la sentenza

Rassegne stampa, quando violano il diritto d’autore: i paletti del Consiglio di Stato

I Giudici di Palazzo Spada sconfessano la tesi delle società di rassegna stampa e media monitoring che ritenevano di poter liberamente riprodurre gli articoli giornalistici, inclusi quelli con la clausola di riserva di riproduzione apposta dagli editori. La giurisprudenza in materia e l’importanza del pronunciamento

Pubblicato il 22 Set 2022

Davide Mula

Professore aggiunto dell’Università Europea di Roma – InnoLawLab di Diritto delle nuove tecnologie.

attuazione direttiva copyright - text data mining

Il Consiglio di Stato con la sentenza del 5 settembre scorso, n. 7707 ha sancito un importante principio in materia di diritto d’autore e, in particolare, sul rapporto tra l’art. 13 e gli artt. 65 e 101 della legge n. 633/1941 sul diritto d’autore (di seguito anche “LDA”) affermando che «la società di media monitoring, pur svolgendo un’attività di selezione e di organizzazione di articoli e contributi vari, in assenza di specifica autorizzazione da parte dell’editore, ha comunque contravvenuto al divieto di riproduzione di articoli di giornale o di parti o pagine di giornale, in cui vi fosse la riserva della riproduzione, in quanto la sostenuta scriminante (consistente nel “tipo” di servizio che caratterizza la redazione di rassegne stampa, che dunque e per questo sfuggirebbe all’applicazione del richiamato art. 65 LDA) non è contemplata espressamente né dal diritto interno né dal diritto unionale (in particolare non se ne rinviene traccia nella direttiva n. 2019/790/UE che integra la direttiva 2001/29/CE), né – ancora – essa è evincibile interpretativamente. Sicché l’attività mantiene il carattere di comportamento lesivo del diritto di proprietà intellettuale dell’autore dell’articolo e dei connessi diritti patrimoniali dell’editore, dovendosi considerare una sorta di strumento succedaneo dell’acquisto del giornale.»

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La sentenza e la precedente giurisprudenza in materia di rassegne stampa e diritto d’autore

Con la citata sentenza dei Giudici di Palazzo Spada, che conferma le sentenze del TAR del Lazio del 12 aprile 2021, nn. 4260 e 4263, che accertavano, rispettivamente, la legittimità delle delibere nn. 169/20/CONS e 325/20/CONS dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (di seguito anche “AGCOM”) adottate ai sensi del regolamento sul diritto d’autore di cui alla delibera n. 680/13/CONS, giudizi riuniti in sede di appello, viene sconfessata la tesi sostenuta negli anni dalle società di rassegna stampa e media monitoring che ritenevano di poter liberamente riprodurre gli articoli giornalistici, ivi inclusi quelli che recavano la clausola di riserva di riproduzione apposta dagli editori ai sensi dell’art. 65 LDA, in forza di una ritenuta non concorrenzialità dell’attività svolta rispetto a quella degli editori.

Il pronunciamento è utile a ritenere definitivamente superata la giurisprudenza di merito (minoritaria) del Giudice Ordinario che da un lato ha ritenuto che nell’art. 65 LDA l’espressione “giornali” includa anche le rassegne stampa, ai fini dell’applicazione dell’eccezione ivi riconosciuta, dall’altro ha ritenuto che il divieto di utilizzazione degli articoli a riproduzione riservata fosse applicabile unicamente alla riproduzione realizzata da altri giornali e riviste in senso stretto. In particolare, il Tribunale di Roma, nella sentenza n. 816/2017, aveva ritenuto lecita l’utilizzazione da parte delle rassegne stampa di articoli giornalistici “riservati”, in quanto la rassegna stampa si indirizzerebbe ad un pubblico diverso da quello degli acquirenti del giornale e, pertanto, non sarebbe configurabile una ipotesi di utilizzazione parassitaria e concorrenza illecita rilevante ex artt. 101 LDA e 2598 c.c..

L’orientamento era minoritario nella misura in cui già tra la fine degli anni ‘90 e i primi del 2000 si sono avute diverse pronunce di merito (ex multis Trib. Genova 3 dicembre 1997, CdA Milano 26 marzo 2000 e Trib. Milano 13 luglio 2000) che hanno riconosciuto l’illiceità della riproduzione di articoli di giornale accompagnati dalla riserva di utilizzo in rassegne stampa elettroniche.

Più recente la giurisprudenza, evidentemente conforme, del Tribunale di Trento del 6 aprile 2018 sull’illiceità dell’attività di rassegna stampa (mediante mezzi di media monitoring) avente ad oggetto articoli di giornale di un certo numero di testate giornalistiche, sia sotto il profilo dell’art. 65 della LDA sia dell’art.101 LDA. In tale occasione si è espressamente affermato che la rassegna stampa svolta con tali mezzi ed erogata su piattaforme online rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 65 LDA, per quanto non menzionata dalla norma. La Corte di Appello di Trento, nell’ambito del secondo grado del giudizio, con sentenza del 24 luglio 2019 ha aderito alla ricostruzione fattuale e all’interpretazione normativa del Tribunale statuendo che la rassegna stampa è illecita se realizzata nonostante l’esistenza di una riserva espressa da parte dell’editore. Se così non fosse, osserva la Corte d’Appello «l’effetto finale sarebbe quello di privare il titolare dei diritti di un’effettiva ed efficace tutela della sua esclusiva sulla riproduzione degli articoli di giornale e le norme sul diritto d’autore sarebbero facilmente aggirate».

La tesi contraria del Tribunale di Roma del 2017 non convince nella misura in cui l’art. 65 riguarda l’eccezione alla protezione di articoli giornalistici costituenti opere dell’ingegno, mentre l’art. 101 riguarda la riproduzione di informazioni o notizie e, quindi, di un dato grezzo informativo in sé considerato che non assurge al rango di opera creativa, riproduzione che deve avvenire secondo modalità tali da non costituire atto di concorrenza sleale. La richiamata sentenza del Tribunale di Roma, quindi, pare sottoporre gli articoli non riproducibili alla disciplina delle mere informazioni, non a quella delle opere dell’ingegno. L’assegnazione di una funzione di carattere semplicemente concorrenziale all’art. 65 (invece che di eccezione a un diritto esclusivo come quello d’autore, che riserva al titolare ogni forma di utilizzazione economica) comporta, ad avviso del Tribunale, l’applicazione dell’art. 101 LDA sia agli articoli costituenti opere dell’ingegno sia alle mere informazioni non tutelabili ai sensi della legge sul diritto d’autore.

Un servizio in concorrenza con i giornali

Con la sentenza n. 7707/2022 il Consiglio di Stato ha, dunque, aderito al richiamato orientamento delle corti di merito, condiviso anche dalla Corte di Cassazione nel 2006, con la sentenza n. 20410, che aveva accertato l’illiceità della sistematica pubblicazione, in una rassegna stampa diffusa in via telematica, di articoli tratti da pubblicazioni periodiche altrui, per i quali l’editore aveva formulato espressa riserva ai sensi dell’art. 65 LDA, in quanto «costituisce atto di concorrenza sleale la pubblicazione o riproduzione sistematica e parassitaria, a scopo di lucro, di informazioni o notizie il cui sfruttamento spetta ad altri». Nella citata sentenza la Suprema Corte ha, altresì, osservato come «il rifiuto anche sistematico dell’editore di concedere licenze per la riproduzione in rassegne stampa di articoli pubblicati nelle proprie riviste non può mai costituire abuso di diritto, e tantomeno violazione dell’art. 41 Cost., in quanto la legge non subordina ad alcun presupposto la legittimità di tale rifiuto, essendo l’editore titolare, al riguardo, del diritto esclusivo di utilizzazione economica dell’opera collettiva».

Ma d’altronde si ritiene che in un’ottica prettamente economica una qualsiasi impresa di media monitoring non operi per una ipotetica finalità di critica o di insegnamento, finalità per cui effettivamente il legislatore ha ammesso la libera riproduzione, ma che facendosi remunerare il servizio di selezione degli articoli, si ponga in concorrenza con i giornali stessi. È oggettivamente più vantaggioso per un lettore sottoscrivere un solo abbonamento con una impresa di media monitoring, piuttosto che acquistare e leggere, per cercare quelli di proprio interesse, tutte le testate giornalistiche quotidianamente edite. Sebbene i beni non siano succedanei, dunque, di fatto i servizi si presentano come alternativi non immaginandosi che un soggetto che sottoscrive un abbonamento a un servizio di media monitoring, sottoscriva anche ulteriori abbonamenti con le diverse testate giornalistiche.

Da un punto di vista meramente formale la sentenza del Consiglio di Stato rileva, altresì, per aver a monte dichiarato improcedibili gli appelli promossi in ragione dell’intervenuta oblazione rispetto ai procedimenti sanzionatori avviati dall’AGCOM per inottemperanza alle richiamate delibere n. 169/20/CONS e 325/20/CONS, eccezione già formulata dalla difesa erariale in primo grado, ma rispetto alla quale il TAR aveva ritenuto di non pronunciarsi. Osservano al riguardo i Giudici di Palazzo Spada che la scelta di oblare si configura come un comportamento «acquiescente e quindi idoneo ad impedire che permanga l’interesse alla impugnazione degli atti adottati dall’Autorità, in quanto il pagamento della sanzione in misura ridotta assume ex lege una valenza ed effetti predefiniti che non possono essere superati (ovvero posti nel nulla) dalla volontà del trasgressore che procede al predetto pagamento.».

Conclusioni

La sentenza in parola impatterà, inevitabilmente, anche sull’adozione del regolamento in materia di individuazione dei criteri di riferimento per la determinazione dell’equo compenso per l’utilizzo online di pubblicazioni di carattere giornalistico di cui all’articolo 43-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, rispetto al quale è in corso la consultazione pubblica avviata con la delibera n. 195/22/CONS, nella misura in cui ha trovato ulteriore conferma quanto ivi affermato dall’AGCOM rispetto all’interpretazione dell’art. 65 LDA e alla necessità «che la riproduzione e la comunicazione al pubblico di articoli di attualità di carattere economico, politico o religioso, pubblicati nelle riviste o nei giornali, oppure radiodiffusi o messi a disposizione del pubblico che recano la clausola di riserva di cui all’articolo 65, comma 1, debba essere comunque previamente autorizzata e licenziata dal titolare dei diritti di sfruttamento economico (che ex art. 38 LDA spetta all’editore salvo patto contrario)».

*Le opinioni e le tesi dell’Autore sono esposte a titolo personale e non impegnano l’amministrazione di appartenenza.

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