Appalti

Bruno Bossio: “Le tre regole per spendere meglio in ICT pubblico”

Senza le giuste competenze nelle posizioni apicali, la governance e una vision di insieme, la spesa in innovazione continuerà ad essere mal gestita mentre per le gare Consip, meglio usare metriche di qualità piuttosto che function point

Pubblicato il 13 Nov 2017

spesaICT

Scarse competenze digitali all’interno della Pubblica Amministrazione. E’ questo uno dei nodi da sciogliere, e bisogna farlo anche rapidamente, se vogliamo davvero parlare di migliore gestione della spesa ICT in Italia.

Ad un anno dall’avvio dei lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle PA, ciò che è emerso con forza, come evidenziato nella relazione finale approvata nei giorni scorsi, è che alla base di ogni problematica c’è la mancanza di digital skills specie nelle posizioni apicali degli enti chiamati a rispettare le nuove indicazioni sugli acquisti in innovazione.

Bisogna capire come la PA riesce a governare gli investimenti sul digitale, che non sono semplicemente beni e servizi uguali agli altri.

Quello che non si è, infatti, compreso chiaramente in tutti questi anni è che nonostante la spesa effettuata – parliamo di 5,7 miliardi di euro all’anno investiti in innovazione che corrispondono al 9% del mercato italiano che spende 64 miliardi in informatica/digitale – abbiamo ancora difficoltà a capire se si è speso troppo o poco.

Quello che sappiamo con certezza è che intorno a noi non vediamo grandi risultati positivi.

Il vero problema della spesa in innovazione della PA è che non si passa prima attraverso processi di semplificazione che devono essere precedenti all’investimento e non avvenire congiuntamente come fatto finora.

In estrema sintesi: bisogna sapere prima cosa serve in funzione della semplificazione dei processi amministrativi e della relazione col cittadino che è poi quello che userà i servizi.

Se si ha in testa questo quadro strategico, si potranno attivare gare per forniture funzionali a questo obiettivo altrimenti il rischio è che si avviino procedure semplicemente per digitalizzare alcuni processi che non incideranno nella riorganizzazione della PA al punto da renderla più efficiente.

Per far questo servono dirigenti preparati ma soprattutto che il responsabile alla transizione digitale abbia le giuste competenze tecniche e sia in grado di avere questo tipo di visione.

Per intervenire su questa problematica, nella nostra relazione finale abbiamo dato alcune indicazioni sulla tipologia del responsabile che dovrebbe occuparsi della migrazione al digitale secondo quanto prevede il Codice d’amministrazione digitale (CAD).

Molte amministrazioni sono, infatti, inadempienti nella nomina e quelle che l’hanno fatto, hanno preferito nominare un dirigente alle soglie della pensione, giusto per dargli un ruolo, senza badare nei fatti alla governance.

Insieme alla semplificazione dei processi, credo sia necessario avviare anche un percorso di switch-off.

Vi siete chiesti perché PagoPA è la procedura digitale che funziona meglio?

Perché le aziende sono obbligate a pagare attraverso la transazione digitale senza avere più l’alternativa dell’analogico.

Anche per quanto riguarda le certificazioni e l’utilizzo dello SPID bisognerebbe andare in questa direzione, come è avvenuto con l’applicazione del bonus ai diciottenni, che potevano accedervi solo attraverso l’identità digitale di SPID.

Seconda cosa: pur se CONSIP ha oggi una penetrazione (ancora bassa) del 24% di quei 5,7 miliardi all’anno spesi in innovazione, gestisce gare ancora quasi tutte misurate attraverso la metrica dei Function Point, una metrica basata solo sullo sviluppo software, senza elementi qualitativi che intervengano anche sulla semplificazione dei processi.

Per tutti questi motivi, e anche al fine di approfondire altri temi strategici, quale il fascicolo sanitario elettronico, l’aula della Camera ha votato mercoledì 8 novembre, all’unanimità, la proroga della Commissione d’inchiesta.

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