l'analisi

Università, cos’è la SUA-CdS e perché è una palla al piede per studenti e professori

Cos’è e come funziona SUA-CdS, il luogo unitario in cui far confluire e razionalizzare le informazioni riguardanti l’attività e il controllo della qualità dei corsi di studio, a beneficio delle Università, degli studenti e delle famiglie. Un’analisi impietosa

Pubblicato il 14 Dic 2018

Giovanni Salmeri

Università degli Studi di Roma Tor Vergata

sua-cds

C’è una piattaforma informatica ormai da diversi anni al centro delle più delicate e importanti operazioni di programmazione e gestione della vita accademica dal punto di vista dell’insegnamento: la celebre scheda SUA-CdS.

O per meglio dire famigerata.

Facciamone una recensione, per aiutare coloro i quali si spendono in analisi e auspici riguardo alle decisioni del nuovo governo nel settore dell’informatica a farsi un’idea degli strumenti con cui l’Università deve condurre la sua esistenza.

Cos’è e come funziona SUA-CdS

La scheda SUA-CdS è stata ideata come il luogo unitario in cui far confluire e razionalizzare le informazioni riguardanti l’attività e il controllo della qualità dei corsi di studio, a beneficio delle Università, degli studenti e «delle famiglie» (un’aggiunta, quest’ultima, che mi ha lasciato sempre perplesso: ma tant’è). In pratica, la scheda si compila attraverso un sito dedicato. Risponde esso bene alle finalità previste?

Accedendo alla home page si trova l’intestazione, un testo abbastanza prolisso intitolato «Accoglienza», lo spazio per l’inserimento delle credenziali, e infine, a mo’ di piè di pagina, un elenco di tre link. Sull’intestazione non ci sarebbe molto da dire, se non che essa è enorme (in uno schermo normale ruba circa un terzo dello spazio) e con una scelta grafica incomprensibile: la sua parte centrale è trasparente a lascia dunque vedere parte del testo che scorre.

Lo spazio per l’inserimento delle credenziali è diviso in tre campi.

  • Nel primo bisogna inserire l’Università: tra i possibili sistemi, è stato scelto un menù a scorrimento di tutte le sedi italiane; con un po’ di fatica si capisce che sono in approssimativo ordine alfabetico di città; in pratica, ogni volta che si accede bisogna scorrere un elenco di un centinaio di voci cercando la propria sede.
  • Il campo del nome utente è precompilato (per così dire) con la scritta «username»: un modo notoriamente sconsigliabilissimo di etichettare. Il campo della parola d’ordine è anch’esso precompilato con la scritta «password»: ma dato che il tipo è appunto «password», l’etichetta è mostrata come una sequenza di otto punti: non solo un modo assurdo di etichettare, ma qui anche fuorviante perché si sarà ogni volta in dubbio se il campo sia precompilato con l’effettiva propria parola d’ordine.
  • Segue il piè di pagina con i link: FAQ, Mappa sito, Informazioni. Link molto utili se portassero da qualche parte: in realtà non portano da nessuna parte, sono link vuoti.

Con un po’ di fatica ci si autentica e si entra nel sito. Qui si scopre anzitutto che l’enorme intestazione è fissa: evidentemente è bene ricordare sempre che tale sito è «presentato» dall’Anvur (l’agenzia per la valutazione universitaria) e che il progetto è del Miur. A sinistra un elenco, difficile da capire nella sua logica, in cui sono alternate «SUA-CdS» divise per anni accademici e «Schede indicatori di Ateneo». Il resto dello schermo è bianco. Le voci a sinistra sono cliccabili. Cliccandole (verbo che pronuncio con ritrosia dopo l’uso che ne fece il geniale Carlo Verdone nel Gallo Cedrone) lo schermo rimane assolutamente identico: completamente bianco. L’unica enigmatica differenza è che in corrispondenza di alcune voci le indicazioni degli anni spariscono.

Normalmente il mistero si svela dopo qualche giorno di tentativi: lo schermo rimane sì identico, ma se si scorre con un Page down comincia a comparire qualcosa. In termini tecnici, le voci del menù fanno cambiare il contenuto sotto il fold, cioè in uno spazio normalmente invisibile. Ma anche scorrendo, non sembra esservi traccia della Scheda SUA che si desiderava: solo una lista infinita di «Comunicazioni» abbastanza criptiche (per esempio: «Sono in linea le chiavi anagrafe»: dove? di che cosa? a che servono?). Probabilmente passa qualche altro giorno prima che ci si accorga che scorrendo fino in fondo l’elenco di avvisi (per esempio per il 2017 bisogna fare circa 10 Page down) si giunge ad una voce «Gestione Schede SUA»: accanto ad essa la freccia che è il tipico segno di espansione, sotto di essa una voce «Visualizza schede» con accanto l’iconcina di una lente di ingrandimento. Se si prova a cliccare la freccia di espansione, sperando di trovare qualcosa in più, avviene solo che la voce successiva scompare. Si capisce allora che la freccia va ignorata. La voce «Visualizza Schede» non è però cliccabile: bisogna prendere bene la mira e puntare la piccola lente di ingrandimento (che però convenzionalmente significa «ricerca», non «va’ ad una certa pagina»).

Andando ancora in basso, gli stessi tre link della home page, questa volta attivi: il primo però porta ad una pagina inesistente del sito dell’Anvur (con l’aggravante che non viene segnalato che la pagina è mancante, ma piuttosto viene mostrata la home page: si annaspa dunque cercandovi le FAQ, che non ci sono). Invece della promessa mappa del sito viene mostrata un’immagine (per inciso: chi ha avuto l’idea di usare uno JPG per uno schema a colori pieni?) che mostra uno «schema logico» (in buon italiano: un diagramma di flusso), di utilità nulla, in cui spicca a destra, in evidenza, una grande casella con scritto «Consulta le lepri». La voce «Informazioni» è un link ad un indirizzo di posta elettronica, per fortuna presidiato (ho provato or ora con una richiesta, mi è stato risposto subito).

Tramite la lente di ingrandimento, eccoci finalmente al menù delle schede. La voci che portano alle schede sono però anche questa volta precedute da avvisi (con disastrosi errori di formattazione).

Arrivati alla meta

Arriviamo finalmente ad una Scheda SUA. Qui ancora una volta la scelta incomprensibile di lasciare in bianco quasi la metà dello schermo. Nella striscia di sinistra tre voci: «Home» (di che cosa?), «elenco corsi» (quali?), «gestione testi» (quali?). Con una rapida prova si vede che per «Home» si intende la suddetta pagina in perenne bianco, con «elenco corsi» si torna alla pagina precedente (quella che prima era chiamata «Visualizza Schede»). «Gestione testi», misteriosamente, apre una nuova pagina in cui la striscia a sinistra è vuota, e compare un solo messaggio «Dati salvati con successo» (quali dati, se non si è inserito nulla?). Sotto, un bottone «Chiudi»: cliccandolo non si chiude nulla. Sotto la parte bianca, finalmente la Scheda SUA voluta.

Il paziente lettore si sarà già stancato, ma l’utente del sito deve purtroppo avere ancora molta pazienza: anche arrivati a questa meta agognata continuano etichette incomprensibili, elementi di interfaccia confusionari, errori tecnici, indicazioni fuorvianti. Proviamo a dire in ordine sparso alcune cose più degne di nota: non esiste modo per scrivere i testi in un file esterno e poi importarlo; spesso durante la compilazione la sessione «scade» e parte del lavoro fatto va perduto; l’indicazione sullo stato di avanzamento della compilazione è fuorviante perché ogni nuovo anno viene automaticamente copiata la maggior parte dei testi dell’anno precedente (dando così l’illusione che siano aggiornate sezioni che possono contenere indicazioni obsolete); le istruzioni sono disseminate a caso tra un quadro e l’altro, a volte fin troppo prolisse a volte inesistenti; alcune parti del sito usano UTF-8, altre Latin1, rendendo l’inserimento di una semplice vocale accentata un’impresa; quando un campo può contenere sia testi, sia allegati, sia link, è impossibile aggiornare contemporaneamente più cose; il problema di finestre aperte e bottoni di chiusura che non chiudono niente si ripropone praticamente ad ogni voce; non vi è infine il minimo rispetto delle norme di accessibilità.

Un capitolo a parte dovrebbe essere dedicato all’utilità di questa selva che ogni anno bisogna compilare o almeno controllare (le voci principali della SUA sono 68). Da tempo, all’inizio dell’anno accademico, chiedo alle matricole quanti di loro si sono informati attraverso il «portale» Universitaly, il quale rende consultabili all’esterno i dati della SUA. Il risultato finora è stato costantemente zero. Ripeto per chiarezza: non ho mai incontrato un solo studente che abbia cercato una sola informazione su un corso di laurea attraverso il portale a ciò deputato dal MIUR. Parimenti non sarebbe fuori luogo notare che il sito della SUA è «presentato» (cioè imposto) dall’Agenzia nazionale che si occupa della valutazione dell’Università: è così irrazionale attendersi che vi sia un minimo di valutazione per essa stessa e i suoi «prodotti»? dove sono i checks and balances essenziali in ogni democrazia? Ma questi sono altri discorsi, che meritano molto più spazio: qui mi limito agli aspetti tecnici.

Due piccole conclusioni

Qualcuno potrebbe osservare che il problema dell’inadeguatezza tecnica degli strumenti informatici pubblici non è nuovo (qualcuno ricorda le vicissitudini di italia.it?). No, purtroppo non è nuovo, neppure nel caso in questione. Più di cinque anni fa ebbi il mio momento di gloria con una lettera aperta alla allora ministra Carrozza: parlavo di tante cose, e anche di questo sito. Da allora non è cambiato nulla. Ma se il problema non è nuovo, ciò non significa che non sia risolubile. E allora due piccole conclusioni.

La prima: vogliamo parlare di Industria 4.0? Ottimo. Ma non mi dispiacerebbe se oltre alle grandi prospettive si badasse alle cose facili e a portata di mano: se qualcuno ritenesse urgente fornire ai migliaia di corsi di laurea in Italia uno strumento più decoroso, funzionale, si eviterebbe almeno che innumerevoli ore di docenti universitari siano spese ogni anno solo per venire a capo di un sito con una qualità che non si accetterebbe neppure nel blog amatoriale di un ragazzino. Forse bisognerebbe ricordare che la grande spinta alla nascita e all’evoluzione dell’informatica è stata il desiderio di risparmiare tempo, per poterlo occupare in compiti più intelligenti, attraenti, umani. Ogni volta che uno strumento informatico, per un motivo o per l’altro, fa perdere tempo, questo è il segno che è sbagliato. E non si tratta qui nemmeno di «adeguare alle nuove tecnologie»: i principi di usabilità qui sistematicamente violati sono quelli noti da almeno vent’anni. (Detto per inciso: è ben possibile che chi ha prodotto cinque anni fa questo sito sia un eroe, che magari in tempi brevissimi e specifiche vaghe e contraddittorie è riuscito a fare qualcosa che in un certo senso è funzionante: il problema è quanto il Ministero e le sue agenzie considerano importante trattare in maniera rispettosa il mondo dell’Università.)

La seconda: non so quanto è costato questo sito, ma è bene essere collaborativi e generosi. Ecco dunque una proposta al Ministero: pagatemi la metà e lo faccio nuovo in un mese, molto migliore (solo non posso promettere di consultare le lepri).

Affare fatto?

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