L'ANALISI

Leibniz, la scuola e il Lego: così la filosofia forma il pensiero computazionale

Il pensiero computazionale non può limitarsi all’esercizio meccanico di scrittura di codice o all’utilizzazione di un simbolo. Ecco come nuovi percorsi possono educare a un approccio critico ai problemi

Pubblicato il 29 Mar 2019

computational-logica

Si intravvedono nuove strade per facilitare il percorso della scuola verso l’approccio a logica, grammatica valenziale e computational thinking (pensiero computazionale). Così da non ridurre i nuovi linguaggi a meccanici esercizi di scrittura di codice. In questo senso la filosofia offre una “piattaforma” in grado di avvicinare insegnanti e studenti all’assunzione di un ruolo attivo nell’esercizio di riflessione, astrazione e modellizzazione.

Il tema del linguaggio, e dei linguaggi, è sempre più rilevante nella realtà educativa. Oltre ad avere un ruolo negli aspetti della comunicazione e delle competenze per l’apprendimento permanente (UE, 2006), ha assunto una particolare centratura sub specie tecnologica.

Un gruppo di ricercatori e docenti esperti ha provato ad affrontarlo in un’ottica di multidisciplinarità e verticalità con i circa 60 docenti che hanno partecipato al workshop condotto nell’ambito di Didacta Italia 2018; attraverso un “atteggiamento analitico”, partendo dalla filosofia del linguaggio e dalla logica abbiamo cercato un fil rouge per collegare modi di studiare i linguaggi (dai segni semplici alle lingue classiche) con cui la scuola sta prendendo confidenza: grammatica valenziale e computational thinking.

Il pensiero computazionale, una definizione

È proprio a questa seconda declinazione che dedicheremo qui la nostra attenzione in un’ottica che accoglie la riflessione delle Indicazioni Nazionali e Nuovi Scenari (MIUR, 2018) in cui il pensiero computazionale è definito come: “un’educazione al pensiero logico e analitico diretto alla soluzione di problemi” (p. 13).

Il digitaleè alfabeto del nostro tempo – al cui centro risiede il pensiero computazionale – una nuova sintassi, tra pensiero logico e creativo, che forma il linguaggio che parliamo con sempre più frequenza nel nostro tempo”, leggiamo nel Piano Nazionale Scuola Digitale (MIUR, 2015, p. 72).

Una frase come questa è suscettibile di varie interpretazioni.

Rispetto al computational thinking, se diamo ai termini che vi sono contenuti il significato che assumono nel parlare comune, rischiamo di intenderne l’introduzione nella didattica come attività addestrativa, finalizzata all’acquisizione di abilità meramente procedurali.

Se invece si vuole guardare al computational thinking nella scuola, fin dai primi ordini, in chiave metodologica, come approccio alla riflessione, all’astrazione e alla modellizzazione (Nulli e Di Stasio, 2017), allora è più utile una via diversa: quella di un’analisi che porta allo stesso tempo verso approfondimenti di disciplinarità stretta e connessioni metodologiche interdisciplinari.

In quest’ottica la “logica” che soggiace tanto al computational thinking quanto alla grammatica come riflessione sulla lingua (Camizzi et al., 2017), non è la logica del senso comune, ma la disciplina filosofica. Eccoci dunque al nostro fuoco: la filosofia.

Di cosa parliamo quando parliamo di filosofia?

A partire dalla riflessione su I contenuti essenziali per la formazione di base del 1998 fino agli Orientamenti pubblicati circa un anno fa, la scuola italiana guarda all’insegnamento della filosofia come a una propria felice specificità: fondata sì su un impianto storiografico, ma con la ferma intenzione di non limitarsi ad esso.

Nel rinnovato interesse verso la filosofia a scuola, sembra doversi anche ripensare la dicotomia tra filosofia analitica e filosofia continentale.

Per avere un rapido quanto preciso tratteggio di questi due approcci possiamo dire, con Franca D’Agostini (1997), che da una parte abbiamo una filosofia delle soluzioni eroiche, della drammaticità, dall’altra la filosofia analitica: anti-eroica, collaborativa, minuziosa.

Non scambiamola però per una filosofia del quotidiano! Nelle parole di Russell “vi sono state troppe soluzioni eroiche in Filosofia; un lavoro minuzioso è stato spesso negletto; si è avuta troppo poca pazienza […] il vero metodo, in filosofia come in scienza, sarà induttivo, meticoloso e non crederà che sia dovere di ogni filosofo risolvere qualsiasi problema da sé” (Russell, 1911, cit. in D’Agostini, 1997, p. 205).

Come tradurre tutto questo nella scuola?

Gli studenti incontreranno la Filosofia come disciplina nell’ultima tappa del loro percorso e allora potrà fornire una chiave di sistematizzazione e una cornice culturale e di senso per quanto costruito, ma nel frattempo potrà essere di struttura e sostegno per i docenti che, anche ai gradi inferiori, maneggiano argomenti come il coding, algoritmi e la grammatica valenziale e che potranno affrontarli in un’ottica di verticalità in cui lo stesso tema avrà un approccio coerente dall’inizio della primaria alla conclusione della secondaria di secondo grado.

In questa chiave abbiamo proposto un’esperienza formativa che può essere intesa come una thumbnail di un percorso di maggior respiro, che non vuole proporre ai docenti avendo cura di non imporre una discontinuità netta in esperienze e pratiche presumibilmente basate su un impianto storico.

La filosofia analitica ha un proprio sviluppo storico, e non rigetta in alcun modo la necessità di una comprensione della storia del pensiero, ma si pone come metodo di analisi e riflessione per guardare ai temi che caratterizzano l’individuo e la società. In questo senso può costituire un atteggiamento di supporto e potenziamento del percorso di storia della filosofia.

Siamo partiti da una condivisione dell’idea di base per cui l’assunzione di un atteggiamento analitico allo studio e alla pratica di argomenti e discipline costituisce la base per un approccio alla filosofia genuinamente laboratoriale.

Riccardo Bruni (DILEF, Università degli studi di Firenze) ha offerto un’introduzione ad alcuni elementi della Logica, funzionali al lavoro di gruppo che è stato proposto.

I docenti sono stati dunque coinvolti nella parte immersiva del laboratorio in cui hanno partecipato come “alunni” a una lezione simulata. Con questa struttura sono state impostate tre sezioni parallele che riflettevano un ideale percorso scuola attraverso i linguaggi e la riflessione su di essi e sulle loro strutture, dalla primaria alla secondaria di secondo grado.

Ogni lezione è stata condotta da docenti esperti e ricercatori Indire e, in attuazione dell’idea di relazione tra approfondimento disciplinare stretto e interdisciplinarità, ha avuto un soggetto centrale, potremmo dire conduttore, in dialogo con gli altri, ovvero:

  • Computational thinking e filosofia (primaria) – a cura di Valeria Angelini e Matteo Bianchini (Scuola-Città Pestalozzi, Firenze) e Giovanni Nulli (Indire)
  • Riflessione grammaticale e filosofia (secondaria di I grado) – a cura di Agata Gueli (Liceo E. Catalano, Palermo) e Margherita Di Stasio (Indire)
  • Grammatiche, mente e filosofia (secondaria di II grado) – a cura di Carlo Gabbani (Liceo XXV Aprile, Pontedera – Pisa) e Loredana Camizzi (Indire).

Tenendo il capo di questo immaginario filo rosso, il docente di filosofia della secondaria, Carlo Gabbani ha proposto di identificare in ogni anno del percorso del liceo un diverso approccio alla relazione tra mente, linguaggio e mondo; approccio identificato in tre autori: Aristotele, in cui possiamo identificare un isomorfismo tra il mondo il linguaggio e il pensiero; Leibniz che si pone il problema dei limiti di questa relazione e ne cerca il superamento attraverso l’ideazione di un apposito linguaggio formale; e Wittgenstein che si interroga su quanto il linguaggio ordinario, con la sua ricchezza, può aprire possibilità precluse ai linguaggi artificiali.

Guardiamo da qui alla primaria

Nella lezione di introduzione al pensiero computazionale condotta da Angelini e Bianchini, docenti di Scuola Città, gli insegnanti di scuola primaria hanno dovuto costruire un oggetto con il Lego, scomporlo ed elaborare delle istruzioni tanto chiare da permettere ad altri di ricombinarlo.

In questa riflessione sul linguaggio comune, sul linguaggio naturale, sui suoi limiti e sulle possibili alternative attraverso la formalizzazione, seguendo un tracciato che i loro allievi percorreranno alle superiori, i docenti trovano come compagno di viaggio esperto e spunto di riflessione Leibniz.

L’obbiettivo non è quello di semplificare la filosofia tanto da poterla presentare alla primaria o di far diventare il computational thinking una presentazione della filosofia: o l’uno o l’altra ne uscirebbero snaturati. L’obiettivo è avere coscienza del fatto che la riflessione sul rapporto tra linguaggio, mente e pensiero è uno dei temi che ha attraversato la storia dell’uomo e che ha segnato la crescita e la contrapposizione di culture e visioni del mondo.

Perché affrontare questo percorso allora?

Mi vengono in mente tre motivi. Per permettere ai docenti di leggere il ruolo da attribuire all’azione #17 del PNSD in un quadro che non riduca il computational thinking a un esercizio meccanico di scrittura di codice o utilizzazione di un simbolo, ma lo valorizzi come modalità, anche storicamente e culturalmente fondata, di approccio critico ai problemi.

Per permettere ai futuri studenti di filosofia dei licei di guardare a Leibniz come una fonte di spunti e riflessioni su un tema che continua ad essere sul tavolo da millenni e da qui essere predisposti e preparati a capire e approcciare criticamente l’evoluzione del pensiero dell’uomo.

Perché “la filosofia è allo stesso tempo la più sublime e la più ordinaria delle occupazioni umane […] e per quanto i suoi modi, il suo dubitare e provocare, il suo cavillare e al sua dialettica siano ostici e invisi alla gente comune, nessuno di noi potrebbe andare avanti senza i raggi luminosi che da lontano essa invia su ciò che vediamo del mondo” (James, 1994, p. 11).

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