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Gli eSports verso il riconoscimento come disciplina sportiva: le lacune da colmare

Il settore eSports italiano, pur in forte crescita, sconta la mancanza di una normativa ad hoc. Il Coni, dal canto suo, ha compiuto un primo passo per l’equiparazione del gaming competitivo a tutti gli altri sport tradizionali. In attesa di un intervento risolutore facciamo il punto sull’attuale inquadramento giuridico

Pubblicato il 27 Gen 2021

Leonardo Cornacchia

Privacy Officer

Andrea Michinelli

Avvocato, FIP (IAPP), LA ISO/IEC 27001:2013

Photo by Florian Olivo on Unsplash

Uno dei settori che più hanno tratto beneficio dalla pandemia da Covid-19 è sicuramente quello degli eSports (abbreviazione di electronic sport, ovvero le competizioni organizzate a livello professionistico aventi ad oggetto videogiochi). Lo conferma l’ultimo report “Let’s Play 2020 – The European Esport Market” di Deloitte che, per l’Europa, vede l’Italia e la Spagna come i paesi in cui il gaming competitivo è cresciuto maggiormente nell’ultimo anno.

È in questo contesto che nel maggio dello scorso anno il CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano) ha aperto le porte al riconoscimento in Italia del gaming competitivo come disciplina sportiva. Il presidente Giovanni Malagò, infatti, con una lettera destinata a figurare come spartiacque in questo settore, ha delegato il dott. Michele Barbone, presidente del Comitato promotore eSports Italia, al compimento di ogni attività utile all’unificazione delle realtà operanti in Italia nel mondo e-sport con l’obiettivo di creare un soggetto rappresentativo di tutte le realtà nazionali ed in linea con i principi dell’ordinamento sportivo. Questo passaggio fondamentale, se portato a compimento, permetterà l’equiparazione dell’eSport a tutti gli altri sport tradizionali.

A livello nazionale uno dei soggetti più rappresentavi è la Federazione Italiana Discipline Elettroniche (FIDE), sorta recentemente dall’unione tra GEC (Giochi Elettronici Competitivi) e ITeSPA (Italian e-Sports Association), la quale in tal modo aspira a diventare la federazione di rappresentanza dell’e-sport in Italia. Delineando regole e standard comuni nell’utilizzo dei videogame e nei confronti degli operatori del settore (atleti, squadre, allenatori, arbitri, ecc.).

Si tratta di un segnale importante per gli appassionati del settore, anche perché proveniente dalla massima autorità sportiva nazionale che indirettamente certifica la crescita esponenziale che gli e-sports stanno avendo negli ultimi anni.

Il report “Global E-sports Market” pubblicato da Newzoo, società specializzata in analisi di mercato, ha stimato per il mercato globale degli e-Sports introiti per 1,05 miliardi di dollari nel solo 2020, con maggiori ricavi provenienti dalle sponsorizzazioni (+17,2%), dalla vendita dei diritti (+17,3%) e del merchandise e dei biglietti (+15,2).

Il settore eSport in Italia: il peso della mancanza di norme

È soprattutto il dato relativo ai fan che rende l’idea del seguito di cui gli eSport godono nel mondo ma soprattutto in Italia. Secondo il “Rapporto sugli e-Sports in Italia” pubblicato da IIDEA (Italian Interactive Digital Entertainment Association), l’e-sport nazionale è seguito da 350mila persone almeno una volta al giorno, numero che sale a un milione e 200mila se si considera chi ne fruisce più di una volta alla settimana. Se queste cifre non fossero sufficienti, basti pensare che l’ultima finale di League of Legends (uno dei più seguiti tornei di e-gaming) svoltasi a Parigi ha tenuto incollati allo schermo più spettatori rispetto al Super Bowl o a una finale di Champions League. Numeri spaventosi se si considerano anche gli ingenti investimenti provenienti dalle aziende interessate a questa nuova forma di business.

Il settore eSports italiano, sebbene in forte crescita, sconta la mancanza di una regolamentazione normativa. La disciplina astrattamente applicabile al gaming competitivo, infatti, è rappresentata dalla normativa relativa alle manifestazioni a premi – in caso di torneo con assegnazione di vincita non in denaro – e dalla normativa relativa ai giochi di abilità a distanza con vincita in denaro – con conseguente applicabilità delle regole del gioco d’azzardo: discipline piuttosto gravose e complesse, non certo alla portata di tutti. Si tratta di regole molto stringenti, soprattutto da un punto di vista sanzionatorio, e che troverebbero applicazioni solamente nei confronti delle manifestazioni svolte in Italia.

Si presentano ulteriori criticità normative che di seguito andiamo brevemente ad accennare, per comprendere quanto si dovrebbe fare già oggi per adeguarsi a questa realtà.

Il pro-player: profili giuslavoristici

Ad eccezione dei profili sopra evidenziati, la disciplina normativa relativa agli e-Sports è rimesso all’autonomia privata, ovvero a quei contratti che intercorrono tra i diversi soggetti impegnati in questo settore: i pro-player, le squadre, le federazioni o associazioni, gli organizzatori dei tornei, gli sponsor, i fornitori di piattaforme streaming, ecc. Fra questi, il pro-player è il soggetto che più di tutti è esposto ai rischi derivanti da questa mancanza di chiarezza normativa.

L’atleta si vincola a una squadra firmando un contratto, ricevendo uno stipendio per l’attività lavorativa svolta. La sua figura – che di fatto potrebbe essere assimilata a quella di un lavoratore dipendente – viene ricondotta nella prassi a forme contrattuali di tipo para-subordinato (ad esempio co.co.co.) o a quelle di libero professionista. Visto il silenzio del legislatore, sono le squadre e le società ad autoregolamentarsi, stabilendo in autonomia con i propri atleti la durata dei contratti, le eventuali clausole di esclusività o di rinnovo tacito, le regole di trasferimento dei player da un team all’altro e la dipendenza o meno del pro-player dal club. Siffatta situazione potrebbe esporre a rischi e abusi considerevoli gli atleti, i quali, in quanto spinti a entrare a far parte di team prestigiosi per partecipare ai tornei, godono spesso di un minor potere contrattuale. A ciò si aggiunga che gli atleti minorenni sono sempre più frequenti, i quali per loro stessa natura necessitano di una tutela legale rafforzata.

Una possibile soluzione potrebbe essere l’applicazione del contratto di lavoro professionistico ai sensi della legge del 23 marzo 1981, n. 91 sul professionismo sportivo, come succede ad esempio nel calcio. Ricordiamo che l’art. 3 di tale norma prevede che la prestazione sportiva continuativa, a titolo oneroso e professionale sia inquadrata come lavoro subordinato (tranne che in alcuni casi tassativi, come ad es. in caso di singola manifestazione sportiva). Ciò, tuttavia, potrà avvenire solo quando il CONI inserirà gli e-Sports all’interno dell’Elenco Discipline Sportive, assimilando in tal modo il gaming competitivo al pari degli sport tradizionali. In ogni caso, se di lavoratori stiamo parlando, non scordiamo che si potrà applicare – nel caso di dipendenti – anche lo Statuto dei Lavoratori (l. 300/1970) e, un domani, potrebbero aversi anche sindacati interessati a tutelare e rappresentare questi lavoratori. Pare avveniristico ma la realtà è già quella che descriviamo sopra, per cui sarebbe opportuno che politicamente si comincino a muovere i primi passi per il “futuro alle porte”.

Tutela della salute e doping

Un altro tema caldo all’interno del mondo e-sport consiste nella tutela della salute psico-fisica degli atleti professionisti. È prassi, infatti, che questi ultimi trascorrano otto-dieci ore al giorno davanti a uno schermo, spesso con poche pause, al fine di perfezionare le proprie abilità di gioco. Anche in questo caso, in assenza di un quadro normativo, sono sempre le squadre nonché gli organizzatori dei tornei che devono provvedere a scongiurare qualsiasi tipo di rischio per la salute in cui può incorrere l’atleta. E non pare di facile adattamento quanto previsto dall’attuale disciplina sulla sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/2008) al contesto di cui stiamo parlando, in cui non ci si può limitare al paragone con l’impiegato di fronte allo schermo mentre compila documenti, bensì sarebbero necessarie apposite linee guida da adottare nei DVR da parte dei team. Oltre a un altro problema, la parziale applicazione a lavoratori che – come detto – rischiano di essere abbandonati a sé stessi in quanto lavoratori autonomi e magari operanti da casa propria (specie in tempo di Covid). Un vero e proprio scenario tutto da esplorare per la medicina del lavoro e che meriterebbe un apposito intervento normativo.

Il caso Friesen

Logico corollario di questa situazione è la crescente diffusione del doping anche in questo ambiente. Sebbene non sia presente uno sforzo fisico tradizionale, al pari del calcio, nuoto o corsa, i pro-player, soprattutto durante le competizioni, si sottopongono a estenuanti sessioni online che provocano stress e richiedono un livello di concentrazione e riflessi elevatissimo. I casi di atleti professionisti dopati sono già alle cronache, basti considerare il “caso Friesen”, quando il pro-player Kory “Semphis” Friesen nel 2015 ammise che lui e la sua squadra avevano fatto uso di un potente stimolatore cognitivo, prima di un’importante partita nella ESL One. Per contrastare questa piaga nel 2016 è nata l’ESIC (E-Sports Integrity Commission), un’associazione che riunisce al suo interno società, organizzatori di eventi e sponsor (ad esempio Dreamhack, ESL, Intel) con il fine ultimo di combattere il doping nel mondo e-sport.

Il suo raggio d’azione, tuttavia, è in parte limitato dai sempre più numerosi tornei gestiti da organizzazioni diverse o direttamente dai produttori di videogiochi rendendo di fatto molto complessa l’implementazione di un sistema di controllo capillare. Servirebbe, infatti, la creazione di un ente unico e super-partes e soprattutto la definizione di tribunali sportivi ad hoc al fine di garantire la certezza e il rispetto delle regole. Anche qui, dunque, un intervento legislativo ad hoc sarebbe provvidenziale per rimediare da subito al vuoto attuale.

Scommesse e match fixing: quali sanzioni?

La rapida diffusione degli eSports, con una platea di pubblico in aumento e introiti e finanziamenti rilevanti, ha determinato anche l’interessamento del mondo delle scommesse sportive. I maggiori operatori del settore (ad esempio Bet365, mentre per l’Italia Snai, Eurobet, ecc.), consapevoli delle potenzialità di business, si sono già attrezzati in questo senso e da tempo propongono diverse soluzioni legate alle competizioni video ludiche.

Questa crescita poderosa è accompagnata, purtroppo, dal fenomeno delle scommesse clandestine, le quali spesso e volentieri sono il frutto di pratiche di match fixing. Con tale termine – introdotto con la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla manipolazione di competizioni sportive del 2014 – si fa riferimento a quelle ipotesi in cui tramite accordi illeciti vengono manipolati e alterati l’andamento o il risultato di competizioni sportive, per conseguire indebiti vantaggi di natura economica. Il match fixing rappresenta un problema sempre più dilagante soprattutto in quei Paesi in cui il business degli eSport registra ogni anno miliardi di introiti, come ad esempio la Cina e Corea del Sud. È del 2015, infatti, la notizia secondo cui l’autorità giudiziaria sudcoreana avrebbe arrestato 12 pro-player ritenuti responsabili di aver truccato alcune partite di alto livello, al fine di scommettere illegalmente sul risultato. Questi Paesi, in particolare, ormai considerati la mecca del gaming, già da tempo sono corsi ai ripari, dotandosi di legislazioni ad hoc al fine di tutelare il mercato degli eSports.

In Italia, il mancato riconoscimento degli e-Sports come disciplina sportiva ha impedito ad oggi l’adozione di contromisure efficaci a livello normativo. In particolare, in presenza di fattispecie relative a ipotesi di frode sportiva, trova applicazione la l. 401/1989, la quale all’art.1 sanziona con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 1,000 a 4,000 euro la condotta di offrire o promettere denaro o altre utilità ai partecipanti a una competizione sportiva, al fine inficiare la correttezza nello svolgimento della competizione stessa. La stessa pena, peraltro, trova applicazione nei confronti del partecipante alla competizione che accetta l’offerta o la promessa. La norma, tuttavia, è di difficile applicazione nei confronti degli eSports, posto che tutela solamente le competizioni sportive organizzate dalle federazioni riconosciute dal CONI. Dunque, sarebbe importante far rientrare tra queste quelle deputate all’organizzazione dei campionati di e-Sports.

Oltre alle sanzioni di tipo penale, un ulteriore rimedio al dilagare delle scommesse clandestine può essere l’introduzione di illeciti di natura sportiva ad opera delle federazioni. Si potrebbe ad esempio prendere spunto dal Codice di giustizia sportiva della FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio). L’art. 24 rubricato “Divieto di scommesse e obbligo di denuncia” sanziona disciplinarmente e con pena pecuniaria il soggetto facente parte di una società sportiva professionista che in proprio o tramite prestanome scommette sul risultato di incontri ufficiali organizzati dalla FIGC, FIFA e dalla UEFA. Le soluzioni prospettate rimangono, tuttavia, subordinate al riconoscimento ad opera del CONI degli e-Sports, nonché alla creazione di una federazione di settore, altrimenti i soggetti responsabili non saranno imputabili di violazioni di tale Codice e assoggettabili alle sanzioni amministrative predette.

L’esempio “virtuoso” della Francia

L’Italia potrebbe prendere spunto da quanto accaduto in Francia in materia di eSport: il modello francese, infatti, rappresenta un esempio virtuoso all’interno dell’Unione Europea, posto che è stato il primo Paese a riconoscere autonomia e dignità giuridica a questo settore.

Il legislatore d’Oltralpe, con la Loi pour une République numérique del 2016, agli articoli 101 e 102, ha inteso sviluppare un ambiente fertile per l’organizzazione delle competizioni, attirando investimenti e nuove opportunità di crescita economica e tutelando allo stesso modo tutti gli attori protagonisti di questo mercato. In particolare, l’art. 101 stabilisce che le competizioni possono essere organizzate solo a condizione che le quote di partecipazione totali raccolte dai giocatori non superino i costi totali di organizzazione. Viene introdotto, inoltre, l’obbligo di notifica al Ministero degli interni quale requisito propedeutico all’organizzazione dell’evento. La norma, infine, mira a tutelare anche i player minorenni: è fatto divieto, infatti, ai minori di anni 12 di partecipare ad eventi che offrono premi in denaro, mentre per i minori degli anni 18 è necessaria l’autorizzazione dei genitori o dei rappresentanti legali.

L’art. 102, dal canto suo, dopo aver definito il pro-player come colui che, dietro compenso, partecipa a competizioni nel contesto di un rapporto di subordinazione giuridica con un’associazione, la quale beneficia di una licenza del Ministro degli affari digitali, vincola le organizzazioni al rispetto di una serie di requisiti per poter contrattualizzare gli atleti. In particolare, viene prevista un’autorizzazione del Ministero degli affari digitali per poter ingaggiare un giocatore professionista. Viene imposto, inoltre, a una specifica autorità governativa la vigilanza su aspetti come l’idoneità fisica e mentale, le ore trascorse davanti allo schermo e l’adozione di misure di prevenzione da qualunque eccesso. L’articolo in esame, peraltro, fissa dei limiti all’autonomia contrattuale delle parti: il contratto tra atleta e team, ad esempio, non può avere una durata inferiore alla durata di una stagione, fissata a dodici mesi, e in ogni caso non può essere superiore a cinque anni. Infine, per quanto riguarda la tutela dei minori, si segnala l’obbligo per le squadre di ottenere specifica autorizzazione dalla Commissione des enfants du spectacle in caso le stesse intendano assumere minori degli anni 16.

Conclusioni

Quanto descritto è solo un breve riepilogo di alcuni degli aspetti più peculiari che il tema induce a pensare, non mancano tanti altri aspetti che possono esservi applicati con problematiche peculiari e complessità varie, non certo di minore importanza (ad es. in ambito di trattamento dei dati personali, di sponsorizzazione, dei diritti d’immagine, ecc.). Tuttavia, sono forse gli aspetti che abbiamo delineato a colpire maggiormente per le specificità e valori in gioco tali da richiedere, prioritariamente, riflessioni e interventi mirati.

Alla luce del quadro sopra delineato è auspicabile che il legislatore italiano prenda contezza dell’importanza del fenomeno eSports in Italia, al fine di fornire un quadro giuridico certo e specifico, anche nell’ambito di progetti politici legati allo sviluppo del digitale. Non solo nazionale, visto che si potrebbe intendere questo come un importante contributo al Digital Single Market che l’Unione Europea sta faticosamente cercando di costruire, norma dopo norma, dal 2015, dunque anche come un’occasione di sviluppo di un intero mercato con un’idonea disciplina. Le possibilità di interventi legislativi, peraltro, sono molteplici. Equiparando gli eSports agli sport tradizionali, a cascata potrebbero trovare applicazioni nel gaming competitivo molteplici normative già previste per le discipline sportive competitive. Se tale soluzione fosse ritenuta troppo estrema, il modello francese sarebbe un ottimo punto da cui partire nel rispetto e alle condizioni fissate dallo Stato a tutela dei lavoratori del settore. In attesa di un intervento risolutore, sarà compito dei professionisti del settore districarsi all’interno dell’attuale inquadramento giuridico.

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