l’analisi di bertelè

IA generativa: rivoluzione o bolla? Ecco le tendenze per decifrarne il futuro



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L’IA generativa, specie dopo il lancio di ChatGPT, sta generando notevoli aspettative, con un aumento di valore per le aziende coinvolte nel tech stack. Ma le implicazioni economiche sono incerte. Sfide come investimenti, privacy, e impatto ambientale emergono, mentre regolamentazione e geopolitica influenzano il suo futuro

Pubblicato il 2 mag 2024

Umberto Bertelè

professore emerito di Strategia e chairman degli Osservatori Digital Innovation Politecnico di Milano



intelligenza artificiale ai act

L’intelligenza artificiale (AI-Artificiale Intelligence) non è nata certo con ChatGPT. È un fatto noto, ma credo opportuno ricordarlo, che l’idea di AI nasce insieme con i primi calcolatori e che il test di Turing di cui spesso si parla, che “misura” l’intelligenza di un modello di AI a raffronto con l’umana, è stato presentato per la prima volta in un articolo del 1950 (“Computing machinery and intelligence”).

IA generativa: una “nuova” Internet o un “nuovo” metaverso?

Il suo sviluppo progressivo – parallelo e profondamente influenzato dall’evoluzione della capacità e velocità di calcolo – ha portato alla messa a punto di applicazioni nei comparti più diversi, molte delle quali diventate ai nostri occhi così usuali da perdere la qualifica di intelligenti. E tuttora i confini dell’AI si mantengono più ampi di quelli della sua componente generativa.

Che cosa ha di particolare allora l’AI generativa, al cui lancio da parte di OpenAI il 22 ottobre 2022 ha fatto seguito una grandiosa campagna mediatica – orchestrata in primo luogo da Microsoft (principale finanziatore e attuale azionista di maggioranza di OpenAI) – che ha contribuito alla crescita di grandissime aspettative sull’impatto che essa potrà avere sull’economia e sulla società in generale, nonché più specificamente

  • sulle imprese che utilizzeranno i suoi modelli per rendere più efficiente la loro macchina organizzativa e/o per mettere a punto nuovi prodotti, servizi o modelli di business,
  • sulle imprese che ne svilupperanno modelli nuovi e sempre più potenti e/o che, con le loro infrastrutture e i loro servizi, abiliteranno l’accesso ai modelli stessi delle imprese utilizzatrici e degli altri attori dell’economia e della società?

In estrema sintesi, proprio per come è concepita, mi piace definirla come una tecnologia che “ha una grande fame” di soldi, dati ed energia elettrica e che vorrebbe essere circondata – dati i temi di cui si occupa (mettere a punto intelligenze che potrebbero superare quella umana o addirittura provocare la fine stessa della razza umana) – da un rispetto quasi religioso.

Passando alla domanda che appare nel titolo di questo paragrafo – una “nuova” Internet o un “nuovo” metaverso? – non farò scommesse, ma cercherò di fornire una serie di elementi che aiutino a capire a che punto siamo e quali siano le maggiori difficoltà da superare.

New call-to-action

Il tech stack

Ho diviso nel punto precedente, anche se la linea di separazione non è così netta, le imprese potenziali utilizzatrici dell’AI generativa da quelle che sviluppano i nuovi modelli e/o che, con le loro infrastrutture e i loro servizi, abilitano l’accesso ai modelli stessi delle imprese utilizzatrici e degli altri attori dell’economia e della società. Per denotare l’insieme di queste imprese viene spesso utilizzato il termine tech stack. È evidente – per una tecnologia articolata e complessa come l’AI generativa – come sia compito delle imprese del tech stack fare gli investimenti necessari per far decollare il tutto, e allo stesso tempo come esse siano le prime a

  • essere oggetto dell’attenzione del mercato finanziario, per i vantaggi di cui godranno se l’Ai generativa avrà successo, e viceversa,
  • vedere apparire nei propri bilanci sia i ricavi derivanti dalle prime vendite sia (all’inizio molto più rilevanti) i costi – correnti e in conto capitale – che dovranno sopportare.

Mentre solo più tardi si potrà avere una ragionevole misura del successo dell’adozione dell’AI generativa nelle imprese utilizzatrici, in termini di maggiore efficienza interna e/o di maggiori ricavi connessi con le più elevate caratteristiche dei prodotti e servizi realizzati con il supporto dell’AI generativa.

Come è strutturato il tech stack? Seguendo lo schema riportato da The Economist in un articolo di quasi un mese e mezzo fa (che riprenderò nel seguito) – “Just how rich are businesses getting in the AI gold rush? Nvidia and Microsoft are not the only winners” – esso può essere visto (Figg. 1 e 2) come articolato in quattro livelli, in parte in cascata fra loro, per ciascuno dei quali riporto i nomi di alcune delle imprese principali (per dimensione e/o innovatività) presenti in essi interamente o con loro unità di business:

  • hardware: Nvidia in primo luogo nei microprocessori, TSMC nel loro manufacturing, Dell nei server;
  • cloud computing: Amazon AWS, Microsoft e Alphabet-Google nelle prime tre posizioni;
  • modelli di AI generativa: OpenAI con GPT-4 (e prossimamente GPT-5), Anthropic con Claude 3 e Google con Gemini nei closed-source foundation models; Meta con Llama 3 (appena lanciato) ma anche Google con Gemma negli open-source;
  • software applications: il comparto ovviamente con il maggior numero di presenze – in buona parte di startup ma non solo – data la minore necessità di una dimensione elevata per rimanere sul mercato.

L’incremento di capitalizzazione delle imprese del tech stack: è un misura realmente significativa dei benefici apportati dall’AI generativa?

Otto trilioni di dollari: è il risultato del conteggio effettuato da The Economist, e riportato nell’articolo sopra citato, valutando l’incremento complessivo di valore – fra il 22 ottobre 2022 (data del lancio di ChatGPT) e il 15 marzo 2024 (data appena precedente la pubblicazione dell’articolo stesso) delle prime circa cento imprese facenti capo al tech stack. Ottomila miliardi, una cifra enorme pari (per offrire un ordine di grandezza) a circa 4 volte il PIL italiano e 10 volte la capitalizzazione complessiva della Borsa italiana.

Le domande che è naturale porsi a fronte di questa cifra sono almeno due:

  • quanta parte degli 8 trilioni possa essere ragionevolmente attribuita all’AI generativa (The Economist fa presente che l’incremento può essere attribuito a una serie di molteplici fattori), e
  • se tale parte sia frutto di un impatto positivo visibile sui bilanci, di un innalzamento delle prospettive valutato sulla base di dati concreti o di una generica fideistica attesa – favorita dalla grandiosa campagna mediatica accennata in precedenza – di un cambiamento nell’economia e nella società simile a quello generato da Internet o dall’iPhone.

La constatazione immediata che si può fare, esaminando la lista (Tab. 1) delle 7 tech comprese fra le 9 imprese a maggior capitalizzazione a livello mondiale, è che 6 di esse sono fra quelle citate come facenti capo al tech stack e che Apple – l’unica non presente – ha promesso per bocca di Tim Cook che presto farà conoscere le modalità della sua presenza (forse in occasione della presentazione della trimestrale il 2 maggio).

Ricostruendo poi i dati di capitalizzazione del 22 ottobre 2022 e del 15 marzo 2024 (Tab. 2), si può vedere che le 7 tech ai vertici mondiali – che nel seguito indicherò come le top seven – sono responsabili di ben 6 degli 8 trilioni di crescita della capitalizzazione complessiva e che il totale cambia poco se si guarda ai dati più recenti (27 aprile).

Ed è su queste top seven,

  • una sorta di riedizione delle magnificent seven (un termine molto popolare negli scorsi mesi), con la taiwanese TSMC al posto di Tesla che è scivolata in quindicesima posizione a causa dei problemi sorti nel comparto dell’auto elettrica, ovvero
  • l’insieme delle storiche big five – Microsoft, Apple, Alphabet-Google, Amazon e Meta – e delle due imprese dell’hardware, Nvidia e TSMC, presenti da molto sul mercato ma solo recentemente balzate alla ribalta per la superiorità delle loro prestazioni,

che concentrerò la mia attenzione, per provare a dare qualche risposta alle domande poste sopra.

La prima osservazione è che nel momento del lancio di ChatGPT le Borse uscivano da una forte caduta rispetto ai valori massimi raggiunti in precedenza (si veda la prima colonna della Tab. 3) e che i valori attuali (ultime due colonne) risultano non molto diversi dai massimi precedenti il lancio, con l’eccezione importante di Nvidia. Se si confronta il valore cumulato attuale con quello fittizio – costruito come somma dei massimi precedenti il lancio – si scopre che l’incremento è del solo 3,2% per le big five (a fronte del +53,9% rispetto al giorno del lancio che appare nella Tab. 2) e del solo 14,1% per le top seven (a fronte del +79,2%). Questo non significa ovviamente che l’hype destata dall’AI generativa non sia stata importante nel rilancio delle Borse stesse, anche perché i massimi raggiunti “ante lancio” riflettevano le aspettative createsi durante la pandemia (quando i rischi dei contatti umani avevano dato una spinta enorme a quelli online), ma è un richiamo a guardare in una prospettiva più ampia i movimenti nelle capitalizzazioni.

La seconda osservazione (si veda la Fig. 3 ancora tratta dall’articolo di The Economist) è che le imprese del tech stack, non solo le top seven, godono – e in parte lo hanno visto ulteriormente crescere – di un multiplo P/E [rapporto fra capitalizzazione e utile netto] sensibilmente superiore rispetto alle non tech: e l’avvento dell’AI generativa ha sicuramente pesato, soprattutto per la componente hardware e per quella cloud computing.

È nell’hardware, che sta alla base del tech stack e di tutta la filiera che arriva sino alle imprese utilizzatrici dell’AI generativa e alle imprese loro clienti, che si sono avuti gli impatti proporzionalmente più consistenti nei ricavi e negli utili netti, a partire da Nvidia.

Ed è nel cloud computing che l’impatto sui bilanci comincia a crescere, come si è visto in occasione della recente presentazione delle trimestrali di Microsoft – che fruisce della presenza nel suo cloud sia dei modelli GPT di OpenAI sia di quelli di imprese concorrenti come Mistral e Cohere e che ha fornito qualche dato in merito) e di Alphabet-Google, che ha segnalato con un certo entusiasmo ciò che sta accadendo nel suo cloud (il terzo in termini dimensionali alle spalle di quelli di Amazon e Microsoft) ma senza indicazioni più specifiche.

E sarebbe stato interessante vedere i primi numeri del progetto Copilot di Microsoft, che affianca a pagamento un assistente AI (denominato appunto copilot) ai suoi diversi software, ma si è avuta solo una dichiarazione del CEO Nadella “Microsoft Copilot and Copilot stack are orchestrating a new era of AI transformation, driving better business outcomes across every role and industry.”

A conclusione di questo paragrafo, alla domanda posto nel titolo se gli 8 trilioni di aumento della capitalizzazione rappresentino una misura realmente significativa dei benefici apportati dall’AI generativa, la mia risposta è no. Credo piuttosto, come meglio evidenzierò nel prossimo paragrafo, che i segnali di impatto sui bilanci – per ora relativamente limitati (se si eccettua il livello dell’hardware e Nvidia in particolare) – servano soprattutto a rassicurare il mercato finanziario in relazione ai volumi crescenti di investimenti che lo sviluppo del tech stack sembra richiedere.

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La diffidenza del mercato finanziario nei riguardi dei grandi investimenti richiesti per il potenziamento del tech stack

Le considerazioni appena fatte trovano una conferma nelle reazioni che il mercato ha avuto nei giorni scorsi alla presentazione delle trimestrali prima di Meta e poi di Microsoft e Alphabet-Google, imprese tutte e tre fortemente impegnate nell’AI generativa e in competizione su vari fronti fra loro. I risultati del I trimestre sono stati per tutte superiori alle aspettative e vorrei dire eccezionali:

  • Meta: 36,5 miliardi di dollari i ricavi, più 27% ai 28,6 del I trimestre 2023; 12,4 miliardi di dollari l’utile netto, oltre il doppio dei 5,7 dell’anno precedente.
  • Microsoft: 61,9 miliardi di dollari i ricavi, più 17% per cento rispetto a un anno fa; 21,9 miliardi di dollari l’utile netto, più 20% circa;
  • Alphabet-Google: 80,5 miliardi di dollari i ricavi, più 15% per cento rispetto a un anno fa (una crescita superiore al più 13,5% del trimestre precedente); 23,7 miliardi di dollari l’utile netto, più 57%.

Risultati come detto tutti superiori alle previsioni degli analisti e piuttosto eccezionali, ma che hanno avuto una accoglienza da parte del mercato finanziario assolutamente divaricata:

  • Meta ha perso il 12% negli scambi after-hours, ritoccato a meno 10,6% nelle contrattazioni ufficiali del giorno dopo: oltre 130 miliardi di $ di capitalizzazione spazzati via, più della somma dei valori di Enel (66,3) ed Eni (52,4).
  • Microsoft ha guadagnato il 4,5% negli scambi after-hours, ritoccato a più 1,8% nelle contrattazioni del giorno dopo: oltre 50 miliardi di $ di aumento della capitalizzazione, con il ritorno al di sopra della soglia dei 3 trilioni;
  • Alphabet-Google è cresciuta di oltre il 15% nell’after-hours trading, ritoccato a più 10% il giorno successivo: quasi 200 miliardi di $ di capitalizzazione in più, con il superamento per la prima volta della soglia dei 2 trilioni.

Perché questo enorme divario di circa 330 miliardi fra il trattamento riservato a Meta e a Alphabet-Google? Riprenderò alcune mie considerazioni apparse un articolo di Agenda Digitale di qualche giorno fa.

Meta proves AI hype has its limits – Artificial intelligence is a multibillion-dollar project with no clear timeline for revenues”, il duro giudizio del Financial Times nella sua rubrica Lex; “Meta’s Costs Rise Rapidly as Zuckerberg Vows to Keep Spending on AI Arms Race – Meta Platforms reported record first-quarter sales, building on AI momentum in its ad business, although investors soured on forecasts of rising costs”, fa eco The Wall Street Journal, a fronte dell’annuncio che I costi di investimento – nell’AI ma anche nel metaverso – saliranno a 40 miliardi di dollari nel 2024, a fronte dei circa 28 nell’anno precedente, con prospettive molto incerte sulla loro “monetizzazione”. E di qui la punizione nonostante gli ottimi risultati.

Alphabet-Google entusiasma il mercato con il significativo aumento dei margini, in parte dovuto alle riduzioni del personale tuttora in corso. E probabilmente ancor più (come era capitato a Meta pochi mesi fa) con l’annuncio del primo dividendo della sua storia e la conferma del buyback da 70 miliardi. La crescita degli investimenti nel 2024 anche sopra i 48 miliardi di dollari, a fronte dei 32,3 del 2023, è temperata dal fatto che comunque comincia ad apparire un primo risultato della presenza dell’AI generativa nella crescita del cloud (anche se non sono stati forniti numeri in proposito) e che il livello degli investimenti previsti per il 2024 – ancorchè superiore in termini assoluti a quello di Meta – va rapportato a numeri molto diversi nei ricavi e nell’utile netto: 143 miliardi circa i ricavi complessivi di Meta negli ultimi 4 trimestri contro i 307 di Alphabet, 47 miliardi gli utili prima delle tasse di Meta nello stesso periodo contro gli 86.

Lascesa della nuova figura del CAIO-Chief Artificial Intelligence Officer

A fianco delle imprese del tech stack, che con i loro servizi abilitano l’utilizzo dell’AI generativa, sono probabilmente le “big” della consulenza le imprese più coinvolte – con i relativi vantaggi economici – nell’assistere le imprese potenziali utilizzatrici, che in generale non dispongono di tutte le competenze necessarie, sia nella sperimentazione e valutazione delle possibili applicazioni sia nella rifocalizzazione della struttura organizzativa. In quest’ultimo ambito c’è una nuova figura che sta emergendo, il CAIO-Chief Artificial Intelligence Officer, che – come spiega FT “The rise of the chief AI officer -More companies are appointing staff to oversee the technology. What do these senior leaders actually do?” – ha il compito di “to oversee the deployment of AI and generative AI within the organisation: improving workforce efficiency, identifying new revenue streams, and mitigating ethical and security risks”: compito che però in altre imprese è ricoperto dal CTO o dal CIO.

La “grande fame” di dati: i conflitti AI-proprietà intellettuale e AI-privacy

Una delle risorse di cui gli LLM-Large Language Models (i modelli che stanno alla base dell’AI generativa) “hanno maggiormente fame” – per essere adeguatamente istruiti – sono come noto i dati. Più è grande il modello che si vuole costruire, maggiore è la quantità di dati necessaria. Ma la quantità ovviamente non basta, è indispensabile la qualità. “For Data-Guzzling AI Companies, the Internet Is Too Small: Firms such as OpenAI and Anthropic are working to find enough information to train next-generation artificial-intelligence models”, segnalava a inizio aprile The Wall Street Journal (WSJ). E qualche giorno dopo era la volta di NYT di evidenziare le scorrettezze in cui più o meno tutte le imprese – dalle big tech alle AI startup – erano incorse pur di disporre di dati adeguati in quantità e qualità: “How Tech Giants Cut Corners to Harvest Data for A.I.: OpenAI, Google and Meta ignored corporate policies, altered their own rules and discussed skirting copyright law as they sought online information to train their newest artificial intelligence systems”.

Senza entrare in eccessivi dettagli tecnici, alcuni dei principali problemi riguardano i vincoli sulla proprietà intellettuale (NYT ha ad esempio fatto causa a OpenAI e Microsoft per l’uso non autorizzato dei suoi dati) e i rischi di violazione della privacy, nonché – in prospettiva – il deterioramento medio della qualità che sarà causato dall’aumento dell’immissione in rete (previsto di grande e presumibilmente crescente consistenza) di testi, immagini, brani vocali o canori non genuini, ma generati dall’AI.

I tentativi di risposta a queste difficoltà sono di varia natura:

  • nascono startup – come DatologyAI fondata da un veterano di Meta e DeepMind (Google) – che studiano strumenti per un miglioramento della selezione dei dati da mettere a disposizione delle imprese che devono istruire i nuovi modelli di AI
  • le imprese stesse che devono istruire i modelli si costruiscono in casa i dati – cosiddetti sintetici – da utilizzare per l’istruzione: lo possono fare ricorrendo all’uso dell’AI stessa, se vogliono contenere i costi, ma con la provata probabilità che questa sorta di inbreeding (consanguineità) aumenti le allucinazioni; lo possono fare privilegiando gli obiettivi di qualità, come nei citati casi di OpenAI e Anthropic, ma con costi ovviamente più elevati
  • si può rinunciare alla grandiosità, come sembra stia facendo Microsoft (che però parallelamente ha incorporato GPT-4 in molti dei suoi prodotti), puntando su modelli molto più piccoli e meno costosi da gestire, ma focalizzati su obiettivi circoscritti: una scelta io credo di notevole interesse per un gran numero di imprese potenziali utilizzatrici, soprattutto se – come prevalentemente in Italia – di dimensione medio-piccola.

La “grande fame” di energia elettrica: il conflitto AI-ambiente

Generative AI has a clean-energy problem: What happens when the AI revolution meets the energy transition“, titolava The Economist un suo articolo di quasi metà aprile, prospettando – nel caso del grande successo nella diffusione dell’AI che le Borse si aspettano, un grosso problema di conflitto con il perseguimento degli obiettivi della transizione ambientale.

Riporto due previsioni tratte dall’articolo. La prima è dell’IEA-International Energy Agency, che valuta la crescita dei consumi globali di energia elettrica dei data center in funzione dei livelli di adozione dell’AI generativa: se tale livello si collocherà nell’estremo superiore della forchetta previsionale, essa prevede il suddetto consumo sarà nel 2026 doppio rispetto a quello del 2022 e circa pari a quello attuale dell’intero Giappone.

La seconda è del CEO di Arm (la celebre impresa leader nel chip-design), che si aspetta che alla fine di questo decennio i data center statunitensi assorbiranno un quarto della totale energia elettrica prodotta nel Paese, a fronte del 4 per cento o meno attuale. Sono numeri che metterebbero in dubbio la possibilità stessa dell’espansione dell’AI, dato il doppio ostacolo di accrescimento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (che dovrebbe sommarsi a quello richiesto da tutto il resto dell’economia per puntare al net zero) e di rifacimento di una rete elettrica che già oggi sta bloccando – per la sua vetustà e inadeguatezza – il decollo di diversi grandi progetti di produzione di energia rinnovabile già autorizzati e finanziati.

Uno scenario probabilmente estremo, che – oltre che ipotizzare una espansione estremamente veloce dell’AI – non tiene conto (dichiarandolo espressamente) delle possibilità di miglioramento dell’efficienza energetica dei microprocessori: dei GPU (quali in primo luogo quelli di Nvidia) utilizzati in fase di istruzione dei modelli di AI e dei CPU in fase di utilizzo degli stessi.

Regolamentazione, antitrust e geopolitica

Un brevissimo cenno a tre punti di notevole impatto potenziale, ma che richiederebbero troppo spazio per essere trattati adeguatamente in questo articolo.

Il primo punto riguarda la percezione di pericolosità dell’AI generativa, sino a vederla rischiosa per la stessa sopravvivenza dell’umanità, che ha spinto l’UE a mettere a punto per prima un insieme di regole che le imprese devono rispettare, con due implicazioni

  • la prima è che stabilire regole per qualcosa che è in continua evoluzione, come l’AI, comporta la necessità di continui aggiustamenti: che spesso, dati i tempi lunghi necessari per il dibattito in sede politica, sono già “vecchi” nel momento in cui vengono approvati (come accaduto con il lancio dell’AI generativa mentre si svolgeva il dibattito sulle tecnologie precedenti)
  • la seconda è che, a differenza di quanto accaduto in passato per contesti tecnologici più maturi, non appare al momento possibile trovare accordi su regole condivise a livello globale: con il rischio che l’UE, per l’eccesso di prudenza, penalizzi le possibilità di successo delle proprie imprese e/o le spinga a “migrare” in Paesi più permissivi.

Il secondo punto riguarda la tematica antitrust. Essendo le big tech le imprese al momento più attive nella promozione dell’AI generativa, con i loro investimenti infrastrutturali e con il supporto che esse danno – con entrata nell’azionariato – allo sviluppo delle startup impegnate come OpenAI e Anthropic nella messa a punto di nuovi modelli, è quasi certo (e peraltro già annunciato in termini generali) un intervento delle authority antitrust US, UE e UK volto a combattere un eccesso di concentrazione in poche mani.

Il terzo punto riguarda i rapporti geopolitici, quelli fra US e Cina innanzitutto, e in particolare la rilevanza dell’AI generativa per usi militari: con i conseguenti divieti di export da parte statunitense dei componenti di maggior rilievo, le tradizionali triangolazioni per aggirare i divieti, la crescita delle attività vere o presunte di spionaggio da ambo le parti.

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