IL PUNTO

Lavoro 4.0, ecco come sarà in Italia (nella nuova Legge di Stabilità)

Dal G7 dell’industria di fine settembre alla manovra di bilancio, autunno dedicato alla fase due del piano Industria 4.0 dedicato al lavoro 4.0, le ipotesi: incentivi alla formazione, avanti sul salario di produttività, riflessioni e proposte

Pubblicato il 26 Lug 2017

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Formazione e produttività sono due temi fondamentali attorno ai quali si stanno sviluppando le proposte che il Governo prepara sul lavoro 4.0 in vista della prossima Legge di Stabilità: «mi sembra che si voglia inserire una specie di iperammortamento sulla formazione, come elemento di novità, e poi penso che si andrà verso la conferma o il rafforzamento della detassazione della produttività», dichiara Francesco Seghezzi, direttore Fondazione Adapt, commentando le recenti dichiarazioni del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda sull’intenzione dell’esecutivo di mettere a punto un nuovo capitolo nel piano Industria 4.0, interamente dedicato al lavoro, da inserire appunto nella prossima manovra. Sul fatto che il tema chiave sia la formazione, concordano un po’ tutti gli esperti. Però, sottolinea Marco Bentivogli, segretario generale Fim – Cisl, non ci si può limitare a incentivi o sgravi fiscali. In Italia funziona male il sistema della formazione professionale, troppo poco basato sul collegamento fra offerta e fabbisogni e sviluppo delle imprese». Massimo Bonini, segretario generale della Camera del Lavoro di Milano, ritiene che sindacati e imprese in ottica 4.0 debbano cambiare prospettiva, collaborando maggiormente: «utilizziamo la formazione come elemento di condivisione».

Il punto di partenza è il seguente, ed è stato nelle scorse settimane affrontato dal ministro Calenda in occasione dell’assemblea di Federmeccanica: a settembre, in occasione del G7 Industria, «faremo la seconda cabina di regia su Industria 4.0 dove presenteremo i risultati del piano e aggiungeremo una proposta che stiamo preparando col ministro Poletti sul pilastro lavoro e welfare», fino ad ora «abbiamo fatto la parte fiscale di incentivi agli investimenti e la parte sulle competenze. Manca ora quella sul lavoro». Sulla stessa linea il ministero del Lavoro, Poletti, che ha aperto un tavolo di discussione sul lavoro che cambia.

Tutti d’accordo sul fatto che la Legge di Stabilità sia lo strumento giusto per affrontare questo nuovo capitolo di Industria 4.0: l’importante, insiste Bentivogli, è che si guardi «in una prospettiva di rivoluzione industriale: bisognerà fare in modo che ci siano capitoli adeguati». «Se il dibattito prima parte in ritardo, e poi si finisce a discutere solo di tecnologie ed economia, perdiamo un’occasione di umanizzazione del lavoro. La tecnologia contiene i valori di chi la progetta. Se non partecipa la progettazione dell’architettura sociale e industriale, i nostri valori non ci saranno, e la centralità del lavoro e della persona rimarrà l’ennesima bla bla».

Un altro elemento su cui si registra una notevole sintonia fra gli esperti è la necessità di puntare su una formazione adeguata alla sfida rappresentata da Industria 4.0. «Il nodo – sottolinea Seghezzi – è trovare il modo di iperammortizzare la formazione di qualità, che non è semplice. E’ importante che non diventi un bonus ai formatori e quindi, forse, la logica utilizzata negli investimenti in tecnologia, aperta, dev’essere in questo caso più ristretta. Non attraverso bandi, ma individuando macro-aree di competenze da potenziare in modo che non si vada a investire in competenze inutili». Seghezzi avanza anche la proposta di prevedere «un piano di alfabetizzazione digitale per i lavoratori. Sui luoghi di lavoro abbiamo competenze che invecchiano molto rapidamente», spesso manca anche «l’alfabetizzazione digitale di base oggi necessaria», e questo aumenta il rischio di perdere il lavoro. In pratica, quindi, la proposta è di agire su due piani diversi: da un lato le competenze specifiche, attraverso dottorati industriali, apprendistato di terzo livello, investimento su alcune figure chiave che poi possano in qualche modo governare dei processi, dall’altro «un intervento più ampio, che non formi competenze specialistiche, ma che metta il lavoratore nelle condizioni di sapersi interfacciare con la digitalizzazione».

Alla base, «resta un nodo culturale da risolvere: le imprese non formano anche perché temono che il lavoratore poi vada dal concorrente. Detassare la formazione aiuta a far cadere questa idea, che è vecchia. Lo scambio di lavoratori fra imprese diventerà sempre più la normalità». E’ un fenomeno già in essere, soprattutto fra i lavoratori digitali, che dopo i 35 anni decidono di cambiare lavoro. Del resto, il trend della tecnologia è open a tutti i livelli, ormai «molte aziende sviluppano prodotti e processi in modo open, hanno piattaforme aperte per costruire software e prodotti. E’ più conveniente lasciare che la conoscenza diffusa intervenga, piuttosto che mantenere un atteggiamento contrario».

Bentivogli è anche più netto: il sistema italiano «è troppo spesso basato sull’offerta formativa e troppo poco basato sul collegamento fra offerta e fabbisogni e soprattutto sviluppo delle imprese». Se tutto si risolve nei «cataloghi dei centri di formazione, siamo a un fil già visto. Gli incentivi devono essere molto selettivi. Ad esempio, sono fondamentali i piani di riqualificazione professionale, ma devono essere utili, usabili, di qualità elevata. Abbiamo aziende che credono di stare sul mercato con internet e inglese di base. Serve un sistema di formazione più adeguato, rispetto a quello che c’è oggi, con un collegamento strutturale fra università, certi di ricerca, formazione».

Il segretario dei metalmeccanici della Cisl insiste sul concetto di ecosistema 4.0, innanzitutto chiedendosi «qual è il motore propulsivo della formazione, rispetto a quali bisogni», e in secondo luogo tenendo presente che il lavoro 4.0 è destinato a cambiare competenze, prestazione di lavoro, non solo attraverso lo smart working. Bisogna «immaginare regole e agibilità, spazi, anche tutele e welfare nuovi, è un lavoro che si deve fare ripartendo da un foglio bianco». La critica: «questo è un paese che dal ’97 dovrebbe avere i crediti formativi, e invece non ha nulla».

L’impegno, sul fronte della formazione, spetta anche alle parti sociali, quindi sindacati e imprese. «E’ importante collaborare nello schema di innovazione», spiega Bonini, favorevole alla partecipazione organizzativa dei lavoratori: «in un’azienda che cambia il modello di business, e deve rivedere organizzazione, orari, turni, modalità di lavoro, la partecipazione dei lavoratori consente di scegliere insieme gli strumenti di formazione. Oggi invece la formazione la decide l’impresa». Percorsi di condivisione negoziale possono essere di aiuto anche alle piccole e medie imprese, «in altri paesi l’hanno fatto, penso a Germania, Svezia, Francia». In Italia, invece, per il momento la strada è stata sempre in salita: «non sono mai riuscito a firmare un accordo di formazione dentro a un’impresa». E’ anche importante tener poi presente che ogni settore ha le sue peculiarità, così come ogni impresa, per cui la formazione dev’essere mirata.

Sia Bonini sia Bentivogli sottolineano l’importanza di aver inserito la formazione nel contratto dei metalmeccanici. E arriviamo a un altro discorso importante, quello sui cambiamenti nella contrattazione e nei contratti di lavoro. La misura fondamentale, all’interno del piano 4.0, che c’è già e della quale si attendono una conferma o addirittura un potenziamento, è la detassazione del salario di produttività. Deve continuare a riguardare sia la detassazione del salario monetario sia la componente di welfare, sottolinea Seghezzi. E «così come la formazione, anche la produttività deve essere effettiva. Che non si decidano obiettivi facili da raggiungere per detassare il salario. Servono poco, se poi non aumenta oggettivamente la produttività. Il vantaggio si ottiene se la misura riesce ad essere una spinta ad aumentare la produttività».

Bentivogli insiste sul fatto che «il problema più grosso di produttività riguarda le Pmi», e sull’importanza della contrattazione territoriale per la crescita della produttività. Il rischio è che, altrimenti, le Pmi vengano marginalizzate. Bonini sottolinea l’importanza della contrattazione nazionale come cornice di garanzia per tutti, aggiungendo però che bisogna ridurne il numero facendo firmare i contratti alle realtà effettivamente rappresentative, sia sul fronte sindacale sia su quello delle imprese: «800 contratti nazionali sono troppi». Propone l’esempio, emblematico del turismo: «per effetto della scissione fra le imprese abbiamo cinque contratti nazionali, di cui uno solo rinnovato». Poi, prosegue, è anche vero che «troppo spesso i contratti nazionali si occupano di cose che potrebbero invece essere delegate ad aziende e territorio».

Concludiamo con un paio considerazioni. Bentivogli ci tiene a sottolineare che ci sono due aspetti del piano Industria 4.0 che vanno tenuti d’occhio: «il piano sta andando bene, ma spesso gli investimenti tecnologici riguardano tecnologiche molto basiche». E’ un aspetto su cui insiste anche Bonini, insistendo anche sull’importanza di dotare l’Italia di infrastrutture adeguate (ad esempio, sul fronte della fibra ottica). Si torna all’eco-sistema 4.0 di Bentivogli: «devono rigenerarsi il territorio, la pubblica amministrazione. Non possiamo avere una produzione interconnessa, e infrastrutture pubbliche che non funzionano (trasporti, energia, PA). In secondo luogo, «sul totale degli incentivi attualmente in campo, solo il 7% riguarda il Sud».

Seghezzi sensibilizza imprese e sindacati sulla necessità di innovare l’organizzazione del lavoro attraverso metodi e idee nuove, al passo con i tempi e con l’esigenza di un’alta produttività, da conciliare con la qualità del lavoro. «E’ un obiettivo più che possibile, la tecnologia lo consente. Non deve essere necessariamente la cogestione alla tedesca, che non appartiene alla cultura italiana. Ma innalziamo la qualità degli accordi aziendali».

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