L’Italia va ormai spedita verso il nuovo Codice delle comunicazioni elettroniche, un nuovo quadro adatto a un’era in cui le “comunicazioni elettroniche” sono un filo che ci lega tutti – e ancora di più lo farà in futuro – con una forza inconcepibile 18 anni fa. L’attuale codice è del 2003 infatti e basterebbe questo dato per indicare la necessità di una nuova cornice che possa contenere – e ben regolare – quello che le telecomunicazioni sono diventate ormai per la società.
Al momento il decreto di recepimento della relativa direttiva europea sul nuovo codice è all’esame del parlamento.
Lo schema di decreto legislativo italiano sul nuovo codice comunicazioni elettroniche
Seppur in ritardo rispetto alla roadmap, che prevedeva il recepimento da parte dei singoli Stati membri entro il 21 dicembre 2020 (tanto che i rallentamenti hanno determinato l’avvio, a carico di ben 24 Paesi Ue tra cui l’Italia, di una procedura di infrazione), si è svolta quest’estate la consultazione pubblica avviata dal ministero per lo Sviluppo economico avente a oggetto il recepimento del codice. Si è trattato, invero, di una consultazione che è stata strutturata in una serie di macro domande rivolte ai vari stakeholders.
Nuovo codice Ue delle comunicazioni elettroniche, l’Italia s’allinea: ecco le novità
A valle della consultazione, è stato dunque adottato un corposo schema di decreto legislativo (ben 150 pagine) attualmente al vaglio delle Camere per il rilascio dei relativi pareri, che offre molti spunti di riflessione soprattutto in relazione ai possibili impatti sul mercato e sui consumatori di alcune specifiche previsioni ivi contenute.
Contratti a 12 mesi e diritto di recesso
Ci si riferisce, in particolare, alle disposizioni che prevedono la riduzione da 24 a 12 mesi del vincolo telco-cliente nei contratti di telefonia-Internet, la previsione di un termine di 60 giorni – a fronte dei 30 attualmente previsti – per l’esercizio del diritto di recesso da parte dei clienti in caso di modifica unilaterale da parte degli operatori.
Significa rafforzata tutela della concorrenza, della trasparenza e della possibilità di cambiare operatore; ma con il risultato che la singola rata sarà più cara e – già lamentano gli operatori – questo equivale a una più grande barriera all’ingresso alle nuove tecnologie (smartphone 5G), modem in fibra.
Più poteri ad Agcom, nuovi costi delle frequenze
Altri temi caldi del decreto sono l’innalzamento delle sanzioni Agcom per le violazioni gravi nelle controversie con i consumatori (fino al 5 per cento del fatturato dell’operatore) e un inasprimento – del 50% rispetto a quanto attualmente previsto – dei costi amministrativi e dei contributi per le frequenze da parte di grandi utilizzatori (grandi operatori); ci sono invece sconti per i piccoli utilizzatori (perché si abbatte il costo minimo di accesso alle frequenze), con il vantaggio di copertura delle zone in digital divide con tecnologie wireless.
Diritto alla banda larga come servizio universale
Si segnala anche la norma che rende la banda larga servizio universale: diritto a potersi abbonare ovunque a un servizio adeguato per velocità anche a video conferenze, smart working, social e formazione a distanza e a costi accessibili. Il decreto rinvia i dettagli ad Agcom e quindi per ora è difficile valutarne l’impatto.
Nuovo codice comunicazioni elettroniche, necessario bilanciare interessi consumatori e mercato
Si tratta, evidentemente, di previsioni che perseguono il pregevole e certamente condivisibile fine di incrementare le tutele in favore dei consumatori, allentando i vincoli contrattuali e disegnando un sistema sanzionatorio con maggior efficacia deterrente, ma che impongono di valutare attentamente le possibili ricadute che le stesse rischiano di avere non solo sul mercato e sugli operatori ma anche sui soggetti che (nelle intenzioni) tali disposizioni vorrebbero tutelare, ossia gli utenti finali.
E infatti, se da un lato la riduzione a 12 mesi del vincolo contrattuale allenta i vincoli a carico degli utenti, dall’altro li espone ad aumenti importanti delle singole rate, in tutti i casi di piani tariffari abbinati all’acquisto di un device oppure alla difficoltà di doversi relazionare con l’operatore che offre il piano e con quello che ha fornito il device. L’inasprimento delle sanzioni, invece, se da una parte cerca di disincentivare le violazioni da parte degli operatori a tutela agli utenti, dall’altra sconta la vaghezza della previsione che non esplicita adeguatamente le tipologie di condotte ritenute gravi, rendendo difficoltoso per i potenziali destinatari di tali sanzioni – gli operatori – fare previsioni e creando margini di incertezza tali da poter anche disincentivare gli investimenti.
Attenta riflessione esige anche la disposizione che prevede l’innalzamento dei costi amministrativi e dei contributi per un grande utilizzo delle frequenze (quindi in aree più popolare). Sono diversi i fattori da prendere in considerazione: la posizione arretrata dell’Italia nella classifica europea sulla digitalizzazione, la presenza di tariffe che sono tra le più basse in Europa, gli enormi investimenti compiuti dagli operatori in sede di asta 5G, il calo della redditività degli operatori (e già una forte riduzione della forza lavoro negli ultimi dieci anni).
E ancora, l’estrema rigidità – a oggi del tutto immotivata – dei limiti elettromagnetici vigenti nel nostro Paese, che consente il proliferare di antenne imponendo, però, alle imprese un aggravio dei costi di realizzazione delle reti, e l’incertezza legata alla sorte di frequenze prossime alla scadenza di cui gli operatori – in linea con la storia delle frequenze in Italia – auspicano la proroga. Ecco, se consideriamo tutti questi aspetti, è chiaro come la disposizione in esame richieda un supplemento di riflessione e una più attenta analisi di impatto. Si tratta di una necessità ineludibile anche in considerazione del fatto che lo stesso schema di decreto, al considerando 23, oltre a obiettivi di promozione della concorrenza, del mercato e degli interessi degli utenti finali, individua come prioritario il diritto alla connettività a prezzi ragionevoli e la possibilità di scelta adeguata con l’introduzione del concetto di servizio universale.
Se questi sono dunque gli obiettivi perseguiti con il recepimento del Codice, la sfida adesso è avviare un dialogo costruttivo e pragmatico con gli operatori e i rappresentanti dei consumatori che consenta ai decisori politici di individuare e valutare con la dovuta profondità tutti gli impatti, certi, probabili o anche solo potenziali delle disposizioni in discussione. Il fine ultimo dovrebbe essere quello di scongiurare il rischio che il recepimento del Codice, che sulla carta rappresenta un’opportunità per l’Italia per modernizzare un quadro normativo ormai obsoleto, si traduca in un ulteriore fattore di rallentamento degli investimenti degli operatori, figure più che mai indispensabili per garantire la competitività del Sistema Paese.
La direttiva europea sul nuovo codice delle comunicazioni elettroniche
Il punto di partenza è appunto la direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018, che ha istituito il nuovo Codice europeo delle comunicazioni elettroniche, un documento che ha l’obiettivo di garantire una connettività di elevata qualità, in coerenza con gli obiettivi tradizionali di promozione della concorrenza, di realizzazione del mercato interno e di protezione degli utenti.
A tal fine, la disciplina europea intende potenziare l’armonizzazione regolatoria per semplificare l’attività delle imprese e favorirne gli investimenti. Ma anche per promuovere il mercato unico attraverso un coordinamento nello svolgimento di alcuni processi, il potenziamento generale del ruolo del Body of European Regulators for Electronic Communications (BEREC) nell’individuazione di buone prassi regolatorie valide per l’intera Unione e il rafforzamento del raccordo tra Autorità Nazionali di Regolamentazione (ANR) e Commissione europea.
Il Codice, in particolare, si inquadra nel più ampio pacchetto sulla connettività proposto dalla Commissione europea nel settembre 2016, che prevede, entro il 2025, connettività gigabit per i principali motori economici, come le scuole, le medie e grandi imprese e i più importanti prestatori di servizi pubblici, connettività potenziabile di almeno 100 Mb al secondo per tutte le famiglie europee e copertura 5G per tutte le aree urbane e i principali assi di trasporto terrestre. La disciplina europea ha aggiornato e sostituito il gruppo di direttive che dal 2002 compongono il quadro regolatorio di settore, andando a riunire in un unico corpo normativo tutti i principi e gli strumenti esistenti e introducendone di nuovi, unitamente a nuove finalità. E, infatti, i considerando 3 e 22 del Codice evidenziano la necessità di “incentivare gli investimenti nelle reti a banda larga ad alta velocità” e contribuire “all’attuazione di politiche più ampie nei settori culturale, occupazionale, ambientale, della coesione sociale, urbanistico e dell’assetto del territorio”.
Il Codice ha inoltre ridisegnato il ruolo delle Autorità di regolazione, alle quali sono affidate non solo funzioni tecniche e di controllo, ma anche di natura politica collegate all’obiettivo pubblico di promozione degli investimenti e di diffusione delle reti ad alta velocità. Entrando nello specifico, il Codice ha introdotto una serie di importanti novità in relazione, fra l’altro, all’ambito di applicazione del quadro regolatorio, alla regolamentazione dell’accesso, alla gestione dello spettro radio, al servizio universale e alla tutela dei consumatori.
Per quanto concerne l’ambito di applicazione, il Codice ha fornito una nuova definizione di servizio di comunicazione elettronica idonea a includere nel campo regolamentare anche gli operatori c.d. over the top (OTT), sebbene con intensità diverse in funzione dell’utilizzo o meno di risorse di numerazione. Quanto alla regolazione dell’accesso, le autorità nazionali di regolazione hanno visto potenziare i propri poteri impositivi potendo imporre obblighi di accesso simmetrici e, dunque, a carico di tutti gli operatori, in presenza di elementi di rete non replicabili. In tali ipotesi, il Codice permette di imporre l’accesso al cablaggio e alle risorse correlate all’interno degli edifici o fino al primo punto di concentrazione o di distribuzione se situato fuori dallo stabile.
Per quanto attiene, invece, alla regolazione asimmetrica e, dunque, quella a carico dei soli operatori con significativo potere di mercato (SPM), premesso che l’impianto generale resta immutato, il Codice ha valorizzato il principio secondo cui gli obblighi relativi all’accesso devono essere proporzionati, devono perseguire l’obiettivo di fronteggiare situazioni di effettivo fallimento del mercato al dettaglio e devono essere prescritti solo se necessari per la tutela dell’interesse dell’utente finale. All’interno di questa cornice, lo stesso Codice ha introdotto una nuova procedura per l’identificazione di mercati transazionali affidata alla competenza del BEREC – i cui poteri e competenze, in generale, subiscono un potenziamento nel Codice – e ha fissato in cinque anni (in luogo dei tre sinora previsti) il termine per il rinnovo delle analisi di mercato.
Una novità significativa è rappresentata dalla riduzione del carico regolatorio in presenza di determinate condizioni per gli operatori con SPM che offrano impegni per aprire al coinvestimento la realizzazione di una nuova rete ad altissima capacità, nonché per gli operatori con SPM attivi esclusivamente sul mercato all’ingrosso dei servizi di comunicazione elettronica (“wholesale only”). Il medesimo Codice ha previsto la fissazione, entro il 31 dicembre 2020, di tariffe uniche massime di terminazione a livello europeo per le chiamate vocali su reti fisse e mobili. In vista dell’avvento del 5G e della roadmap fissata dalla Commissione europea sin dal 2016, il nuovo Codice contiene disposizioni finalizzate ad accelerare e coordinare le procedure di assegnazione dello spettro radio per i servizi e le reti di comunicazione elettronica fissando al 2020 il termine per il loro completamento.
Le nuove regole perseguono, inoltre, un obiettivo di armonizzazione rispetto ad alcune questioni chiave dei modelli di licenza e dei regimi autorizzatori, compresa la durata minima delle licenze dei diritti d’uso individuali (almeno 15 anni) e incentivano a risolvere le criticità connesse alle interferenze (nazionali o transfrontaliere) dannose e, in una logica di efficienza, a favorire, quando possibile, l’utilizzo condiviso, il trasferimento e l’affitto dello spettro sulla base del principio “use it or lose it”.
Il Codice, inoltre, ha aggiornato e ridefinito il perimetro degli obblighi di servizio universale (eliminando quelli ormai superati, come i telefoni pubblici a pagamento, gli elenchi abbonati e il servizio di consultazione degli elenchi) e ha prescritto agli Stati membri di assicurare a tutti i consumatori nei loro territori l’accesso a prezzi abbordabili a un adeguato servizio di accesso a Internet a banda larga e a servizi di comunicazione vocale, che siano disponibili, al livello qualitativo specificato nei loro territori, in postazione fissa.
In una logica di tutela dei consumatori, invece, il Codice ha fissato nuovi obblighi di trasparenza in relazione alle condizioni, ai prezzi e alla qualità dei servizi di comunicazione elettronica. Inoltre, ha attribuito agli utenti finali il diritto di accedere gratuitamente ad almeno uno strumento di confronto dei diversi servizi offerti, ha introdotto disposizioni tese a semplificare il passaggio da un operatore all’altro e a evitare effetti di lock-in, come le regole sulla durata massima (due anni) e la risoluzione dei contratti, il cui ambito di applicazione viene esteso anche ai pacchetti di servizi. Il regolamento (UE) 2018/1971 sul BEREC va a completare le disposizioni del Codice che hanno attribuito all’agenzia nuovi compiti e ha l’obiettivo di potenziarne il ruolo, semplificandone la struttura di governance e i processi decisionali.