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Telemedicina nei piccoli Comuni, Federsanità: “Bene il decreto, ora fare rete tra gli enti”

Il Ministro Speranza ha firmato il decreto con cui stanzia oltre 10 milioni di euro per la telemedicina nelle farmacie dei piccoli Comuni: per queste realtà, soprattutto se in aree interne, è necessario ridisegnare nuovi sistemi d’accesso ai servizi, con la forza del lavoro di squadra

Pubblicato il 05 Nov 2021

Tiziana Frittelli

Presidente Nazionale Federsanità – DG Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma

Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0

Innovazione tecnologica ed efficienza organizzativa, ma anche capitale umano quotidianamente al servizio del cittadino. In questa direzione va la firma, da parte del Ministro della Salute Roberto Speranza, del decreto che stanzia oltre dieci milioni di euro per offrire strumenti di telemedicina alle farmacie dei Comuni con meno di 3.000 abitanti.

In Italia oltre 13 milioni di persone (4.261 Comuni) vivono nelle aree interne che coprono il 63% del territorio del Paese. È noto che in queste aree l’accesso ai servizi, l’incidenza della malattie e l’aspettativa di vita mostrano dati negativi. È qui che bisogna progettare forme organizzative di accesso ai servizi completamente nuove, mettendo assieme tutte le risorse: medici di medicina generale, infermieri di comunità, medici dipendenti e convenzionati del SSN, le farmacie appunto e, infine, i Comuni e il volontariato. Occorre un forte raccordo tra servizi sociali dei Comuni e assistenti sociali del SSN, in un disegno globale che superi i raccordi informali e promuova ad esempio le equipe itineranti.

Telemedicina alle farmacie, la prospettiva del decreto

Il decreto del Ministro Speranza va esattamente verso il superamento delle distanze fisiche di particolare valore in quelle aree montane, insulari e interne caratterizzate da rarefazione dei servizi e maggiori difficoltà di accesso agli stessi. Portare la salute più vicino ai cittadini, destinando risorse alle infrastrutture di accesso come il servizio di telemedicina, significa scegliere la coesione territoriale in un Paese ancora fortemente diseguale sotto questo aspetto strategico.

Oggi abbiamo la prospettiva del finanziamento del PNRR per lo sviluppo strutturale della sanità territoriale. La prima urgenza riguarda l’esatta quantificazione delle risorse umane necessarie, anche al fine di definire il fabbisogno di professionisti che va trasferito alle Università, affinché mai più si verifichi la carenza di profili centrali nell’assistenza causata da una errata programmazione dei fabbisogni formativi. Occorre definire subito gli standard di fabbisogno di risorse umane per il territorio, contestualmente all’elaborazione ed attuazione del DM 71 sugli standard assistenziali territoriali. Sulla necessità di risorse occorrerà calibrare il finanziamento del SSN, alla luce di un maggiore raccordo tra ospedale e territorio e della esperienza della pandemia, per affrontare la quale sono nate le figure dell’infermiere di comunità e delle Usca. Per esempio, riteniamo sia venuto il momento di ridefinire il ruolo dei medici di continuità assistenziale.

Telemedicina, le priorità

Un punto importante è l’interoperabilità del fascicolo sanitario elettronico, senza il quale non si puo’ realizzare la presa in carico della cronicità ed un efficace utilizzo della teleassistenza. Dobbiamo assolutamente realizzare i progetti del PON GOV 2017-2023 (sostenere la sfida della cronicità con lo sviluppo dell’ICT), sui quali Agenas sta svolgendo un affiancamento importante per il Ministero della Salute. Il finanziamento, di circa 20 ml, non sarà sufficiente ma se lo utilizzeremo per definire i fabbisogni, sulla base del modello di sanità territoriale che si sta disegnando, potremo far tesoro anche delle risorse che arriveranno dal PNRR. Anche in questo caso dobbiamo sottolineare la necessità di un approccio di sistema rispetto al tema, richiamando in particolare il legame con la Missione 1 – relativa alla digitalizzazione – con gli interventi di coesione territoriale della Missione 5, rispetto alla strategia nazionale per le aree interne, in sinergia con gli interventi della Missione 6.

Il superamento delle distanze fisiche consentito dalla telemedicina – di particolare valore in quelle aree montane, insulari e interne caratterizzate da rarefazione dei servizi e maggiori difficoltà di accesso agli stessi – avrà bisogno di infrastrutture di accesso ad Internet che oggi caratterizzano un Paese ancora fortemente diseguale sotto questo aspetto strategico.

Telemedicina e dotazione informatica del territorio vanno quindi di pari passo. Per svolgere al meglio le funzioni di cure primarie anche le strutture territoriali, ed in primis le RSA dove vengono assistite le persone più fragili sotto il profilo della comorbilità di malattie croniche, devono essere dotate di infrastrutture informatiche efficienti e moderne in grado di attivare telemedicina, teleconsulto e inviare flussi in database regionali e nazionali in modo da poter gestire al meglio l‘attività e misurarla per efficacia e appropriatezza. Il tutto, è bene ricordarlo, all’interno del nuovo scenario dei LEA, che ha visto il recente ingresso proprio della Telemedicina, grazie all’accordo in Conferenza Stato-Regione del 17 dicembre 2020, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sul documento recante “Indicazioni nazionali per l’erogazione di prestazioni in telemedicina”.

Da questo punto di vista, occorre quindi rilanciare l’utilizzo dello strumento FSE in maniera uniforme e interoperabile sull’intero territorio nazionale, facendo leva sul fondamentale ruolo giocato dai primi punti di accesso sanitari sul territorio, i Medici di Medicina Generale e i Pediatri di Libera Scelta.

Verso una governance dei dati potenziata

Per gestire al meglio la cronicità occorre anche un “salto di livello” rispetto alla raccolta e analisi integrata delle informazioni tanto di tipo sanitario che sociale. La cartella informatizzata sociosanitaria rappresenta uno strumento fondamentale all’interno della cassetta degli attrezzi dell’integrazione. Gli operatori e le operatrici dei due ambiti dovrebbero infatti contare su informazioni complete e aggiornate sull’intera platea dei bisogni espressi dall’utente, e delle risposte organizzate ed erogate dai Servizi, all’interno di un percorso ideale dove gli scambi e i passaggi di campo tra i due ambiti sono continui.

In questa prospettiva, una migliore organizzazione, standardizzazione e accessibilità dei dati costituiscono un prerequisito per una più efficace gestione di percorsi assistenziali integrati, superando la frammentazione di dati sanitari collocati in vari database in multiple piattaforme che non dialogano e non prevedono la possibilità di una visione d’insieme che permetta di sistematizzare le conoscenze.

Il caso di Federsanità

Federsanità sta lavorando ad un prototipo di Banca dati socio sanitari integrati. Riteniamo, infatti, indispensabile uno strumento di informazione sullo stato di salute della popolazione, che contenga dati e infografiche utili agli operatori del settore e agli amministratori per scopi di programmazione non solo sanitaria, organizzata per Asl, Distretti e Comuni (sul modello di Open Salute Lazio. Il sistema offre un quadro sintetico dello stato di salute della popolazione residente nella Regione, in una singola ASL, un Distretto, un Comune o in aggregati di Comuni selezionabili da mappa. Le elaborazioni si basano sui dati dei sistemi informativi sanitari correnti e dei registri di popolazione). I dati sanitari vanno integrati con i dati socio-economici della popolazione e con l’indicazione dei presidi territoriali presenti, al fine di offrire una mappa necessaria ad una programmazione sul territorio orientata a realizzare un sistema One health.

Conclusione

Insomma c’è bisogno di un approccio di sistema. È possibile limitarsi a una visione più ristretta e considerare che per realizzare l’integrazione sia sufficiente l’erogazione coordinata di prestazioni sanitarie e sociali, magari in riferimento a segmenti di percorsi assistenziali per bisogni complessi; oppure è possibile adottare una visione più ampia capace di assumere come centrale l’integrazione tra i diversi sistemi di servizi sanitari e sociali. In questo secondo caso lo sforzo è quello di ricercare i cardini su cui fare scorrere le grandi direttrici dell’integrazione cercando per quanto possibile di riallineare il sistema sanitario e il sistema sociale. Si tratta ovviamente di una prospettiva molto più complessa, che deve misurarsi anche con i profondi cambiamenti in atto nelle nostre comunità e con le caratteristiche peculiari dei territori in cui agiscono i sistemi di servizio da integrare.

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