Biomedicina e biotech

Ingegneria genetica, trasformare CRISPR in una cura: ecco la prospettiva

Trainate dalla nuova tecnologia CRISPR, le modificazioni del genoma stanno accelerando lo sviluppo della biomedicina e delle biotecnologie. I nuovi scenari e i progressi per rendere CRISPR un farmaco efficace. Grandi promesse anche nella sostenibilità ambientale e i rischi di natura etica

Pubblicato il 05 Ott 2021

Thomas Vaccari

Università degli Studi di Milano DBS- Dipartimento di Bioscienze

CRISPR: le nuove frontiere terapeutiche dell’editing genomico

L’ingegneria genetica compie progressi, grazie alla crescente diversificazione della tecnologia CRISPR. Infatti, negli ultimi otto anni CRISPR ha aperto incredibili scenari riguardo alla manipolazione del genoma, tanto che due ricercatrici – che inizialmente hanno contribuito alla sua scoperta, la californiana Jennifer Doudna e la francese Emmanuelle Charpentier – sono state insignite del Nobel per la chimica nel 2020.

Genetica, è l’era di CRISPR-Cas9: come funziona e le sue applicazioni

CRISPR offre la possibilità di modificare il genoma degli organismi

CRISPR può servire per inattivare un gene-malattia o per modificare un gene utile a rendere una pianta più robusta. La possibilità di modificare il genoma degli organismi, in modo efficiente, usa microscopiche sonde molecolari capaci di raggiungere un bersaglio preciso nel mare magnum del DNA o RNA presente in tutte le cellule.

Tali sonde derivano da enzimi naturalmente presenti in alcuni batteri che li utilizzano per bersagliare il DNA o l’RNA dei virus che li attaccano. La ricerca di base li ha scoperti, le biotecnologie li hanno presi in prestito e “addomesticati”.

Molta della ricerca oggi, oltre a generare nuove versioni di CRISPR con funzioni sempre più utili, si sta concentrando su come veicolare il sistema nelle cellule di un organismo, in modo da trasformare CRISPR in una cura o in uno strumento per il miglioramento del nostro cibo. Ma qualche nuvola e nuovi ostacoli si intravedono guardando l’orizzonte futuro, finora abbastanza roseo.

L’uso di CRISPR per correggere il DNA

La tecnologia CRISPR si sta sempre più diversificando. Inizialmente, la tecnologia è stata sviluppata come forbice molecolare, per consentire di raggiungere una parte precisa del genoma e tagliarla in modo da inattivare geni a nostro piacere.

Già qualche anno fa, grazie al contributo del laboratori di David Liu, Feng Zhang e George Church a Boston, si era però potuto riconfigurare CRISPR per correggere il DNA invece che tagliarlo. Nacque perciò il “prime editing” che al posto di cancellare un gene ora permette di riscriverne una porzione che, per esempio, contiene una mutazione deleteria legata a una malattia.

Allo stesso modo, CRISPR era già stato modificato per attivare o inattivare un gene, a livello genetico o epigenetico, agendo sulla sua porzione regolativa che è chiamata promotore. Nacquero cosi “CRISPRa”, “CRISPRi” e “CRISPRe”, modifiche ottenute grazie alla fusione di proteine della famiglia di Cas9, l’enzima più noto del sistema CRISPR, con altri enzimi capaci di modificare le basi del DNA o di accendere o spegnere un promotore.

Spesso questi enzimi, per quanto microscopici, sono grandi abbastanza da non poter essere veicolati insieme a CRISPR, per esempio in una cellula umana. Non sarebbe nemmeno necessario, perché, a differenza di CRISPR, questi sono già presenti all’interno delle nostre cellule.

CRISPR modulare, un esempio dell’applicazione del prime editing

Alcuni ricercatori hanno recentemente inventato versioni di CRISPR che permettono non solo di trovare la via giusta per raggiungere la parte di DNA su cui lavorare, ma anche di attrarre e legarsi agli enzimi necessari per le modifiche richieste. Questo nuovo CRISPR “modulare” utilizza agganci molecolari per attrarre e legare gli enzimi necessari e permetterà di rendere il sistema più versatile e meno invasivo.

Uno straordinario esempio dell’applicazione del prime editing, per ora solo a livello sperimentale, è stata recentemente la correzione di una mutazione che causa la Hutchinson–Gilford progeria. È la condizione genetica che porta all’invecchiamento precoce di cui è affetto il il 26enne padovano Sammy Basso.

I ricercatori del gruppo di David Liu sono riusciti a impacchettare le istruzioni per il correttore CRISPR in un vettore approvato dalla FDA, l’agenzia del farmaco americana. Una singola iniezione del vettore in topi neonati che sviluppano la progeria si è rivelata sufficiente per migliorare le cose a tal punto da raddoppiare la breve vita dei roditori. Oltre che rappresentare una speranza di cura per persone affette da malattie congenite, questa ricerca dimostra che si può veicolare CRISPR in modo efficiente in un organismo.

I progressi a scopo biomedico

Il miglioramento dei sistemi per veicolare CRISPR a scopo biomedico è al centro del lavoro anche di Feng Zhang. Il suo gruppo di ricerca ha sviluppato un metodo molto innovativo che ha battezzato con l’acronimo “SEND” (inglese per inviare).

Il metodo innovativo SEND

I ricercatori sono partiti dalla constatazione che i vettori spesso utilizzati per la terapia genica sono derivati da virus, seppur innocui per l’uomo. Questi presentano alcune limitazioni tra le quali il fatto che l’uomo può sviluppare anticorpi contro i vettori virali, così diminuendo l’efficacia delle modifiche genetiche.

Diversamente dai vettori virali, SEND utilizza un vettore fornito dal corpo umano, che quindi non viene riconosciuto come estraneo dal nostro sistema immunitario. Infatti, Zhang ha generato SEND ingegnerizzando un retrotrasposone, un elemento naturalmente presente nel nostro genoma che ha la capacità di trasferirsi da una cellula ad un altra del nostro corpo. Per ora i ricercatori hanno dimostrato che SEND è capace di veicolare CRISPR in cellule umane e di topo in coltura in modo utile a modificare un gene bersaglio, ma in futuro si spera che questo sistema possa essere usato in un intero organismo.

I sistemi di gene drive a base di CRISPR. Gli studi di Andrea Crisanti

Un altro miglioramento del sistema è la possibilità di inattivare CRISPR utilizzando un inibitore specifico. Siccome CRISPR è derivato da un sistema antivirale batterico, la ricerca di base ha scoperto tempo fa che alcuni virus resistono a CRISPR proprio portandosi dietro degli inibitori che gli si legano e lo inattivano.

Ora il gruppo di Andrea Crisanti all’università di Padova ha dimostrato che un inibitore può essere molto utile per limitare le modifiche fatte da CRISPR. Per esempio all’interno del genoma dell’Anofeles, la zanzara che veicola la malaria. Anni fa, grazie anche a finanziamenti della fondazione di Bill & Melinda Gates, Crisanti e altri avevano dimostrato sperimentalmente che modificare le zanzare tramite CRISPR per renderle sterili poteva essere molto utile per ridurre la popolazione di Anofeles. Ma per fare ciò in modo efficiente si era rivelato necessario utilizzare un trucco genetico per far sì che la modifica si diffondesse più rapidamente che seguendo la normale genetica mendeliana. Tale trucco, in gergo chiamato “gene drive”, porta con se la possibilità di diffondere troppo le modifiche operate da CRISPR.

Per limitare la diffusione dei gene drive a base di CRISPR, ora Crisanti ha mostrato che è possibile inserire nel genoma di Anofeles anche l’inibitore di CRISPR in modo da spegnerlo quando non è più necessario. E se pensate che questo fosse un problema solo del “CRISPR alato”, è utile ricordare che sistemi di gene drive a base di CRISPR, sono stati sperimentati anche per contenere le popolazioni di animali altamente invasivi come conigli e roditori in Australia e Nuova Zelanda. Quindi grazie a Crisanti si prevede che si potrà spegnere anche CRISPR “su zampe”.

Nel campo biomedico la speranza è che CRISPR diventi un farmaco efficace

Secondo il New York Times sono già 156 gli studi clinici avviati che utilizzano CRISPR, per curare numerose lesioni genetiche che portano a malattie.

Tra questi è in fase avanzata la sperimentazione clinica per curare pazienti affetti da beta talassemia e anemia falciforme. In entrambi i casi, si è evitato il problema di dover veicolare CRISPR perché il trattamento è realizzato “ex vivo”, cioè prelevando le cellule del sangue difettive, modificandole con CRISPR in coltura e re-iniettandole nel paziente.

I casi clinici

Vertex e Crispr therapeutics, fondata da Emmanuelle Charpentier, che hanno sviluppato la terapia, hanno già ricevuto le prime approvazioni e i primi pazienti italiani sono stati trattati anche al Bambin Gesù di Roma. Editas Medicine, fondata da Zhang, Doudna, Church e Liu, e Allergan hanno annunciato una sperimentazione per il trattamento con CRISPR dell’amaurosi congenita di Leber di tipo 10 (LCA10), una malattia congenita che porta a cecità.

Il trattamento chiamato EDIT-101 viene iniettato direttamente nell’occhio e ha già avuto successo in un primo paziente. In passato, la correzione del gene difettoso con la tradizionale terapia genica era fallita per l’impossibilità di veicolare una copia intera del gene sano, che è troppo grande per i vettori esistenti. Con EDIT-101 viene invece riparato il gene con CRISPR che è molto più compatto.

Si noti che l’amaurosi congenita viene trattata “in vivo”, cioè senza prelevare cellule dal paziente, perché il difetto è localizzato all’occhio.

Altra cosa è curare una malattia che colpisce molti organi. Ma anche in questo caso CRISPR rappresenta una grande speranza di cura in via di realizzazione. Infatti, è di poche settimane fa la pubblicazione sul New England Journal of Medicine, una delle più rinomate pubblicazioni mediche al mondo, di uno studio clinico di fase I per il trattamento di una condizione rara chiamata cardiomiopatia amiloide familiare legata alla transtiretina (TTR). La TTR è una proteina prodotta da un gene difettoso che si accumula nel cuore e nervi dei pazienti. Per curarla sarebbe necessario correggere il gene difettoso in questi organi.

Intellia Therapeutics, fondata da Doudna, e i collaboratori di Regeneron, sono riusciti a impacchettare un trattamento a base di CRISPR, chiamato NTLA-2001, all’interno di particelle lipidiche come quelle utilizzate per il vaccini Moderna o Pfizer, che sono state iniettate direttamente nel circolo sanguigno. Queste raggiungono il fegato, dove avviene la correzione che porta ad una riduzione marcata nei livelli del TTR tossico nel sangue e nei tessuti. La sperimentazione si è rivelata efficace in sei pazienti e ora si estenderà ad un gruppo più consistente.

L’applicazione di CRISPR alla virologia

È un po’ un ritorno alle origini perché il sistema CRISPR si è evoluto proprio per combattere i virus inattivandone i geni. La spinta della pandemia ha già portato i gruppi di ricerca in California e a Boston a proporre dei test per identificare il virus SARS-CoV-2 sfruttando la capacità di CRISPR di riconoscere il genoma virale.

Si prevede che questi appaiano sul mercato americano per la fine dell’anno. Oltre all’alta specificità hanno il vantaggio di essere rapidi e facilmente adattabili a nuove varianti del virus. Per armare CRISPR contro i virus a RNA su usa, l’enzima Cas13, un parente di Cas9 che bersaglia l’RNA e non il DNA.

Così, oltre ai test si è anche sviluppato un trattamento CRISPR per degradare in modo specifico l’RNA virale all’interno delle cellule che il virus ha infettato. Uno studio recente ha dimostrato che roditori a cui è stato fatto inalare il trattamento, se infettati con SARS-CoV-2, venivano protetti. Questi esperimenti suggeriscono che si potranno in futuro sviluppare degli antivirali a base di CRISPR per combattere i coronavirus, anche questi facilmente programmabili per aggredire nuove varianti virali.

Mitigare l’effetto “off-target”

Ma le conoscenze su CRISPR quest’anno hanno fatto anche passi in avanti per quanto riguarda la mitigazione di potenziali difetti associati all’uso della nuova tecnologia. In passato si era già scoperto che che, per quanto preciso, il sistema di riconoscimento specifico di una sequenza di DNA o RNA non è perfetto. Così è possibile che CRISPR riconosca e modifichi anche geni che non si intende bersagliare, è il cosi detto effetto “off-target”.

Molti passi avanti si erano già fatti per migliorare la precisione di CRISPR e per monitorare questi effetti. Ora nuove nubi che si stagliano all’orizzonte di CRISPR riguardano potenziali effetti tossici “on-target” cioè dovuti proprio alla modificazione voluta del gene bersaglio.

Due studi recenti hanno rivelato che quando CRISPR ha necessità di tagliare il DNA per effettuare una modifica, in rari casi il cromosoma che deve essere modificato si frammenti. Tale frammentazione, chiamata “cromotripsi” è stata osservata anche in cellule tumorali e in genere porta alla morte delle cellule affette.

Per ora questo effetto è stato osservato solo in cellule in coltura, rimane da comprendere se si verifichi e anche in un organismo. Alla
preoccupazione per una possibile genotossicità di CRISPR, si aggiunge il fatto da poco scoperto che l’uomo possiede già anticorpi per bloccare gli enzimi di CRISPR. La ragione di ciò è che il sistema è derivato da batteri come lo Staphylococcus aureus e lo Streptococcus pyogenes che infettano l’uomo. Quindi ciò potrebbe ridurre l’efficacia dei trattamenti medici a base di CRISPR.

Le grandi promesse di CRISPR e i grandi rischi, anche di natura etica

Anche l’OMS che ha pubblicato recentemente una serie di raccomandazioni per il suo uso frutto di un triennio di lavoro.

Le norme, non vincolanti, si basano su scenari futuribili particolareggiati. Identificano vari problemi dovuti alla necessità di innovazione responsabile, visti le tante potenziali conseguenze dell’uso di CRISPR, ma rilevano anche disomogeneità legislative e economiche e lamentano poca trasparenza nella corsa ad sviluppare lucrosi prodotti a base di CRISPR.

L’OMS si chiede per esempio se non succederà che si usino pazienti dei Paesi in via di sviluppo per mettere a punto a costi ridotti trattamenti da rivendere a caro prezzo a pazienti di Paesi avanzati. Potrebbe essere questo il caso dell’anemia falciforme per esempio.

Anche l’Innovative Genomics Institute (IGI), un consorzio interuniversitario californiano che Doudna ha fondato, insieme al consorzio SCGE fondato dall’NIH, il dipartimento della salute americano, hanno identificato (e finanziato con 190 milioni di dollari per i prossimi 6 anni) una grande numero di progetti che aiutino a definire nuove linee guida per l’uso delle nuove tecnologie per le modificazioni genetiche e ne promuovano l’efficenza.

I principali ostacoli identificati dai due consorzi sono la necessità di sviluppare metodi efficaci per veicolare le modifiche, lo sviluppo di nuovi test per valutare la precisione dell’attività di CRISPR, il miglioramento del design degli enzimi utilizzati e infine la definizione di standard e metriche condivise da vari laboratori e centri di ricerca. Si cerca cioè di mettere a disposizione della globalità una cassetta degli attrezzi per lavorare sul genoma che sia robusta e ampiamente utilizzabile.

CRISPR in ambito agronomico e biotecnologico

Le preoccupazioni non sono solo legate all’uso di CRISPR in ambito biomedico, ma anche in ambito agronomico e biotecnologico. Molti cibi modificati con CRISPR sono stati già prodotti, in parte sperimentati e addirittura in Giappone offerti a coltivatori amatoriali – è successo nel caso di un pomodoro modificato per aumentare la produzione di un fito-molecola cardio protettiva.

Nonostante ciò la legislazione per la commercializzazione di cibi a modificati con CRISPR rimane molto disomogenea. In gran parte del mondo, Stati Uniti e Giappone in testa si è riconosciuto che le modifiche prodotte via CRISPR non sono molto diverse alle mutazioni naturali o artificiali utilizzate da secoli per selezionare varietà di piante o animali per la nutrizione umana.

La sfida della sostenibilità ambientale in Europa

In altre parole, gli alimenti ottenuti con CRISPR non vengono considerati organismi geneticamente modificati (OGM). In Europa invece sì. Ciò ha fortemente ridotto gli investimenti europei sul CRISPR in campo agronomico. Ma la situazione potrebbe presto cambiare. Infatti, recentemente la Commissione Europea ha pubblicato un rapporto sulle nuove tecniche genomiche (NGT) che sottolinea la necessità di aprirsi alle nuove tecnologie per venire incontro alle crescenti sfide della sostenibilità ambientale. Tra cui il cambiamento climatico, l’aumento della popolazione del pianeta, e la necessità di ridurre l’impatto ambientale della produzione di cibo, a partire dalla riduzione del 50% dell’uso dei pesticidi richiesta dal green deal. La situazione normativa italiana, tra le più restrittive in Europa, è stata riassunta dalla rivista specializzata Nature.

Lo scenario in Italia

Nel questionario che il rapporto NGT ha inviato ai paese EU, il nostro precedente governo aveva dichiarato che in Italia non ci sono esempi
concreti dell’utilità delle nuove tecnologie genetiche, in controtendenza rispetto al resto della UE. Eppure la necessità di rimettersi in gioco è chiara se di guarda alla incapacità di proteggere le nostre produzioni da crescenti emergenze fitosanitarie, come quelle della Xylella negli ulivi o della Sharka nei peschi. O se si analizzano nel dettaglio le false buone pratiche come quella di tutelare vitigni vecchi di secoli che non sono protetti contro patogeni come l’oidio, un fungo per evitare il quale si fa grandissimo uso di pesticidi.

Il gene dell’uva che permette l’infezione da oidio è noto e sarebbe il bersaglio perfetto per CRISPR, ma ciò trasformerebbe il vitigno in un OGM non commercializzabile. Le rigidità normative non si fermano al vino e non all’Italia. È notizia recente che la coltivazione anche di pochi alberi OGM da parte di un produttore porta al divieto di utilizzo della denominazione FSC (Forest Stewardship Council), una nota certificazione di sostenibilità, anche se gran parte del legno venduto non è OGM.

Conclusioni

Appare chiaro che è necessario un ribaltamento del principio di precauzione per cui bisogna attenersi ad un sistema di riferimento “naturale”. Che non esiste più a causa della sovrappopolazione e del cambiamento climatico. Lo sostiene la ricercatrice della Columbia university Sarah Garland quando spiega che solo l’editing genomico pone le basi per vincere le sfide future della sostenibilità. Quindi il nuovo sistema di riferimento per la legislazione dovrebbe essere quello di un mondo in rapida evoluzione nel quale uomo, flora, fauna e coltivazioni sono messe in grado di evolvere velocemente nuovi tratti di resilienza.

Sulle questioni CRISPR è necessario anche un cambio culturale lo ha capito bene Jennifer Doudna che sta investendo anche sull’educazione delle nuove generazioni alle modificazioni genetiche. Il sito dell’IGI infatti contiene una sezione che spiega a ragazzi e ai non esperti cosa sia veramente CRISPR, quali siano i vantaggio del suo uso, quali i rischi e quali i benefici. Il secolo delle modificazioni genetiche è già cominciato, la rivoluzione culturale necessaria per raccoglierne i frutti – forse necessari a riequilibrare la vita sul pianeta –  ancora no.

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