Viviamo nell’epoca della disgregazione; una disgregazione causata dal digitale. L’impatto delle innovazioni digitali su tutti i settori, dal settore bancario a quello turistico al marketing, per fare solo pochi esempi, è stato profondo e sconvolgente. Aziende giganti vengono umiliate, messe in ginocchio e cancellate dalla faccia della terra, se non riescono a tenere il passo (basta chiedere pareri all’ex CDA di Kodak); e nuovi sviluppi e innovazioni trasformano, da un momento all’altro in miliardari giovani proprietari di start-up. In alcuni casi, poi, l’innovazione accade così in fretta, che invenzioni e tecnologie innovative sono rese obsolete prima ancora di aver fatto ingresso nel mercato. O comunque, se non compri un prodotto tecnologico esattamente il giorno che viene presentato ma aspetti anche solo due mesi, compri di fatto un prodotto obsoleto, visto che meno di un anno dopo ne uscirà la nuova versione.
Questo per quanto riguarda i dispositivi e le applicazioni; e per quanto riguarda la connettività?
In questo mondo in rapida digitalizzazione, non solo nuove possibilità e realtà vengono create ogni giorno; ma, con progetti come Internet.org di Mark Zuckerberg e quello similare di Google, di avere tutto il mondo perennemente connesso, sembra che sia solo una questione di tempo prima che l’intero pianeta venga completamente coperto da hotspot WiFi.
Se è vero quanto detto, consideriamo uno dei più grandi (e più recenti) mercati del mondo: quello delle telecomunicazioni mobili. Quando la telefonia mobile è diventata applicazione diffusa, a metà degli anni ’90 (20 anni fa circa), i fornitori di questi servizi hanno cominciato a fare molti profitti. Hanno quindi sviluppato reti di torri, satelliti, cavi e linee di comunicazione in genere, che ci tengono in contatto istantaneamente e a livello globale. Il primo servizio mobile distribuito è stato quello della voce; poi, con lo svilupparsi della tecnologia, il mondo delle telecomunicazioni ha iniziato a fornire l’accesso a Internet via ADSL, 3G, 4G, eccetera. Voce, tempo di trasmissione, larghezza di banda e qualità di trasmissione sono i prodotti che queste aziende, le Telco, oggi vendono. E fanno indubbiamente migliaia di miliardi.
Consideriamo ora la disgregazione. Siamo sicuri che nulla può usurpare questi giganti delle telecomunicazioni? Sono aziende solide e intoccabili? Oppure no? Sicuramente no, considerando che AT&T, un tempo tra le aziende ai vertici della capitalizzazione di borsa, è stata venduta nel 2005 per 16 miliardi di dollari; una valorizzazione così bassa era dovuta al rapido crollo della redditività dell’azienda, che aveva a sua volta provocato un costante calo della sua capitalizzazione: il titolo AT&T aveva perso il 72% nei cinque anni precedenti. La causa fu il fatto che il fatturato di AT&T ruotava attorno ai servizi voce di lunga distanza, una “commodity”; ossia un bene per cui c’è domanda ma che è offerto senza differenze qualitative sul mercato.
Consideriamo Google e Facebook, e il futuro che si prospetta loro, e cui stanno guardando con grande attenzione.
Questi due giganti tecnologici non commercializzano voce o larghezza di banda: vendono dati e informazioni. La penetrazione di Internet e il suo accesso è il generatore del loro flusso di entrate. Nessuna meraviglia che si sforzino di ottenere un mondo completamente digitalizzato e connesso. Più persone in linea, per loro, significa più persone che hanno accesso alle loro piattaforme; e questo fa sì che i loro dati si arricchiscano sempre di più delle nostre esperienze, delle nostre necessità, dei nostri gusti politici, artistici, sessuali, eccetera. E non ci sono garanti della privacy che tengano: questi dati sono loro e loro li gestiscono al meglio (per loro). Ma i dati non valgono niente se non c’è un buon mezzo per averne accesso e trasmetterli.
Di norma essi usano le reti delle Telco; ma non necessariamente: se le reti non ci sono, o non ci saranno ovunque, molto probabilmente se le costruiranno. Questo è il motivo per cui, ad esempio, Google sta cercando di lanciare satelliti per portare l’accesso ad Internet anche in aree remote, e Facebook, con “internet.org” sta cercando di fare lo stesso.
Questa strategia degli OTT potrà influenzare i giganti delle telecomunicazioni? Sicuramente si, perché l’utilizzo di banda da parte dei loro clienti si riversa ovviamente e positivamente sulle reti delle Telco; con un impatto che già oggi è significativo. Ricordiamo però, come detto prima, che Google & C. commercializzano in dati, non in larghezza di banda: il loro obiettivo è quello di rendere l’accesso a Internet il più globale possibile, e possibilmente in maniera gratuita. E se questa mia battuta fa sollevare dei sorrisini; come a dire: ”I servizi di telecomunicazioni debbono essere pagati”, chi sorride dimentica ad esempio che Facebook si è comprata WhatsApp per 19 Miliardi di dollari; un’azienda che ha cinque anni può valere 19 miliardi di dollari? Può valere, ad esempio, più di Sony ? La spiegazione di Zuckemberg per l’acquisto fu semplice:” Posto a T=0 il momento della nascita di tre dei social service “tradizionali” più utilizzati, i loro primi 4 anni di vita hanno mostrato tassi di crescita diversi, ma che li hanno portati tra i 50 milioni di utenti (Skype) e i 145 milioni (Facebook). Insieme a loro, ma chilometri più in alto sull’asse delle ordinate, WhatsApp, che nello stesso periodo ha raggiunto quota 400 milioni di utenti” e Zuckemberg mostrò un grafico dall’impennata stratosferica, che fece impallidire gli osservatori dell’epoca. Dopo essere impalliditi, però, quegli osservatori fecero dei rapidi e facili calcoli sul fatturato di WhatsApp (all’epoca circa 1 $ all’anno per utente), e fecero timidamente osservare che il business non stava in piedi: ci sarebbero comunque volute decine d’anni per avere un decente ritorno. Quegli osservatori che fecero quei rapidi calcoli sarebbero oggi ancor più allibiti se considerassero che adesso WhatsApp è gratuito. Da considerare, però, che i suoi clienti oggi sono circa 1 miliardo e che ogni giorno vengono scambiati 42 miliardi di messaggi sulla piattaforma.
L’acquisto è stato un affare? E dove mira Zuckemberg alla lunga?
Bisogna mettere in piedi vari tasselli di un complesso puzzle, per dare una risposta. Sicuramente, nella mente di Facebook, WhatsApp vale qualcosa di più che il potenziale di guadagno di 500 milioni l’anno dell’epoca dell’acquisto; soprattutto se si considera la possibile introduzione di servizi voce. WhatsApp, nel giro di pochi anni, ha distrutto il lucrativo (per i Telco) mercato degli SMS; non è da escludere che possa aggredire quello della voce. La tecnologia e il mercato esistono già; e Skype insegna.
Attualmente, gli individui e le aziende spendono centinaia se non migliaia di dollari, euro, ecc. ogni mese nella comunicazione mobile. La ragione di questa massiccia spesa mensile in comunicazione vocale è semplice: le reti cellulari arrivano in aree del pianeta dove non esiste connessione digitale per dati; oppure dove questa è costosa. Mentre in ufficio, o seduti a casa o in qualsiasi altro luogo con WiFi attivato, si può optare per una soluzione di comunicazione vocale digitale (come Skype), altrove l’opzione preferita è spesso una telefonata. Semplicemente: il costo dei dati su un telefono cellulare impedisce, spesso, l’opzione voce.
Ma in un pianeta completamente digitalizzato le cose cambiano. Quando (e se) le OTT come Facebook e Google potranno offrire accessi Internet a prezzi accessibili (o addirittura gratuiti), le chiamate vocali attraverso una piattaforma digitale diventeranno un gioco da ragazzi. E per i servizi voce mobili accadrà quello che è accaduto con gli SMS…
Immaginate ora se WhatsApp introducesse un servizio voce a 10 dollari al mese con chiamate illimitate a livello globale, in un mondo dove i costi dei dati non sono un problema. Senza alcuna crescita della base di utenti attuale, WhatsApp incasserebbe oggi vari miliardi di dollari al mese!
Improvvisamente il prezzo di acquisto da parte di Facebook di 19 miliardi di dollari non sembra così folle.
Ma non avevamo detto che la telefonia vocale, per AT&T, era una commodity? Vale la pena vendere servizi voce? Si, se, a questo punto, teniamo conto della definizione del termine “commodity” come “un prodotto che è venduto senza differenze qualitative sul mercato”. In questo caso, infatti, vi sono le differenze, e sono rappresentate dalla “rete” di Whatsapp. Non una rete fisica, ma una rete di un miliardo di clienti : una rete non è fatta dal supporto fisico, ma dai clienti che vi sono sopra.