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Le telecomunicazioni nel PNRR: tutti i problemi da affrontare

L’emergenza Covid ha dimostrato come la questione delle infrastrutture di rete sia strategico e critica. Ecco perché è finalmente giunto il momento di andare oltre la retorica e arrivare una volta per tutte alla radice dei problemi: il Paese non può più aspettare

Pubblicato il 22 Mar 2021

Alfonso Fuggetta

professore di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, Politecnico di Milano

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In questi giorni il dibattito sulle infrastrutture di rete è particolarmente intenso in quanto si stanno stringendo i tempi per la formulazione del PNRR che dovrà essere presentato all’Unione Europea. Vi sono stati una molteplicità di interventi da parte del Governo e di vari opinion maker, forze politiche e imprese.

Vista la complessità e importanza del tema, è utile provare ad affrontare la questione in modo strutturato, analizzando sia il percorso che ci ha portato nella situazione attuale, sia le linee secondo le quali muoversi nel ricercare una soluzione praticabile e utile al Paese. Con l’autorizzazione dell’editore (EGEA), riporto in questa sede alcuni brani del mio ultimo saggio Il Paese Innovatore che prova a mettere ordine e a fornire una chiave interpretativa dei problemi che dobbiamo affrontare in questo passaggio così importante.

“Il Paese innovatore”: ecco il progetto politico che serve all’Italia

Un cambiamento tecnologico

L’avvento di Internet, della telefonia mobile, dei sistemi di comunicazione wireless come WiFi non sono semplicemente un’evoluzione tecnologica di quanto già esisteva. Non si tratta di una naturale e continua crescita delle prestazioni o delle funzioni di base di sistemi e tecnologie che si sviluppano secondo un percorso consolidato. Le odierne tecnologie trasmissive nascono come conseguenza di una profonda discontinuità tecnologica rispetto al passato: l’avvento della commutazione a pacchetto.

I sistemi di telecomunicazione tradizionali, le reti telefoniche classiche, avevano come obiettivo principale la trasmissione della voce e si basavano su due principi fondamentali:

  • La voce è trasmessa tramite un segnale analogico.
  • La comunicazione avviene creando un circuito che connette direttamente l’apparecchio del chiamante con quello del destinatario.

Questo schema è identificato con l’espressione commutazione di circuito. Una rete di questo tipo è costruita e gestita da un operatore di telecomunicazioni che storicamente si è sempre occupato di tutte le attività della filiera: costruzione della rete, concezione del servizio, sua fornitura e gestione. Nel passato, i grandi operatori inglobavano anche aziende che costruivano gli apparati per gestire la rete e facevano ricerca sulle tecnologie di base. La STET, da cui nacque Telecom Italia oggi TIM, includeva anche Italtel per la costruzione delle centrali telefoniche, lo CSELT come centro di ricerca, e, divenuta Telecom Italia, acquisì SIRTI che si occupa ancora oggi di cablatura e servizi infrastrutturali. Un operatore di questo tipo si chiama operatore verticalmente integrato.

L’avvento dell’informatica e dei sistemi digitali ha completamente rivoluzionato lo scenario preesistente. Internet e i moderni sistemi di telecomunicazione si basano su un approccio radicalmente differente: la commutazione a pacchetto.

Con la commutazione a pacchetto, il dato trasportato non è un segnale analogico, ma una sequenza di bit organizzati in pacchetti. I pacchetti vengono instradati su una rete che in realtà è un grafo di nodi interconnessi. Ogni pacchetto può seguire anche strade diverse per andare da un trasmettitore al ricevente. La rivoluzione risiede nel fatto che una rete di questo tipo è in grado di scambiare qualunque tipo di informazione possa essere digitalizzata, inclusa la voce, ma non solo. La rete trasporta sequenze di bit senza sapere (almeno in prima battuta) quale sia la natura delle informazioni rappresentate tramite quei bit. Lo scopo e funzione dei bit trasportati sono determinati dagli algoritmi utilizzati dai terminali collegati alla rete: i computer, gli smartphone, i dispositivi digitali in genere. L’intelligenza si sposta quindi dalla rete stessa ai dispositivi ad essa connessi. Questa rivoluzione ha fatto dire a David Isenberg che con l’avvento di queste tecnologie la rete sia diventata “stupida”: nella commutazione di circuito tutta l’intelligenza risiedeva nella rete (e quindi in mano all’operatore!), che conosceva e determinava la natura e la qualità dei servizi (la telefonata), mentre i terminali (i telefoni tradizionali) erano dispositivi tutto sommato stupidi; nelle reti a commutazione a pacchetto tutta l’intelligenza sta nei dispositivi o meglio nei programmi che operano sui dispositivi “ai bordi” della rete. In realtà, il funzionamento interno di un rete a commutazione a pacchetto è tutt’altro che stupido o banale, ma è sostanzialmente indipendente dalla singola applicazione e ai morsetti esterni la rete appare svolgere una funzione molto semplice: trasmette e riceve sequenze di bit.

L’impatto sul mercato

La natura delle tecnologie di telecomunicazione digitale è stata al tempo stesso causa ed effetto di una grande opera di standardizzazione. Lo stesso termine “internet” indica interconnessione tra reti eterogenee grazie a standard condivisi. L’effetto combinato della standardizzazione dei protocolli e dell’avvento della commutazione a pacchetto ha avuto conseguenze dirompenti sulla struttura del mercato. Chiunque avesse capacità di calcolo e accesso alla rete è stato messo in grado di sviluppare applicazioni distribute, togliendo il monopolio dei servizi agli operatori di telefonia classici. Così è nata l’espressione over the top (OTT), che indica per l’appunto chi usa la rete (“sta sopra”) per realizzare in autonomia propri servizi applicativi. È la storia degli ultimi 30 anni con la nascita del web, di Google, di Netflix e dell’innumerevole insieme di servizi che quotidianamente utilizziamo. Al tempo stesso, la standardizzazione ha fatto sì che i costruttori di apparati si siano separati dagli operatori telefonici e abbiano subito un profondo processo di concentrazione e selezione. Questi fenomeni sono stati ulteriormente accelerati dalla globalizzazione e dall’interconnessione delle varie reti nazionali.

Tutti questi cambiamenti e trasformazioni hanno fatto sì che il mercato si sia progressivamente trasformato da verticalmente integrato in orizzontalmente stratificato secondo il seguente schema di massima:

  • Costruttori di apparati e dispositivi. Esempi: Nokia, Ericsson, Huawey, ZTE, Apple, Samsung.
  • Operatori Wholesale: gestori di infrastrutture di rete che non offrono servizi agli utenti finali, ma solo agli operatori telefonici retail. Devono essere operatori neutrali, che non interferiscono o condizionano la competizione ai livelli retail e dei servizi. Esempio: OpenFiber.
  • Operatori retail. Esempi: TIM, Fastweb.
  • Fornitori di servizi (OTT). Esempi: Netflix, Google.

Gli incumbent come TIM continuano ad avere anche la proprietà delle loro reti, ma vi sono operatori che offrono sistemi alternativi come la connessione via cavo televisivo, oppure tramite Fixed Wireless Access (FWA, come nel caso dell’italiana Eolo). Al tempo stesso, gli incumbent sono stati forzati ad aprire le loro reti affinché possano essere utilizzate anche dagli altri operatori, inducendo così la progressiva distinzione tra livello wholesale e livello retail. In generale, questo processo sta spostando il mercato da una competizione basata sul possesso delle infrastrutture di rete (competizione infrastrutturale) ad una condivisione delle infrastrutture fisiche e ad una competizione basata sempre più sul solo segmento retail.

In origine, il mercato della telefonia cellulare (wireless mobile) si è anch’esso sviluppato attraverso una competizione infrastrutturale, in quanto il costo maggiore nella costruzione di una rete di telecomunicazione sta nell’ultimo miglio e questo elemento, nel caso della rete mobile, di fatto non esiste. Ciò non di meno, anche nel caso delle reti mobili si assiste ad una progressiva condivisione delle infrastrutture a partire dall’utilizzo delle torri per le antenne. Il 5G presuppone celle di dimensioni più piccole e richiede una densità di antenne ancora superiore e quindi maggiori investimenti. Ciò presumibilmente spingerà ancora più decisamente verso una condivisione delle infrastrutture di rete anche nel caso del mobile.

Un altro elemento che sta incidendo pesantemente sul mercato delle telecomunicazioni e la progressiva scomparsa o irrilevanza dei servizi tradizionali: chiamate voce e SMS. Gli SMS sono stati scalzati dai servizi di messaggistica su Internet come Whatsapp o iMessage. Le chiamate voce sono ormai un elemento accessorio rispetto all’offerta dati, anche perché le trasmissioni vocali sono state esse stesse convertite in chiamate voice over IP come nel caso dei servizi di audio-video conferenza e di messaggistica avanzata (come lo stesso Whatsapp e FaceTime).

Complessivamente, gli operatori retail fissi e mobili diventeranno (già nei fatti lo sono!) fornitori di servizi di trasporto dati a livello retail, magari utilizzando una molteplicità di tecnologie trasmissive fisse e mobili, senza peraltro averne necessariamente il possesso, ma sempre più accedendo ad infrastrutture gestite da operatori wholesale. Di fatto, ciò li avvicina sempre più ad un mercato di tipo commodity (il cosiddetto “dumb pipe”), anche se permane un forte tema di qualità del servizio che può essere un reale elemento differenziante. Ma la convergenza verso il “dumb pipe”, prima ancora che essere conseguenza di spinte regolatorie o da dinamiche competitive e di mercato, è intrinsecamente determinato e causato dal passaggio da commutazione di circuito a commutazione di pacchetto. È questo cambio strutturale che determina i veri e profondi cambiamenti ai quali stiamo assistendo.

Per questo motivo, è miope immaginare che ad un cambio strutturale e radicale si possa rispondere adeguando la regolazione così da conservare l’assetto precedente: è inevitabile che il cambiamento avrà comunque luogo; si tratta solo di capire se sarà gestito oppure solo subito.

Fisso, mobile e neutralità tecnologica

Uno dei dibattiti che periodicamente riappare è quello del rapporto tra fisso e mobile e, più in generale, della cosiddetta neutralità tecnologica nello sviluppo delle reti. Per poterlo discutere, è utile approfondire brevemente la natura delle diverse tipologie di reti oggi disponibili.

Semplificando, una rete di telecomunicazione è composta da due parti: le dorsali e le reti di accesso. Le dorsali sono reti che trasportano informazioni lungo i principali assi del territorio, arrivando fino alle centrali di zona. Sono normalmente realizzate in fibra, anche se in alcuni casi si utilizzano ponti radio. Le reti di accesso connettono il singolo utente alle centrali di zona. Possono essere reti wireline o wireless (con filo o senza filo).

Le reti di accesso wireline sono quelle tradizionali in rame (il doppino telefonico) o quelle in fibra ottica.

Le reti di accesso wireless sono classificabili in due categorie:

  • Reti di accesso wireless mobili: consentono all’utente di restare connesso alla rete anche quando è in movimento, attraverso il meccanismo dell’handover (il passaggio automatico da un antenna a un’altra quando l’utente si sposta). Esempi di reti wireless mobili sono il 4G e il 5G.
  • Reti di accesso wireless fisse (FWA): forniscono accesso a un utente sostanzialmente stanziale. Sono per esempio le reti WiMax e l’utilizzo domestico delle reti mobili.

La scelta della rete da utilizzare dipende essenzialmente da due dimensioni, ovvero il tipo di cliente che si vuole servire e il tipo di prestazioni che devono essere garantite.

Gli utenti possono essere o stanziali o in mobilità. Un utente stanziale può accedere alla rete con tutte le tecnologie qui viste, ma l’utente in mobilità ha necessariamente bisogno di una rete 4G e 5G. Quindi, se si vuole servire questo tipo di utenza, occorre una rete wireless mobile, e a poco serve sapere che in quella zona, per esempio, è disponibile la fibra ottica o WiMax.

Una rete di accesso in fibra ha una capacità di trasferimento dati complessiva molto più elevata e scalabile di una rete wireless. Anzi, si può affermare con certezza che una rete wireless non potrà mai offrire prestazioni comparabili con quelle delle reti di accesso in fibra, sia come velocità di picco che come capacità complessiva di trasferimento dati e anche in termini di ritardo/jitter, così importanti per le comunicazioni interattive come le videoconferenze o il gaming on line. Una rete in fibra non pone limiti di utilizzo, specialmente (ma non solo) per gli utenti business: già soltanto l’utilizzo di poche sessioni di videoconferenza, accesso a servizi web con trasferimento dati o condivisione di informazioni multimediali, potrebbe saturare o mettere in difficoltà altri tipi di rete. Infine, lo sviluppo della ricerca sull’uso della fibra non pone al momento limiti alla crescita delle prestazioni.

Una rete wireless, sia fissa che mobile, ha limitazioni che derivano dalla fisica della trasmissione nell’etere, mezzo unico e condiviso da tutti i potenziali utenti. In funzione delle frequenze utilizzate, inoltre, la comunicazione può avere problemi sia di passaggio in luoghi chiusi, sia di interferenze dovute a fenomeni meteorologici.

Fatte queste necessarie premesse, molto del dibattito al quale ancora oggi si assiste appare francamente incomprensibile o strumentale.

In primo luogo, non ha senso contrapporre rete fissa e rete wireless mobile. Proprio la crisi causata dal Coronavirus ci ha mostrato, come peraltro accennavo in precedenza, che le due tipologie di rete entrambe sono necessarie e complementari.

Allo stesso modo, appare francamente distorto il dibattito sulla cosiddetta “neutralità tecnologica” per cui non conta la tecnologia utilizzata, ma solo il rapporto costo-prestazioni. In questo senso, per esempio, non servirebbe puntare sempre ad avere connessioni FTTH (Fiber To The Home), ma basterebbero connessioni FTTC (Fiber To The Cabinet) che sfruttano il rame esistente per portare la banda larga nelle case degli utenti (e nelle imprese). Ovviamente, se ci sono porzioni del territorio che possono essere coperte con soluzioni FWA e FTTC con prestazioni accettabili, senza dover investire in modo eccessivo in opere civili e cablature (si pensi a zone montane con scarsa densità abitativa), non ha molto senso immaginare di portare comunque sempre e comunque connessioni FTTH. Ma le soluzioni FTTC hanno molti limiti: in particolare, con rame “lungo” le prestazioni e l’affidabilità decadono sensibilmente. È una soluzione transitoria e temporanea. Sul medio-lungo periodo sarà inevitabile avere o FTTH o FWA ad alte prestazioni.

Queste considerazioni ci saranno utili nel seguito del capitolo per discutere di politiche e investimenti pubblici in infrastrutture di rete.

Infrastrutture strategiche e intervento pubblico

Le infrastrutture di rete costituiscono il sistema nervoso che ha tenuto in piedi il Paese. Senza di esse il Paese sarebbe crollato. In questo contesto, sono riemerse in modo chiaro alcune tematiche che negli anni scorsi sono state o ignorate o trattate in modo totalmente inadeguato.

  • La domanda di servizi di connettività va anticipata: non è possibile stendere “fili on demand”. Per troppo tempo abbiamo pensato che lo sviluppo delle reti dovesse seguire la crescita della domanda. Ciò non può essere vero per una infrastruttura che da un lato richiede tempi di messa in esercizio non istantanei (il filo “on demand” non esiste) e, dall’altro, può essere utilizzata anche per scopi a priori non conosciuti o per gestire picchi (come in questo caso) che erano difficili da prevedere.
  • Spesso si dice che mancano le killer application per le reti in fibra FTTH. In realtà, questa killer application esiste già (l’entertainment multimediale). Ma soprattutto ciò che conta è la domanda aggregata: in casa (e ancora di più sul lavoro, ovviamente) capita spesso che diversi utenti/dispositivi vadano ad insistere e richiedere capacità di banda sulla stessa connessione. Non per niente, con l’esplosione della teledidattica e dello smartworking le reti attuali sono state messe sotto stress. Possiamo permetterci di correre il rischio di raggiungere il punto di saturazione e collasso?
  • Non ha senso continuare a considerare le soluzioni FTTC come adeguate ai bisogni del Paese, sia per limiti di molte connessioni in rame “lungo”, sia perché sono incapaci di rispondere ai bisogni della domanda sul medio-lungo periodo. Inoltre, le reti wireless fisse (FWA attuali e in futuro 5G) possono certamente svolgere un ruolo utile per colmare specifici segmenti di domanda, ma non possono in alcun modo sostituire e supplire ad una carenza strutturale di connessioni FTTH, soprattutto per il mondo delle imprese.
  • Se è vero che il costo medio per allacciare una famiglia alla fibra FTTH è inferiore mediamente al migliaio di euro (e non di poco), anche immaginando di dover cablare ancora una quindicina di milioni di abitazioni (e molte meno imprese), avremmo un investimento, ammortizzabile almeno su un decennio assolutamente gestibile per il nostro Paese. Peraltro, le reti FTTH hanno costi di gestione inferiori a quelle tradizionali.
  • Da anni assistiamo ad un dibattito nel quale da un lato il mondo dell’offerta sostiene che il Paese sia stato già largamente cablato e la capacità disponibile sia usata in modo parziale e, dall’altro, il mondo della domanda sostiene il contrario. È divenuto ineludibile avviare una mappatura puntuale ed analitica della disponibilità della fibra fuori dai grandi centri abitati: nei distretti industriali, nelle zone dell’hinterland dove risiedono coloro che vorrebbero fare telelavoro, nelle zone a bassa densità di popolazione che si vorrebbe valorizzare anche attraverso la messa a disposizione di infrastrutture digitali adeguate. Potremmo estremizzare dicendo che “l’offerta attira la domanda” e definisce (o squalifica in caso di mancanza di offerta) l’attrattività di uno specifico territorio. Non posso dimenticare un imprenditore che mi disse “mi tocca spostare l’azienda in una zona dove ho una connessione di rete migliore, altrimenti non posso lavorare”.
  • I servizi di interconnessione si sono trasformati (questi sì!) in commodity, nonostante i tanti tentativi degli operatori di competere in altri settori coperti dagli OTT per mantenere un business integrato verticalmente (dalla infrastruttura fisica al servizio applicativo/business). È una battaglia strutturalmente impossibile da vincere. Ha senso prenderne atto, riconoscendo che il mercato è orizzontalmente stratificato, adottando il modello wholesale only per le infrastrutture, concentrandosi sui servizi dati a livello retail e abbandonando l’impossibile ambizione di competere con gli OTT.

Ma quindi quale è il ruolo del pubblico, dello Stato (e delle Regioni)? Può limitarsi ad osservare il mercato e confidare che possa dare una risposta in tempi rapidi ai bisogni di infrastrutture del Paese? Che fare per quelle zone del territorio che risultano poco appetibili dal punto di vista degli operatori privati?

Sul fronte dell’offerta, piani per la cablatura del Paese sono stati fatti sia a livello centrale che locale]. Tuttavia, la questione di fondo da affrontare una volta per tutte è il rapporto mai risolto – nella rete fissa – tra incumbent, altri operatori retail (infrastrutturati e non) e gli operatori wholesale. Questo rapporto deve trovare un equilibrio tenendo conto di quello che è lo sviluppo del mercato: se è vero che è sempre più stratificato orizzontalmente e che ha sempre meno senso una competizione infrastrutturale, allora ha senso prevedere un modello con una o più infrastrutture fisiche messe a disposizione da operatori wholesale (neutrali) ad operatori retail, previa una chiara separazione dei ruoli. Questo tipo di assetto garantisce la concorrenza e permette di integrare al meglio l’eventuale intervento pubblico che si può (e deve) limitare al solo livello infrastrutturale/wholesale, lasciando agli operatori di mercato la completa gestione dell’interazione con i clienti finali.

Sul lato domanda, se si volesse offrire un’ulteriore spinta alla diffusione della banda larga, avrebbe senso ipotizzare la migrazione delle trasmissioni da Digitale Terrestre e satellite a Internet (con ciò liberando anche frequenze che potrebbero essere utilizzate per altri scopi). È una proposta forte, forse provocatoria, ma è l’unica azione che può causare un’ulteriore accelerazione della domanda rispetto alla situazione attuale. Altre opzioni come una “forte digitalizzazione della PA” sono solo pie speranze o, peggio, degli inefficaci placebo: veramente immaginiamo che un cittadino spenda (debba spendere!) la sua giornata o una parte significativa del suo tempo accedendo a servizi delle PA che, peraltro, non hanno bisogno di molta banda?

Il problema delle infrastrutture di rete è strategico e critico, come l’emergenza Covid ha dimostrato. Va affrontato evitando retorica e andando una volta per tutte alla radice dei problemi: il Paese non può più aspettare.

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