Adesso nessuno può più avere dubbi. Con il veto dato dall’amministrazione americana alla proposta di acquisizione ostile da parte di Broadcom su Qualcomm, la geopolitica ufficialmente fa sentire la sua voce nel mondo della tecnologia. E la fa sentire forte e chiara.
Qualcomm è poco conosciuta al grande pubblico ma i suoi chip sono all’interno di gran parte dell’elettronica di consumo presente nelle nostre case. Una buona parte degli smartphone, alcuni tra gli access point Wi-Fi più performanti, degli apparati audio più sofisticati così come dei visori di realtà immersiva più moderni hanno in comune tecnologie prodotte da Qualcomm. L’elenco potrebbe continuare a lungo includendo un insieme enorme di prodotti familiari ma anche meno conosciuti, perché Qualcomm è un fornitore ancora più importante nei mercati B2B presidiati dalle grandi aziende.
Secondo un recente studio di Jeffries, il 12% dei brevetti che formano il cuore dello standard 4G-LTE della telefonia mobile appartengono a Qualcomm così come il 15% di quelli del futuro 5G, facendone in entrambi i casi il più importante possessore di brevetti. Ma mentre nel mondo del 4G i produttori cinesi erano marginali, nel 5G già adesso sono al terzo posto per numero di brevetti depositati con il 10% del totale. Hanno investito nel 5G più di 600 milioni di dollari a partire dal 2009 e nel 2018 soltanto ne spenderanno circa 800. Ed è proprio il 5G il vero terreno di scontro.
La battaglia del 5G
A partire dal 2019 inizierà la vera diffusione del nuovo standard per la connettività mobile. Sarà un cambiamento epocale. Le prestazioni miglioreranno, ma questo sarà il mutamento minore. La vera differenza sarà nella struttura della rete che si trasformerà per permettere ai miliardi di device che saranno connessi di essere serviti e garantirne allo stesso tempo il servizio. Con il network slicing non si assegnerà più una “fetta” fisica della rete a un device, ma una fetta virtuale della rete più adatta al servizio richiesto dal device. È un radicale cambio di prospettiva che ha bisogno di tempi lunghi per maturare. Pertanto, la competitività di interi sistemi economici dipenderà da come, e quando, la nuova rete 5G sarà sviluppata. Di certo si sa che lo standard sarà uguale in tutto il mondo ma ancora non è stato deciso tutto in tutti i suoi dettagli. Piccole differenze potrebbero comportare anche grandi conseguenze. Arrivare per primi può essere un indubbio vantaggio e la Cina ha fatto capire chiaramente che vuole primeggiare in questo ambito, mostrando un attivismo comprensibile quanto inusitato. Dal 2015 la Cina si è guadagnata il posto di segretario generale dell’ITU, che manterrà fino al 2019. Il numero dei rappresentanti cinesi all’interno dei technical specification groups (TSG) e nei sotto-gruppi è passato da 8 su 57 nel 2013 a 10 nel 2017, indirizzandosi in modo mirato. Il nervosismo degli americani e dei loro alleati storici, che storicamente hanno sempre dominato questo ambito, ha più di un addentellato concreto.
L’acquisizione di Qualcomm non è stato il primo terreno di scontro e non è stata certamente una sorpresa. Il 2018 si era già aperto con AT&T costretta a ritornare sui suoi passi bloccando l’offerta di cellulari Huawei ai suoi clienti, perché considerati non sicuri. La questione si era poi ulteriormente allargata, spostandosi agli apparati di telecomunicazioni, rinverdendo all’interno del Senato americano i sospetti mai sopiti sull’affidabilità di Huawei e ZTE come fornitori di tecnologia. Da qui a mettere in discussione il futuro dominio sugli standard del 5G, il passo è stato breve, soprattutto mentre il bid su Qualcomm si arenava.
Cina vs USA: i campi tecnologici di scontro
La Cina con grandi sforzi di ricerca, muovendosi in modo molto organico e ben ponderato, si è guadagnata una buona posizione per sfidare l’egemonia americana. Non è soltanto una sfida legata al 5G. C’è anche l’intelligenza artificiale, in cui i cinesi ormai dominano con i numeri primeggiando per addetti, progetti di ricerca e disponibilità di basi di dati. Va aggiunto anche il quantum computing, che è il futuro dell’informatica e i super computer, dove ormai i cinesi hanno il primato. Ma non vanno dimenticati neanche i servizi cloud, per i quali Alibaba è già ben posizionata per sorpassare Amazon.
E l’Italia?
In questa compagnia di vasi di ferro, l’Italia è un vaso di coccio. Ogni considerazione di carattere geopolitico in materia tecnologica come di cyber security è come rimossa. Nessuno prende posizione ed il tema è evitato con cura. Ma dopo gli ultimi fatti, presto diventerà ineludibile. Sarà un’altra cartina tornasole di dove il Paese davvero vuole andare. Soltanto che le scelte che si faranno ci vincoleranno ben più a lungo della durata del prossimo Parlamento