L’idea di affiancare una presenza artificiale a collaboratori umani nei contesti decisionali aziendali, un tempo relegata alla narrativa, sta diventando sempre più concreta grazie ai progressi raggiunti dall’intelligenza artificiale generativa.
Modelli avanzati come GPT-4 vanno ormai ben oltre la semplice automazione di calcoli o attività routinarie, mostrando capacità di interazione che simulano in modo sorprendente il ragionamento e la comunicazione umana. Questo avanzamento introduce interrogativi profondi sul futuro del lavoro: in che misura è legittimo considerare un sistema AI non più solo come uno strumento tecnologico sofisticato, ma come un vero e proprio membro del team, con ruoli attivi nella collaborazione e nel processo decisionale? Il recente studio “The Cybernetic Teammate: A Field Experiment on Generative AI Reshaping Teamwork and Expertise” ha affrontato proprio questo interrogativo, esaminando se un sistema di AI generativa possa offrire gli stessi benefici di un collega umano in termini di performance, condivisione di competenze e coinvolgimento sociale. I risultati, come vedremo, inaugurano potenzialmente una nuova era per il lavoro di squadra, in cui l’AI diventa un collega a tutti gli effetti.
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I pilastri del lavoro di squadra
Per decenni, il teamwork è stato il motore dell’innovazione e dell’efficienza organizzativa. La collaborazione tra individui porta infatti con sé tre vantaggi chiave:
- Il primo è la performance: unendo forze e prospettive diverse, i team riescono ad affrontare problemi complessi in modo più efficace e a trovare soluzioni di qualità superiore rispetto ai singoli.
- Il secondo è la condivisione di competenze: il lavoro di squadra permette di integrare conoscenze specialistiche complementari, creando un sapere collettivo che nessun individuo possiede interamente da solo.
- Il terzo pilastro, spesso sottovalutato, è la motivazione sociale: lavorare fianco a fianco ad altri esseri umani è stimolante – le persone provano piacere nel connettersi con i colleghi, e questo alimenta l’entusiasmo e l’impegno nel lavoro.
Questi elementi spiegano perché le aziende hanno sempre investito nel costruire team affiatati. Eppure, l’ingresso di tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale pone una sfida inedita: cosa succede a questi pilastri quando nel gruppo entra un’AI? La verità è che, finora, sapevamo poco della dinamica tra AI e collaborazione umana. L’intelligenza artificiale è stata percepita a lungo come un ausilio alla produttività, una sorta di estensione avanzata di strumenti già noti come fogli di calcolo o calcolatrici evolute, destinata a rimanere comunque ai margini delle dinamiche collaborative autentiche tra persone. Oggi però l’AI generativa apre uno scenario diverso: grazie alla sua capacità di dialogare e creare contenuti, può interagire con noi. Si delinea così un’ipotesi radicale e trasformativa: cosa accadrebbe se l’intelligenza artificiale fosse in grado di assumere a pieno titolo il ruolo di un membro del team, partecipando attivamente ai processi collaborativi con un contributo che non si limita alla mera assistenza, ma si estende a una reale partecipazione intelligente e propositiva?
AI e team umani a confronto
Lo studio “The Cybernetic Teammate” – condotto su 776 professionisti della multinazionale P&G – ha messo alla prova questa idea in un esperimento sul campo. I partecipanti, suddivisi casualmente in gruppi sperimentali, hanno affrontato reali sfide di sviluppo di nuovi prodotti sia individualmente che in coppia, con o senza accesso a un’AI basata su GPT-4. I risultati gettano nuova luce sul confronto diretto tra team umani tradizionali e team “ibridi” con AI.

Figura 1: La ricerca prevede quattro condizioni: individui e squadre che lavorano con o senza assistenza AI.
Anzitutto, viene confermato il valore aggiunto del teamwork classico: due teste sono meglio di una. Senza AI, un team di due persone ha nettamente superato il singolo individuo, con un incremento medio di qualità delle soluzioni pari a 0,24 deviazioni standard– un dato che dà conforto a manager e docenti che da sempre promuovono il lavoro di squadra. La vera sorpresa è arrivata confrontando queste performance con quelle ottenute introducendo l’AI: un singolo professionista affiancato dall’AI ha raggiunto risultati paragonabili a quelli di un intero team umano, colmando di fatto il divario. In termini numerici, l’individuo con AI ha visto la propria performance migliorare di circa 0,37 deviazioni standard, eguagliando quella della coppia di colleghi senza AI. In sostanza, un solo membro umano potenziato dall’AI ha raggiunto performance comparabili a quelle di un team di due persone.
E i gruppi che hanno saputo combinare il meglio di entrambe le risorse? I team di due persone con l’AI al fianco hanno ottenuto le prestazioni migliori in assoluto, con un miglioramento medio di 0,39 deviazioni standard. La differenza rispetto al singolo con AI non è risultata statisticamente significativa, segno che già l’apporto dell’AI al singolo è molto elevato. Tuttavia, c’è un dato interessante: i team dotati di AI hanno generato con maggiore frequenza soluzioni di qualità eccezionale (top 10%), indicando che l’unione di più menti umane più l’AI può eccellere in modo particolare nell’affrontare problemi complessi. Non solo qualità, ma anche efficienza: i partecipanti con accesso all’AI hanno lavorato più velocemente, impiegando il 12-16% di tempo in meno rispetto ai colleghi senza AI, e producendo proposte più lunghe e dettagliate. In altre parole, l’AI non solo ha elevato le prestazioni al livello della collaborazione umana, ma lo ha fatto snellendo tempi e arricchendo i risultati.

Figura 2: Punteggi medi di qualità per le soluzioni dei diversi gruppi, con le prestazioni relative dei gruppi con AI rispetto a quelli senza AI, con errori standard. I team di due persone + AI hanno ottenuto i punteggi migliori.
L’AI come collega trasversale che abbatte i silos professionali
Oltre alla performance, un aspetto cruciale del lavoro di squadra è la capacità di integrare competenze differenti. Nel lavoro quotidiano è normale vedere esperti di aree diverse faticare a parlare la stessa lingua: i tecnici guardano al come (aspetti ingegneristici, scientifici), i commerciali al perché e al per chi (mercato, clienti). Anche nell’esperimento, quando gli individui che lavoravano da soli non potevano contare sull’AI, le differenze di approccio erano marcate: gli specialisti di R&D proponevano soluzioni tecniche, mentre i colleghi del marketing e commerciale avanzavano idee incentrate sul cliente e sul business. La collaborazione tra esseri umani, però, aiuta: nelle coppie senza AI, difatti, il confronto diretto tra due profili diversi portava a soluzioni più bilanciate.
È proprio in questo ambito che l’intelligenza artificiale si è rivelata uno straordinario facilitatore, comportandosi come una figura trasversale in grado di dialogare efficacemente con linguaggi professionali diversi, da quello tecnico a quello commerciale. L’affiancamento dell’AI ha nettamente ridotto le tradizionali barriere tra specializzazioni: professionisti e team che hanno lavorato con GPT-4 hanno infatti formulato soluzioni equilibrate e ricche sia di approfondimenti tecnici sia di analisi orientate al mercato, indipendentemente dal loro specifico background di competenze. Un ingegnere con l’AI ha saputo tirare fuori idee di marketing, e viceversa un manager commerciale ha potuto delineare soluzioni tecniche valide.
L’adozione dell’AI ha dunque ampliato la portata delle competenze di ciascun utente oltre il proprio campo abituale, colmando lacune di conoscenza o prospettiva in modo simile a quanto avverrebbe mettendo insieme teste diverse. In altri termini, l’AI ha abbattuto i silos funzionali. Le classiche barriere tra dipartimenti e specializzazioni risultano molto meno rigide quando ogni individuo dispone di un assistente virtuale in grado di fornire suggerimenti anche fuori dal suo dominio di esperienza. Questo fenomeno è risultato particolarmente rilevante per i professionisti con minore esperienza: in assenza di supporto artificiale essi incontravano notevoli difficoltà, persino quando inseriti in un contesto di team. Tuttavia, grazie all’intervento dell’intelligenza artificiale, questi soggetti hanno potuto raggiungere livelli di performance comparabili a quelli dei colleghi più esperti, poiché il sistema forniva loro tempestivamente le conoscenze mancanti. In altre parole, l’AI ha consentito anche a chi non possedeva una specializzazione approfondita di operare come se la avesse, promuovendo così una vera e propria democratizzazione delle competenze all’interno dell’organizzazione. Un superamento delle barriere funzionali tramite l’intelligenza artificiale che dischiude prospettive innovative, dal momento che capacità professionali precedentemente circoscritte a pochi esperti diventano rapidamente disponibili per tutti, rendendo i gruppi di lavoro più adattabili, fluidi e capaci di affrontare con maggiore versatilità sfide interdisciplinari.

Figura 3: Distribuzione della “tecnicità” delle soluzioni proposte da partecipanti individuali, suddivisi tra profili Commercial (verde acqua) e R&D (arancione). Nel pannello a sinistra (senza AI), i due gruppi mostrano approcci distinti: i commerciali tendono a proporre soluzioni meno tecniche, mentre gli R&D producono output più tecnici. Nel pannello a destra (con AI), le due curve si sovrappongono molto di più, segnalando che l’uso dell’AI porta entrambi i profili a generare soluzioni simili e più bilanciate in termini di contenuto tecnico.
L’esperienza emozionale di lavorare con un’AI
Una delle scoperte più sorprendenti emerse dallo studio riguarda il versante emotivo della collaborazione con l’AI. La narrativa comune dipinge spesso la tecnologia (e l’automazione in particolare) come fredda e potenzialmente alienante, fonte di stress o di isolamento per i lavoratori. Eppure, nell’esperimento di P&G è accaduto l’esatto contrario: i partecipanti che hanno lavorato con un “collega” AI hanno riferito un’esperienza emozionale più positiva rispetto a chi ha operato senza AI. In presenza dell’AI, le persone hanno dichiarato livelli più alti di entusiasmo, energia e coinvolgimento, accompagnati da livelli più bassi di ansia, frustrazione o noia rispetto ai gruppi di controllo senza AI. In effetti, un individuo affiancato dall’AI ha sperimentato un clima emotivo paragonabile – e talvolta persino migliore – a quello di una squadra composta da soli esseri umani.
Questo dato indica che l’AI non solo può aiutare a svolgere il lavoro, ma può anche influire positivamente sul morale e sulla motivazione, un ruolo che finora era appannaggio esclusivo dei colleghi in carne e ossa. La natura conversazionale e di supporto di strumenti come GPT-4 sembra capace di offrire una forma di compagnia e sostegno psicologico durante il lavoro: il feedback immediato e la disponibilità costante dell’AI possono ridurre il senso di solitudine operativa e aumentare la fiducia nell’affrontare compiti difficili. Come notano i ricercatori, l’interfaccia linguistica dell’AI ha effettivamente stimolato più risposte emotive positive e meno negative nei partecipanti, suggerendo che l’AI può svolgere in parte il ruolo sociale e motivazionale di un teammate umano. È un risultato in netto contrasto con l’idea che la tecnologia riduca il lato “umano” del lavoro: al contrario, in questo contesto l’AI ha arricchito l’esperienza, confermandosi un compagno di squadra anche sul piano emotivo.

Figura 4: Variazione media delle emozioni positive (entusiasmo, energia, coinvolgimento) nei quattro gruppi sperimentali. Lavorare con un’AI, anche da soli, genera un aumento marcato delle emozioni positive rispetto ai gruppi senza AI. Il massimo beneficio emotivo si registra nelle squadre umane affiancate dall’AI, che superano persino i team tradizionali di soli umani.
Lavorare con un’AI: competenze, organizzazione e nuovi modelli di collaborazione
Se l’AI può agire come un collega a tutti gli effetti, le implicazioni per aziende e leader sono profonde. In primo luogo diventa necessario ripensare le strutture di team e i ruoli organizzativi tradizionali. Fino a ieri, formare un team efficace significava assemblare persone con competenze complementari; domani, potrebbe significare affiancare ad ogni professionista un’AI, o bilanciare squadre più piccole dove alcuni membri umani sono coadiuvati da assistenti virtuali. Il fatto che un singolo individuo con AI possa raggiungere risultati paragonabili a un team di due persone suggerisce, ad esempio, la possibilità di team più snelli o di un’allocazione diversa delle risorse umane su più progetti contemporaneamente. Allo stesso tempo, l’organizzazione dovrà investire in nuove competenze: l’AI diventa realmente utile solo se gli utenti sanno come interagirci al meglio. Serviranno programmi di formazione trasversale affinché i dipendenti sviluppino sia abilità tecniche (ad esempio, prompt engineering o capacità di valutare criticamente le risposte dell’AI) sia capacità di collaborazione uomo-macchina. I confini tra le funzioni si faranno più sfumati e contaminati dall’AI, e per questo i percorsi di crescita professionale andranno adattati. L’AI può infatti democratizzare l’accesso a compiti specializzati, permettendo a più persone di contribuire oltre la propria qualifica e aprendo potenzialmente a nuovi ruoli in azienda.
In sostanza, non si tratta solo di aggiungere un nuovo strumento alla cassetta degli attrezzi, ma di rivedere i paradigmi stessi della collaborazione. L’AI impone ai leader di reimmaginare la natura del teamwork e delle strutture manageriali. Ad esempio, come valutare le performance di un team misto umano-AI? Come gestire la leadership condivisa con un’entità artificiale? Come preservare creatività, etica e coesione quando parte del lavoro è svolto da una macchina? Sono domande aperte che richiedono sperimentazione e nuove pratiche organizzative. Gli autori dello studio sottolineano che il futuro del lavoro non riguarderà solo i singoli che si adattano all’AI, ma le organizzazioni che ripensano modelli di gestione e collaborazione alla luce di queste tecnologie. In quest’ottica, adottare l’AI come “collega” significa abbracciare un cambiamento culturale. Serve un pensiero organizzativo nuovo, non solo soluzioni tecniche, per integrare armoniosamente l’intelligenza artificiale nei team umani. Le aziende che sapranno farlo avranno l’opportunità di ridisegnare i propri processi in modo più agile e innovativo, capitalizzando sui punti di forza combinati di uomini e macchine.
Il lavoro del futuro sempre più integrato con l’AI
Ci troviamo agli albori di una trasformazione epocale nel modo di lavorare in squadra. I risultati di “The Cybernetic Teammate” gettano le basi per capire come l’AI generativa possa ridefinire la collaborazione professionale, ma molte domande restano aperte. Ad esempio, come cambierebbero le dinamiche con team più numerosi di quelli testati, o su progetti di lungo periodo? E quale sarà l’impatto man mano che l’AI diventerà ancora più potente e sofisticata dei modelli attuali? Gli stessi ricercatori invitano alla prudenza: i loro esperimenti, pur rigorosi, rappresentano solo un primo passo, condotto nella maggior parte dei casi con un sistema AI (GPT-4) già superato da versioni più recenti, e con utenti non ancora abituati a pieno a sfruttarlo. È plausibile dunque attendersi che l’effetto di una reale integrazione dell’intelligenza artificiale nel tessuto collaborativo aziendale possa accentuarsi ulteriormente nei prossimi anni, parallelamente all’evoluzione tecnologica e al progressivo affinamento delle competenze degli utenti nel gestire e valorizzare al meglio questi strumenti avanzati.
Ciò che è certo è che stiamo assistendo a un cambio di paradigma. L’AI generativa sta evolvendo da strumento a partner del lavoro quotidiano. Non si limita più ad automatizzare compiti, ma collabora, apprende dai nostri input e offre idee e spunti. In un certo senso, avere un’AI nel team significa aggiungere un membro con creatività instancabile, capacità analitiche sovrumane e una versatilità che abbraccia molte discipline. Questo non sminuisce il ruolo umano. Al contrario, lo esalta e lo rinnova. Liberati da alcune incombenze e potenziati dall’AI, i professionisti possono concentrarsi sulle sfide più strategiche, sulle decisioni critiche, sull’empatia e sul pensiero laterale: tutte qualità squisitamente umane che l’AI da sola non possiede.
L’azienda del futuro dovrà quindi sposare un approccio ibrido, in cui team composti da umani e intelligenze artificiali lavorano fianco a fianco. Sarà fondamentale bilanciare tecnologia e umanità, impostando regole e culture che mantengano l’AI come forza positiva e complementare. Come conclude lo studio, adottare l’AI nel lavoro comporta molto più che aggiungere un semplice tool informatico: richiede di ripensare a fondo come si ottengono le performance, come si condividono le conoscenze e come si vive l’esperienza del lavoro. In questa nuova era, l’AI può davvero agire come un compagno di squadra cibernetico e ridefinire i confini del teamwork, ma spetta a dirigenti e professionisti guidare questa integrazione in modo consapevole. Il futuro del lavoro di squadra in ambienti integrati con l’AI sarà una scoperta collettiva. Sapremo accettare l’AI come collega, proteggendo al contempo i valori e la creatività che rendono unico il contributo umano?