Lo scenario

Ritardi nei pagamenti delle PA, i vantaggi di digitalizzare il processo d’acquisto

Le aziende che fanno affari con la pubblica amministrazione rischiano di rimanere schiacciate più dai crediti che dai debiti: è il paradosso portato dai ritardi nei pagamenti per gli acquisti pubblici. Una situazione che può trarre giovamento dalla digitalizzazione delle procedure, che abbatte i tempi burocratici

Pubblicato il 24 Giu 2019

Paola Conio

Avvocata, Senior Partner Studio Legale Leone

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Il tema dei ritardi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni è indubbiamente uno dei più delicati e attuali. In particolare in questi anni di difficile congiuntura economica, sono molte le imprese che rischiano di restare schiacciate – paradossalmente – più dal peso dei propri crediti che da quello dei propri debiti. La tecnologia nelle fasi del procurement potrebbe portare benefici riducendo tali disagi, tagliando i lunghi tempi burocratici.

La questione è annosa. Infatti, sebbene il tema sia “attuale” non significa affatto che l’argomento sia nuovo. Anzi. Sono moltissimi anni che la problematica è stata posta – anche a livello europeo – al centro dell’attenzione. La prima Direttiva europea in materia risale ormai a quasi vent’anni fa (Dir. 2000/35/CE) e la rivisitazione delle sue disposizioni, la cosiddetta “rifusione” (Dir. 2011/7/UE) ne ha più di otto.

La normativa di riferimento

Il “Considerando” n. 23 della Direttiva del 2011 recita: “Di regola, le pubbliche amministrazioni godono di flussi di entrate più certi, prevedibili e continui rispetto alle imprese. Molte pubbliche amministrazioni possono inoltre ottenere finanziamenti a condizioni più interessanti rispetto alle imprese. Allo stesso tempo, per raggiungere i loro obiettivi, le pubbliche amministrazioni dipendono meno delle imprese dall’instaurazione di relazioni commerciali stabili. Lunghi periodi di pagamento e ritardi di pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni per merci e servizi determinano costi ingiustificati per le imprese”. Di conseguenza, i ritardi di pagamento nelle PA non sono considerati giustificabili dalla UE che, nella direttiva citata, ha obbligatoriamente fissato in 30 giorni di regola, eccezionalmente estensibili a 60 giorni, i termini massimi per i pagamenti predetti. Tempi che, per chi ha che fare con la pubblica amministrazione italiana, sono nella quasi totalità dei casi una vera chimera.

Ma fatta la legge, trovato l’inganno. Così recita un proverbio antico che sembra potersi attagliare perfettamente anche al caso delle Direttive in materia di ritardi nei pagamenti. Difatti, pur dovendosi necessariamente uniformare ai precetti europei che fissavano in 30 giorni (eccezionalmente 60) i termini massimi di pagamento, le Pubbliche Amministrazioni italiane potevano contare su disposizioni di legge nazionali che consentivano loro, in buona sostanza, di cominciare a far decorrere i predetti termini non dal momento in cui l’impresa o il professionista aveva eseguito la prestazione che avrebbe dovuto essere remunerata, ma da un momento di gran lunga successivo: quello in cui, esaurito tutto il complesso e articolato iter interno che conduceva all’emissione del mandato di pagamento, veniva finalmente ritenuto il credito certo, liquido ed esigibile e, quindi, consentito alla controparte privata di emettere la relativa fattura. Non a caso l’Italia è il peggior pagatore europeo, con distacco notevole rispetto alla penultima della classifica.

La procedura di infrazione della Commissione Europea

Due anni fa è stata avviata dalla Commissione Europea nei confronti dell’Italia la procedura di infrazione n. 2090/2017 sulla base della presunta non compatibilità dell’art. 113-bis del Codice appalti con i richiamati principi europei in quanto, facendo decorrere i famosi 30 giorni dall’emissione del mandato di pagamento, di fatto consentiva l’elusione dei termini di pagamento stabiliti dalla Direttiva.

Per evitare la prosecuzione della procedura, la Legge n. 37 del 3 maggio 2019 (c.d. Legge Europea 2018) è intervenuta modificando l’art. 113-bis citato e prescrivendo, in sintesi, la decorrenza del termine di pagamento dall’adozione del SAL in caso di acconto e dal collaudo/verifica di conformità in caso di pagamento a saldo (del totale o della singola partita di cui si compone l’appalto). Al contempo, si è acceso un dibattito molto vivace sui possibili mezzi “alternativi” di pagamento (primi tra tutti, i c.d. “mini-BOT”) il cui utilizzo avrebbe potuto ipoteticamente concorrere al recupero del ritardo accumulato, consentendo finalmente di soddisfare le imprese creditrici, riavviando anche l’asfittico ciclo economico.

Le cause dei ritardi e l’efficacia dei rimedi

Se certamente è vero che i ritardi nei pagamenti della P.A. sono in parte da imputare a cause per così dire “finanziarie”, che esulano quindi dal processo di acquisto in senso stretto e che sono invece riconducibili a ritardi nell’accreditamento delle somme derivanti da trasferimenti tra un’amministrazione e l’altra, da tagli sopravvenuti delle risorse disponibili o da vincoli legati al pareggio del bilancio, e altrettanto vero che per una parte estremamente consistente i ritardi nei pagamenti sono dovuti all’inefficienza complessiva del processo di acquisto che incide negativamente sui tempi di espletamento dei passaggi necessari per poter pervenire alla liquidazione delle fatture.

Su quest’ultima causa, l’adozione di metodi di pagamento diversi e alternativi rispetto a quelli tradizionali, anche laddove astrattamente possibile (si pensi, ad esempio, alla compensazione diretta tra debiti e crediti nei confronti della P.A. intesa in senso lato) non avrebbe alcun tipo di effetto, perché il problema in questo caso non è “come” pagare, ma raggiungere la certezza di “se” e di “quanto” si debba in effetti pagare, certezza che può essere raggiunta solo espletando correttamente tutti gli adempimenti prodromici (come, ad esempio, redigere la contabilità dell’appalto, adottare il SAL o il documento equivalente che accerti quanto della prestazione affidata è stato eseguito, verificare come la prestazione è stata resa, ecc.).

È nella programmazione di questi passaggi, nella ripartizione chiara ed efficace dei compiti dei molteplici operatori che ne sono coinvolti, nella costruzione e nel monitoraggio della matrice delle relative responsabilità, nella trasparenza e nella tracciabilità di ogni step che compone il processo di approvvigionamento che si gioca davvero la partita.

La digitalizzazione del processo di acquisto

Il processo di approvvigionamento di beni e servizi da parte della PA non è limitato alla fase della selezione del contraente, ma si estende dal momento della rilevazione dei fabbisogni fino alla fase esecutiva di gestione del contratto, verifica della prestazione resa e pagamento. Anche se il piano triennale 2019-2021 dell’Agid richiama espressamente (punto 6.1) l’obiettivo di pervenire ad una progressiva digitalizzazione dell’intero processo di approvvigionamento, l’attenzione si focalizza oggi soprattutto sulla digitalizzazione della fase di gara.

Tuttavia, la possibilità di supportare la fase esecutiva con soluzioni digitali che, sulla base di una attenta pianificazione, consentano di ridurre i tempi dei vari passaggi burocratici, monitorare in tempo reale l’andamento del processo, individuare gli elementi critici e raccogliere le informazioni necessarie per consentirne un progressivo miglioramento, costituisce un aspetto da non sottovalutare.

È chiaro che da sola la tecnologia è del tutto insufficiente a risolvere i problemi, ma può costituire uno strumento efficace per identificarli in modo chiaro e supportarne il superamento. Solo quando si riuscirà a contemperare in modo efficiente l’esigenza di controllare che le risorse pubbliche vengano spese correttamente con l’obbligo di garantire che le imprese e i professionisti che lavorano con le pubbliche amministrazioni ricevano i corrispettivi dovuti nei tempi fissati, la ventennale lotta ai ritardi nei pagamenti della PA potrà dirsi vinta.

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