il bilancio

Horizon 2020: così la Ue perde l’opportunità di agganciare Usa e Cina

Mentre Usa e Cina corrono verso le tecnologie del futuro, l’Europa, nonostante 80 miliardi spesi in ricerca è entrata in una “economia di fatiscenza”: non si investe nelle infrastrutture, ciò che funzionava comincia a sgretolarsi, si rimanda tutto. Per cambiare rotta servono visione politica e strategia a lungo termine

Pubblicato il 20 Gen 2020

Paolino Madotto

manager esperto di innovazione, blogger e autore del podcast Radio Innovazione

ricerca e sviluppo

In questo periodo la nuova Commissione Europea sta decidendo la nuova programmazione dei fondi europei dopo la fine del programma Horizon 2020. È dunque tempo di fare un bilancio, valutando quelli che sono stati gli obiettivi e quello che sono i risultati.

Il programma Horizon 2020: obiettivi e risultati

Il programma Horizon 2020 nasce nel 2014 con l’obiettivo di finanziare la ricerca e l’innovazione europea per fare in modo che l’Unione Europea potesse assumere la leadership sull’innovazione e posizionarsi in modo competitivo rispetto ai suoi concorrenti come Cina e USA.

Nel corso di questi anni sono stati spesi circa 80 miliardi di euro in ricerca e innovazione finanziando attraverso bandi aziende e centri di ricerca in tutta l’Unione.

Come è riportato sulla prima pagina del sito: “Horizon 2020 is the biggest EU Research and Innovation programme ever with nearly €80 billion of funding available over 7 years (2014 to 2020) – in addition to the private investment that this money will attract. It promises more breakthroughs, discoveries and world-firsts by taking great ideas from the lab to the market.”

Leggendo il documento che riporta i risultati (Programme Performance Overview) risulta che il programma Horizon 2020 è stato il programma che meglio ha funzionato tra quelli messi in campo dalla UE. Un programma ricco di ambizioni e di iniziative che ha visto coinvolti centri di ricerca, università, piccole e grandi imprese.

L’impatto di Horizon 2020 sulla competitività europea

80 miliardi di euro in sei anni sono sicuramente una cifra imponente investita in ricerca e innovazione e se si cercano dati nei siti della commissione si trova una enormità di informazioni e iniziative in tutti i paesi. Tuttavia, viene da chiedersi se oggi l’Unione Europea ha una leadership su almeno uno dei settori tecnologici che ogni giorno incontriamo nella nostra vita quotidiana. Se esiste una azienda europea che sui settori strategici dell’Intelligenza Artificiale o delle tecnologie del digitale può dirsi più avanti di altre dei nostri competitor. La risposta risulta alquanto facile: no.

Nello stesso lasso di tempo la Cina ha assunto la leadership in molte delle tecnologie che segneranno il prossimo futuro, dall’Intelligenza Artificiale al 5G dimostrando che non è impossibile recuperare un ritardo. Ciò che è ha fatto la differenza sono sicuramente la quantità di investimenti messi in campo, frutto delle priorità che la politica si da, ma anche la modalità nella quale si sono spesi i soldi.

Così Cina e Usa hanno spinto (davvero) l’innovazione

Non basta valutare positivamente un programma di ricerca e innovazione sulla base dei soldi spesi rispetto al budget, come fa la Commissione, ma è necessario valutarne l’impatto reale sulla nostra competitività.

A mio modo di vedere ciò che non va è il meccanismo del finanziamento attraverso bandi che finanziano l’offerta senza avere una adeguata attenzione alla domanda.

I nostri competitors, USA e Cina, utilizzano ampiamente la domanda pubblica di innovazione come driver e finanziano più o meno direttamente aziende “champion” che possono così essere spinte ad entrare sul mercato con il sostegno pubblico.

Huawei, ad esempio, fino a pochi anni fa non era il leader della telefonia mobile o delle reti che è oggi, ha potuto beneficiare della domanda pubblica nazionale che gli ha messo a disposizione i centri di ricerca e la domanda pubblica di reti a banda larga per poter sviluppare know-how e aggredire, anche in dumping, altri mercati (ad esempio il mercato europeo). L’industria europea degli apparati di rete vedeva fino a pochi anni fa diverse aziende con una leadership internazionale, l’Europa è stata la culla dello standard GSM e inizialmente del 4G per poi perdere competitività. Gli Stati, anziché sostenere i campioni nazionali hanno preferito “risparmiare” comprando tecnologia cinese a “buon mercato” ma in questo modo prosciugando la domanda verso le proprie aziende che oggi vivono una profonda crisi ed esponendosi a buchi di sicurezza come oggi ci dicono gli allarmi lanciati da organismi governativi. Con il paradosso che ZTE e Huawei aprono centri di ricerca in Italia o in Europa ma portano il know-how in Cina e producono per il nostro mercato.

Questo accade sulle reti ma accade anche in molti altri settori: sull’Intelligenza Artificiale il principale cliente delle aziende cinesi è il governo cinese. E’ di questi giorni la presentazione del primo treno ad alta velocità cinese senza pilota che è commissionato dallo Stato. Per non parlare dell’enorme investimento del governo cinese in tema di intelligenza artificiale e sicurezza.

Questo vale per molti settori dell’alta tecnologia dai trasporti alle tecnologie ambientali, dagli aerei all’aereospaziale.

Gli Usa non sono da meno: in questo caso lo Stato interviene attraverso il principale cliente di tecnologia al mondo che è il Pentagono. È delle ultime settimane l’annuncio della creazione della forza armata spaziale a suon di trilioni di dollari. E si badi bene che investire nello spazio significa investire in tecnologie del futuro che avranno un ritorno sul mercato nei prossimi dieci-venti anni. Tesla, l’azienda che sta dettando i tempi sulla elettrificazione dell’automobile, è frutto di un intervento diretto del governo americano come lo sono i droni che tra pochi anni potrebbero sostituire i taxi nelle città.

Perfino i “giganti del web” sono sostenuti dallo stato Usa in modo indiretto attraverso l’enorme quantità di denaro prodotto dalla FED che è entrato in borsa o dai programmi del Pentagono per mettere in cloud buona parte della propria infrastruttura tecnologia e così via.

L’Europa destinata a un ruolo marginale?

La politica di sostegno alla domanda è fatta di procurement mirato su settori strategici, spesa spesso in deficit, capacità del soggetto pubblico di controllare rigorosamente i risultati in modo da spingere le aziende coinvolte a migliorarsi, a seguire standard nazionali di qualità e ad acquisire competitività e know-how.

Questo mentre in Europa vengono aperti dei bandi valutati più per gli aspetti formali di come si risponde al bando e sulla documentazione formale di spesa che sui risultati reali. Una montagna di carta che chi conosce un minimo i programmi sa quanto sia faticoso e inutile produrre. Un enorme apparato burocratico che “valuta”, “programma”, “elabora” ma che non sembra produrre risultati concreti.

Questo non significa che dietro Horizon 2020 non ci sia stato un lavoro di ricerca e innovazione, sui settori della ricerca pura ci sono importanti risultati e molte aziende avranno pure utilizzato i fondi per produrre prodotti innovativi migliori di quelli USA e Cinesi ma poi in pochissimi casi questi prodotti hanno trovato sbocchi sul mercato a causa di regole di spesa pubblica troppo strette o di una politica economica troppo concentrata agli obiettivi di bilancio a breve mentre gli altri corrono. In una Unione Europea in preda alla fobia della spesa, nemmeno il privato investe o spende, al limite cerca titoli di stato “sicuri” dove riporre il proprio risparmio.

L’Europa è entrata in una sorta di “economia di fatiscenza” dove non si fanno investimenti nelle infrastrutture e nel futuro, ciò che funzionava comincia a sgretolarsi e si rimanda tutto ad annunci di iniziative future (perfino la confindustria tedesca lamenta che le infrastrutture del paese stanno peggiorando senza manutenzione anche se il governo tedesco potrebbe permettersi di fare investimenti rilevanti).

Ormai l’Unione Europea sembra destinata ad un ruolo marginale in tutti i settori della tecnologia e dell’innovazione, è necessario che la nuova Commissione prima di farsi carico di raccogliere il budget dei prossimi anni su questi temi si faccia carico di cambiare il modo nel quale spendere questo budget.

Come invertire la rotta

Le evidenze empiriche dimostrano come bisogna ribaltare il modo di spendere denaro puntando a incrementare la domanda pubblica con grandi programmi finalizzati a produrre tecnologia europea sui settori strategici, sia attraverso l’indispensabile presenza dello Stato in alcune aziende, soprattutto nel settore tecnologico dove è necessario disporre di finanziamento per molti anni, sia attraverso la creazione intorno a queste aziende di un indotto rilevante in grado di fare un “effetto leva” per lo sviluppo di nuovi prodotti e l’occupazione dei talenti. Viene in mente in parte la lezione di Mariana Mazzucato, chiamata a livello internazionale a contribuire con le sue idee ed evidentemente quasi sconosciuta a Bruxelles. I finanziamenti attraverso bandi possono essere una parte del budget, soprattutto finalizzata alla ricerca “curiosty driven” ma il resto deve essere trainato da acquisti pubblici di tecnologia. In questo senso in passato si è utilizzato principalmente il settore militare e spaziale, oggi è necessario incrementare gli interventi nella mobilità, nelle tecnologie verdi, nell’applicazione dell’IT su tutti gli ambiti della vita sociale e del welfare.

L’Unione Europea se vuole avere un ruolo nel futuro e se vuole esistere non può continuare a spendere il proprio denaro nel modo improduttivo nel quale lo ha speso finora.

In giro per l’Italia siamo pieni di parchi scientifici e tecnologici finanziati da fondi per l’innovazione che si sono trasformati in soldi spesi più in edilizia che in ricerca e innovazione, fondi per le startup che spesso si sono fermati nella filiera dei soggetti che li hanno gestiti senza produrre risultati tangibili nella competitività di sistema. Ci sono delle eccezioni ma una rondine non fa primavera.

È indispensabile un nuovo protagonismo del soggetto pubblico, d’altra parte in Europa le principali aziende che hanno una leadership in qualche settore sono partecipate e sostenute dal soggetto pubblico e lo stesso capitalismo europeo non avrebbe assunto il ruolo che ha avuto senza la domanda pubblica e la partecipazione pubblica. Questo discorso vale per tutti i paesi, dalla finlandese Nokia che da azienda che si occupava di tagliare legna in via di fallimento è stata trasformata in un leader mondiale dell’elettronica da una potente iniezione di denaro pubblico in deficit (ripagando ampiamente la collettività anni dopo con posti di lavoro, crescita economica, estinzione del debito) alla Volkswagen che vede la partecipazione dei lander o all’Airbus che oggi ha un ruolo di leadership nel mercato internazionale, alla Ericcsson, all’industria del militare con Leonardo e i suoi competitor tedesco e francese.

Ciò che manca all’Unione Europea non sono i soldi o il know-how, il principale deficit da combattere non è quello nel bilancio degli Stati ma di visione politica e di strategia a lungo termine, c’è bisogno di un trattato di “political compact” che costringa i nostri leader a lavorare per il futuro e li distragga dal “quaderno di computisteria” sin qui utilizzato per disegnare la società mentre tutto il mondo corre a passi da gigante.

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