reti e comunità educative

La Scuola 4.0 alla base di una società sostenibile, intelligente, inclusiva: come costruirla

La Scuola 4.0 è un’opportunità per consolidare e rafforzare le reti fra scuole (e chi le sostiene) sfruttando il digitale per dar vita a ecosistemi di apprendimento sui territori: è insomma il fulcro di una Società 4.0 in cui l’innovazione tecnologica metta al centro le persone

Pubblicato il 17 Feb 2023

scuola

L’etichetta “4.0” associata oggi anche al mondo della scuola (Piano Scuola 4.0) è stata introdotta originariamente in ambito industriale (Industria 4.0) per identificare in generale un processo di cambiamento radicale, tanto importante da essere considerato una rivoluzione. In ambito industriale il 4.0 sta ad indicare la quarta rivoluzione industriale. Una rivoluzione che avviene mediante l’integrazione, in un determinato dominio, di tecnologie, di metodi e paradigmi del mondo digitale/informatico/ICT, al fine di creare una forma di innovazione profonda, sistemica, tanto da impattare sull’organizzazione, sui processi, sui metodi – quindi paradigmatica.

Quando parliamo di Scuola 4.0 stiamo quindi prefigurando cambiamenti importanti, in cui la conoscenza e l’uso di tecnologie, metodi e paradigmi che arrivano dal mondo digitale siano funzionali a supportare l’innovazione ad ampio spettro nella scuola, inclusa la didattica ed i metodi di apprendimento – che ne sono il cuore. Come ben analizzato in un recente articolo di Agendadigitale a cura di Franco Torcellan [1], questa è la visione promossa effettivamente dal Ministero tramite le molteplici iniziative messe in campo, in continuità con quelle sviluppate nelle ultime due decadi.

Piano scuola 4.0: così la scuola diventa ecosistema di apprendimento grazie al digitale

Dato questo quadro, è importante focalizzare il fatto che l’innovazione portata dal “4.0” nella scuola debba essere collocata all’interno di una visione più ampia di innovazione, che non parte certo dalle tecnologie o dal digitale, ma dall’idea di scuola e di apprendimento che si vuole avere, mettendo l’innovazione tecnologica ed il “4.0” a servizio di quell’immagine.

In questa visione, non è la scuola che si innova per andare verso il 4.0, ma il 4.0 che diviene strumento a supporto dell’evoluzione della scuola verso quell’idea, che ha le sue radici nel patrimonio (socio-psico-)pedagogico, che caratterizza la scuola, e nelle ricerche sviluppate – fra gli altri – da istituti come INDIRE e movimenti come Avanguardie Educative.

Questa è la visione con cui, più di 5 decadi orsono, Seymour Papert – padre del costruzionismo e del pensiero computazionale – iniziava a sperimentare l‘uso del computer a scuola. L’utilizzo del computer era funzionale a creare ambienti di apprendimento innovativi, partendo da una immagine di discente attivo, il quale costruisce la propria conoscenza criticamente e collaborativamente [2,3]. La visione di Papert – la quale si basa a sua volta sul lavoro di giganti della psicologia e della pedagogia come Jean Piaget e Maria Montessori – risuona con idee e visioni che sono già le fondamenta su cui si regge la nostra scuola dell’infanzia, ove l’immagine di bambino e apprendimento si basa, anche, sulle idee del grande pedagogista Loris Malaguzzi e realtà come Reggio Children [4]. Un’immagine che non è confinata alla scuola dell’infanzia, ma che concerne tutti i livelli scolastici – in forme differenti – e quindi tutte le persone in generale.

Gli ambienti di apprendimento di cui si parla nel Piano Scuola 4.0 hanno chiaramente tratti che riprendono il concetto di atelier, introdotto da Malaguzzi, come ambiente che promuove conoscenza e creatività; un “lifelong kindergarten”, come evoca, nel suo ultimo libro [5], Mitch Resnick, allievo di Papert e guida del gruppo Lifelong Kindergarten presso il MIT Media Lab di Boston. Questa visione sul ruolo centrale dell’apprendimento continuo è uno dei tratti caratterizzanti della Scuola Onlife come evocata nel Piano Scuola 4.0, che trae spunto dal concetto Onlife introdotto da Luciano Floridi [6] – quindi una scuola come fulcro di una società fondata sull’apprendimento.

Papert sarebbe sicuramente entusiasta del concetto di ecosistema dell’apprendimento promosso dal Piano Scuola 4.0, visione di sintesi che prevede l’integrazione di ambienti fisici e digitali di apprendimento, un ecosistema che include luoghi, tempi, persone, attività didattiche, strumenti e risorse e che richiede necessariamente di essere accompagnato da un ripensamento dell’organizzazione scolastica, lungo le tre variabili – spazio, tempo e contenuti della didattica – mutuamente collegate.

A partire dall’esperienza di Papert, dalle esperienze sui territori, dalla letteratura stessa è oggi chiaro e assodato che questa visione può funzionare solo se si mettono le persone che animano la scuola nelle condizioni di poterla costruire e, così facendo, comprendere, creando l’ambiente più opportuno per far evolvere il contesto scolastico, secondo le loro specificità.

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L’innovazione non si trasferisce, ma si costruisce

Il messaggio è chiaro: l’innovazione, perché si radichi e sia autentica, non si trasferisce, ma si costruisce. Non c’è “trasferimento tecnologico” che tenga, ogni tentativo di trasferire e non costruire “l’innovazione”, in un sistema complesso come la scuola, rischia di tradursi inevitabilmente in una parziale assimilazione iniziale e poi espulsione, se non viene dato tempo e modo di costruire autenticamente la cultura, le motivazioni ed il senso del cambiamento. Senso che deve essere opportunamente calato e reso riconoscibile nelle realtà, così diversificate.

Come ogni sistema di attività [7], ogni contesto scolastico trova un equilibrio fra risorse, obiettivi e risultati, adattando opportunamente le regole del sistema, compiti e ruoli degli attori, in modo tale che ognuno possa raggiungere lo scopo prefissato (sia quello di insegnare per quanto riguarda l’insegnante sia quello di imparare e raggiungere un diploma per quanto riguarda lo studente).

Tale sistema però vive una sorta di equilibrio dinamico [8] che può determinare “contraddizioni” fra gli elementi del sistema nel momento in cui subentrano nuove esigenze, nuove tecnologie con cui portare avanti l’attività, o nuovi attori all’interno del sistema. E’ il caso, ad esempio, di quanto successo con la situazione pandemica determinata dal COVID-19, oppure dall’attuale esigenza di inserire lo sviluppo di soft-skills, oppure ancora il costante e rapido cambiamento del panorama tecnologico che richiede skills sempre più avanzate. In tali situazioni, il processo piagetiano di accomodamento, applicato al sistema, non funziona in quanto gli attori non hanno soluzioni adottate in precedenza per affrontare tale sfida e far tornare il sistema in equilibrio. Sono costretti dunque ad assimilare nuove modalità operative, innovare il loro modo di essere e di agire, in un processo sistemico che Engeström definisce “learning by expanding”: apprendimento espansivo.

Avere cura dell’ultimo miglio dell’innovazione

Ecco che allora appare molto importante e strategico avere cura dell’ultimo miglio dell’innovazione“, ad identificare i territori ove le indicazioni e le iniziative, individuate a livello nazionale e regionale, concretamente devono prendere forma e sostanza. “Avere cura” in questo caso s’intende in un’accezione ampia, profonda, milanianache echeggia nell’immagine di discente ed apprendimento di cui stiamo parlando.

Future Labs, Future STEAM ed Equipe Formative Territoriali

Il modello ad oggi dispiegato dal Ministero per supportare concretamente sui territori quest’ultimo miglio è rappresentato da vari strumenti e iniziative, che includono Future Labs, Future STEAM ed in particolare le Equipe Formative Territoriali, istituite a fine 2018.

Future Labs, iniziativa dedicata alla formazione in servizio del personale scolastico sulla transizione digitale della scuola, ha portato alla realizzazione di 28 poli sul territorio nazionale – mediamente un polo per regione – ove attuare l’allestimento, secondo il modello delle future classroom, di ambienti formativi innovativi utilizzati per la formazione.

Analogamente, Future STEAM ha visto la creazione di una cinquantina di istituti scolastici polo sul territorio nazionale, per fungere da referenti per la formazione dei docenti sull’insegnamento delle discipline STEAM con l’utilizzo delle tecnologie digitali.

Infine le Équipe Formative Territoriali sono state create per promuovere azioni di formazione del personale docente e di potenziamento delle competenze degli studenti sulle metodologie didattiche innovative e, ad oggi per garantire la diffusione delle azioni legate al PNRR. Come dispiegamento, c’è una equipe polo per regione.

Il modello “a poli” è sicuramente funzionale a gestire la complessità. Tuttavia, ad affiancare questo importante dispiegamento, dalle esperienze che arrivano dai territori emerge chiaramente l’importanza di supportare questo “ultimo miglio” con la costruzione di reti e comunità di pratica più vicine alle scuole, con le scuole, che assumano come principi di base l’interazione, la condivisione di conoscenza, di esperienze, di progetti e quindi quella forma di cooperazione che permetta un radicamento e riconoscimento autentico di “Scuola 4.0”. Come evidenziato nell’articolo di Torcellan, bisogna dar vita ed elaborare “una cultura della cooperazione che crei una vera integrazione di risorse e il perseguimento di obiettivi comuni”, determinanti il senso di appartenenza e la responsabilità attiva di tutti i soggetti coinvolti in un cambio culturale funzionale all’innovazione. Presupposti per una cittadinanza partecipata.

Potenziare la cultura della cooperazione

La cultura della cooperazione è già parte del DNA delle scuole primarie e dell’infanzia, dove tuttavia spesso – invece – manca il supporto tecnico e metodologico adeguato, capillare, per fare in modo che gli insegnanti siano nelle condizioni di costruire ambienti di apprendimento che sfruttino opportunamente “il 4.0”. In questo, se veramente si vuole supportare un cambiamento così importante nel tempo, appare strategico poter potenziare la figura di animatore/animatrice digitale e del suo team, come elemento operativo, di riferimento centrale della scuola 4.0, con competenze trasversali opportune che spazino dall’ambito informatico, all’ambito pedagogico, psicologico e artistico – in modo da affiancare insegnanti nella progettazione, messa in opera e manutenzione di ambienti di apprendimento innovativi – sia in aula, sia nei laboratori (quando disponibili), sia outdoor. Ciò porta a trovare nella figura dell”animatore/animatrice digitale e del team corrispondente i tratti di atelieristi digitali, riprendendo la figura di atelierista come introdotta da Malaguzzi e Reggio per la Scuola dell’Infanzia, volendo dare una forte connotazione anche all’aspetto di creatività e progettualità, “ai cento linguaggi dei bambini”, in uno spazio ibrido che va dal fisico/analogico al digitale/computazionale.

Se nelle scuole primarie la cooperazione è parte del DNA, nelle scuole secondarie la cultura della cooperazione è ancora una sfida, in virtù di come è organizzata la scuola, nelle tre dimensioni spazio, tempo e didattica. Il Piano Scuola 4.0 si propone come occasione importante di evoluzione e cambiamento in questa direzione anche per le scuole secondarie. Anche in questo caso, nell’ampio insieme di azioni che dovranno essere messe in campo per intraprendere o continuare questo ambizioso processo, il potenziamento della figura e del ruolo dell’animatore/animatrice digitale e del team appare un elemento strategico, soprattutto nelle scuole secondarie di primo grado, dove non c’è nell’assetto corrente, un supporto tecnico e metodologico al digitale capillare adeguato.

A tutti i livelli scolastici, i futuri animatori/animatrici digitali potrebbero quindi diventare l’elemento mediatore attivo fondamentale sia all’interno della scuola, sia in relazione alla comunità e reti fra le scuole. Si va così anche a supportare una reale continuità educativa. Continuità che è passaggio fra i gradi scolastici traghettato da riflessioni, intenti, percorsi e progetti condivisi.

Le reti fra scuole non sono certo una novità e ci sono già. La Scuola 4.0 diviene allora l’opportunità di mettere queste reti – e chi le sostiene – nelle condizioni di poterle consolidare e rafforzare sfruttando il digitale per dar vita a quegli ecosistemi di apprendimento sui territori di cui si parlava. Ecosistemi che vedano le scuole al centro e il coinvolgimento di tutti quegli attori funzionali a rendere possibile una costruzione di valore della Scuola 4.0. Fra questi attori, l’Università – per sua natura – può svolgere un ruolo di supporto di riferimento, in relazione alla sua cosiddetta Terza Missione.

Conclusioni

Questo tessuto cooperativo è alla base dell’ultimo miglio dell’innovazione e diventa la base per costruire concretamente delle Learning Land – ovvero delle Learning Cities [9,1] che si inquadrano in una visione più generale di Smart Land [10]. Una smart land che promuove quindi l’apprendimento a tutti livelli come chiave del suo sviluppo – dalla scuola all’Università, dalle famiglie alle comunità, ai luoghi di lavoro – e diventa funzionale alla costruzione di un territorio sostenibile, intelligente, inclusivo.

Così facendo, la Scuola 4.0 diviene il fulcro di una Società 4.0 in cui – analogamente – l’innovazione tecnologica metta al centro le persone, e quindi l’immagine di cittadino e di società che vogliamo e sfrutti “il 4.0” come elemento strategico per costruire quell’immagine. Un’immagine centrata sull’apprendimento, sulla cooperazione e sul benessere vitale di ogni individuo – così facendo torna a soffiare “il vento di Adriano” [11].

*Ylenia Battistini (coordinatrice Progetto Innova-Mente, Cesena)

Bruna Borgognoni (Insegnante scuola primaria, Cesena)

Enrico Flamigni (Dirigente scuola primaria, Cesena)

Elvis Mazzoni (Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna)

Mauro Moscia (Prof. scuola secondaria I° grado, Cesena)

Alessandro Ricci (Dipartimento di Informatica, Università di Bologna – Responsabile CRIAD)

Andrea Vaccari (Prof. scuola secondaria II° grado, Cesena – FabLab Romagna)

Note

[1] Franco Torcellan, Piano scuola 4.0: così la scuola diventa ecosistema di apprendimento grazie al digitale. https://www.agendadigitale.eu/scuola-digitale/piano-scuola-4-0-cosi-la-scuola-diventa-ecosistema-di-apprendimento-grazie-al-digitale/

[2] Seymour Papert, Mindstorms: Children, Computers, And Powerful Ideas, Ed. Basic Books, 1980.

[3] Seymour Papert, The Children’s Machine: Rethinking School In The Age Of The Computer, Ed. Basic Books, 1993.

[4] C. Edwards, L. Gandini, e al., I cento linguaggi dei bambini. L’approccio di Reggio Emilia all’educazione dell’infanzia, Ed. Junior, 2014.

[5] Mitchel Resnick, Lifelong Kindergarten: Cultivating Creativity through Projects, Passion, Peers, and Play, MIT Press, 2017.
Versione in italiano: Come i bambini. Immagina, crea, gioca e condividi. Coltivare la creatività con il Lifelong Kindergarten del MIT, Ed. Erickson, 2018.

[6] Luciano Floridi, The Onlife Manifesto: Being Human in a Hyperconnected, Ed. Springer, 2015.

[7] Engeström, Y. (2009), From learning environments and implementation to activity systems and expansive learning. Actio: An International Journal of Human Activity Theory, 2(1), 17-33.

[8] Mazzoni, E., Dallo sviluppo degli artefatti Web all’evolversi delle attività umane. I processi del cambiamento, Ed. Morlacchi, 2006.

[9] Longworth, N., Città che imparano. Come far diventare le città luoghi di apprendimento, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2007.

[10] Aldo Bonomi, Roberto Masiero, Filiberto Zovico, Dalla smart city alla smart land, Ed. Marsilio, 2014.

[11] Aldo Bonomi, Alberto Magnaghi, Marco Revelli, Il vento di Adriano. La comunità concreta di Olivetti tra non più e non ancora, Ed. Deriveapprodi, 2015.

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