se si agisce solamente attraverso incentivi (per quanto necessari). Mancherebbe sempre quella propensione al rischio di capitale che invece altre realtà, come quelle anglosassoni, hanno da sempre nel DNA. Meglio forse una via italiana dove il pubblico riesce a fare da catalizzatore anche per gli investimenti privati, dedicando università e incubatori all’attività di creazione delle startup.

Allo stesso modo, gli investimenti in ricerca e sviluppo sono sempre stati un problema per l’Italia. Storicamente sia il settore privato sia quello pubblico hanno faticato a destinare risorse verso questo settore fondamentale per il cambiamento tecnologico. Questo ha impedito al paese di esprimere pienamente il proprio potenziale innovativo insieme ad altri fattori quali la mancata creazione di un ecosistema di competenze legate alle necessità tecnologiche delle azione e le produzione di innovazione in modo endogeno. Per quest’ultimo obiettivo peraltro sarebbe auspicabile aumentare gli investimenti nella ricerca di base seguendo anche le indicazioni del Piano Amaldi.

Il trasferimento digitale è, poi, la terza area prioritaria e va dato atto al governo di aver agito in questa direzione con un Fondo specifico. Troppe disconnessioni tra le parti del sistema (imprese, università, centri di ricerca ed enti pubblici) hanno concorso a determinare lo status quo di impreparazione digitale. Implementare i processi di trasferimento è fondamentale e ulteriori risorse dovrebbero in futuro esservi destinate.

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