AI E TUTELA DEI MARCHI

Virtual Fashion: guida alle opportunità e ai rischi per le aziende di moda



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Le opportunità che il mondo 4.0 offre all’industria della moda sono innumerevoli, ma per trarne il massimo beneficio i brand devono conoscerne i rischi così da poter tutelare i propri affari e, allo stesso tempo, rispettare i diritti dei consumatori e i rapporti con i competitor

Pubblicato il 5 lug 2023

Giulia Maienza

Herbert Smith Freehills

Pietro Pouché

Herbert Smith Freehills



metaverse fashion week

Il Virtual Fashion è un mercato che vale miliardi e che si è sviluppato in modo parallelo a quello tradizionale, a cui possono accedere i consumatori che vogliono provare e acquistare abiti e accessori virtuali per i propri avatar (“skin”), acquistare versioni digitali o NFTs collegati a rispettivi capi di abbigliamento fisici, nonché vivere le esperienze d’acquisto interattive e multimediali dei brand.

Virtual fashion: opportunità e rischi del digitale

Non sorprende quindi che i protagonisti del settore della moda, dopo avere organizzato le proprie sfilate sulla piattaforma “Decentraland” durante la scorsa Virtual Fashion Week, si stiano ora affrettando per assicurarsi uno spazio, un effettivo lotto virtuale, in cui aprire i propri Virtual Store, promuovere il proprio brand, far vivere ai consumatori esperienze sempre più immersive grazie alla realtà aumentata e vendere i propri prodotti.

Se da un lato questo nuovo mondo virtuale può sembrare più equo, più aperto a tutti e in un certo senso più sostenibile della moda tradizionale – anche se ha un impatto significativo sui consumi e sul clima – dall’altro lato può essere più pericoloso in quanto il metaverso è uno spazio nuovo dove le regole non sono ancora state definite e il confine tra il lecito e il vietato è ancora incerto. Operare nel mercato digitale comporta quindi grandissime opportunità, ma anche molti rischi sia in senso economico che in senso legale, per cui ogni player nel settore della moda deve essere pronto e consapevole.

La prima regola fondamentale che caratterizza il settore della moda è quella di proteggere i propri prodotti tramite la tutela dei propri segni distintivi. Lo sviluppo di una solida strategia di sorveglianza è il primo passo per bloccare in modo rapido ed efficace possibili contraffattori che cercando di appropriarsi dello sforzo creativo altrui, creare confusione o arrecare danni.

Il secondo step è ormai quello di estendere la protezione dei marchi nello spazio virtuale. La realtà virtuale rende ancora più semplice la diffusione di prodotti contraffatti e il rischio di confusione che un’imitazione può creare nella percezione dell’utente, che può pensare erroneamente di acquistare un prodotto proveniente da un’altra azienda o credere che vi sia un qualche collegamento tra i due brand. La contraffazione risulta ancora più pericolosa nel mondo virtuale dove non esistono capi di abbigliamento e accessori fisici e tutto circola in una realtà digitale poco percettibile. Ed è per questo che, dopo diversi mesi di incertezze, sembra ormai evidente come il Virtual Fashion sia un mercato vero e proprio dove le case di moda dovrebbero tutelarsi registrando i propri marchi per i beni e servizi che intendono offrire: effettuando nuovi depositi nelle classi di Nizza 9 (beni virtuali scaricabili), 35 (negozi al dettaglio di beni virtuali) e 41 (servizi di intrattenimento in ambienti virtuali), così da poter impedire la riproduzione illecita del proprio marchio nel mondo virtuale o persino la registrazione in mala fede da parte di soggetti terzi.

Concept store e tutela del marchio

Accanto ai noti marchi denominativi e figurativi tradizionali di ogni casa di moda, le aziende registrano anche segni meno convenzionali come marchi di forma, di colore, di posizione. E così già alcuni anni fa ci si è chiesti se persino il layout di un negozio e in particolare di un concept store potesse ottenere la tutelabilità come marchio di forma o essere protetto tramite il diritto d’autore.

Il concept store di Apple è stato uno dei principali casi in cui è stata riconosciuta la tutela come marchio 3D in forza della distintività e riconoscibilità della pianta, del layout, della disposizione dei prodotti. Il consumatore che entra in un Apple store percepisce immediamente di essere in uno spazio di titolarità dell’azienda di Cupertino anche prima di notare il marchio della mela o i prodotti venduti. La giurisprudenza ha inoltre riconosciuto il negozio di cosmetica milanese Kiko dotato del carattere creativo necessario per essere considerato opera tutelabile con il diritto d’autore.

Ma se un concept store fisico può ricevere una tale tutela ed è chiaro che ciò possa avvenire anche nel settore della moda dove ogni brand si contraddistingue da colori distintivi, forme ed elementi estetici individualizzanti, a maggior ragione occorrerebbe cercare di tutelare un concept store virtuale dove per un contraffattore è ancora più semplice imitare i tratti distintivi e confondere l’utente che naviga al suo interno.

Le case di moda stanno infatti investendo sempre di più nella creazione di veri e propri negozi virtuali dove coinvolgere in modo multisensoriale il consumatore e dove far vivere a pieno la brand identity e dovrebbero quindi cercare di tutelare tali spazi in modo da garantire gli investimenti effettuati. D’altro lato, è anche vero che per quanto tale concept store possa essere originale ed individualizzante, sorgono delle difficoltà insite nello stesso aspetto virtuale, in quanto le interfacce grafica sono in continuo mutamento e difficilmente mantengono parametri fissi necessari per una tutela attraverso la proprietà intellettuale.

Industria della moda e intelligenza artificiale

Oltre alla realtà virtuale, anche l’intelligenza artificiale ha fatto il sopravvento nel settore della moda. Le fashion industries hanno cominciato ad utilizzare sistemi di IA nei propri processi di branding, per effettuare ricerche di anteriorità volte ad analizzare i marchi esistenti con l’obiettivo di aiutare il brand a sviluppare segni dotati dei requisiti di novità e carattere distintivo.

Questi sistemi vengono nutriti da informazioni ed elaborano i dati per fornire risultati affidabili. Ma la domanda che sorge spontanea è: per quanto altamente sofisticati, tali sistemi sono già in grado di sostituirsi effettivamente al consumatore “umano” e percepire se due segni simili possano creare un’effettiva confusione? Solo con il tempo si sarà in grado di capire l’accuratezza dei risultati forniti.

Allo stesso modo una casa di moda potrebbe iniziare ad utilizzare – sempre che non lo stia già facendo – sistemi innovativi di IA per creare patterns e disegni creativi e inusuali. I sistemi di IA sono infatti sempre più avanzati e dotati di tecnologie generative che permettono di sfruttare i dati e gli input forniti per generare contenuti nuovi.

Tali contenuti saranno ovviamente inspirati agli input ricevuti, ma il punto cruciale è se saranno in grado di realizzare elementi effettivamente creativi che possano conquistare il pubblico o se gli output realizzati saranno comunque basati su elementi precedenti e non riusciranno a superare il limite tra ispirazione e appropriazione? È senza potersi soffermare oltre, occorre comunque menzionare come a ciò si collega anche l’annosa questione della titolarità di un design realizzato da un sistema di AI.

Chiarito come sia fondamentale per un’azienda di moda proteggere la propria brand identity nel mondo virtuale, lo step successivo è assicurarsi di non violare diritti di terzi e rispettare a pieno il pubblico. I brand dovranno, infatti, assicurare la tutela dei diritti degli utenti, sia per quanto riguarda i loro dati che per quanto riguarda la trasparenza del mercato.

Sotto il primo profilo, la realtà virtuale richiede una rivalutazione di che cosa costituisca un dato personale. La normativa in tema privacy prevede infatti la necessità di tutelare il trattamento di dati personali in grado di identificare un soggetto.

Per applicare questa normativa al metaverso e alla realtà virtuale occorre individuare cosa permetta l’identificazione della persona dietro l’avatar. Le aziende che operano in tale mondo possono registrare infatti i movimenti degli utenti, le reazioni corporee e persino i modelli di onde cerebrali necessari per garantire un’esperienza più realistica. Analizzare i movimenti oculari e facciali non solo aiuta a identificare l’utente, ma anche a trarre conclusioni sul suo comportamento e sulle abitudini di consumo. Inoltre, l’esperienza offerta ad un utente in un negozio virtuale, permette di elaborare dati e svolgere attività di profilazione, volta ad offrire materiale promozionale su misura in linea con i gusti del singolo. Occorre quindi che le aziende di moda siano molto attente a rispettare le normative in materia di privacy sia per il trattamento dei dati biometrici, che per l’attività di profilazione in modo da non rischiare responsabilità e elevate sanzioni.

Come avvenuto per i social, inoltre, è altamente probabile che anche agli operatori del Virtual Fashion venga imposto di segnalare il materiale promozionale con apposito linguaggio (si pensi all’#adv usato su Instagram) e pertanto è suggeribile che le aziende di adoperino quanto prima per rendere ogni comunicazione e attività rivolta ai consumatori il più trasparente possibile.

Conclusioni

L’avvento della realtà virtuale ha sicuramente cambiato il modello di business tradizionale in particolare in un settore come quello della moda che da sempre è all’avanguardia nel combinare innovazione e creatività. Le opportunità che il mondo 4.0 offre sono innumerevoli ma per trarne il massimo beneficio è suggeribile che i soggetti che intendono entrare nel mercato virtuale ne conoscano i rischi in modo da poter allo stesso tempo tutelare il proprio business e rispettare i diritti dei consumatori e i rapporti con i competitor. Le sfide sono tante, specialmente perché la tecnologia si sviluppa in modo sempre più rapido ed è necessario che la moda sia in grado di stare al passo.

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