protezione dei dati

Assistenti vocali, così violano la nostra privacy: tutti i problemi aperti

L’ascolto di registrazioni degli utenti da parte dei dipendenti dei giganti digitali, o di società appaltatrici, pone una serie di problemi relativi alla privacy e alla protezione dei dati personali. Ecco le problematiche attualmente oggetto d’esame da parte delle autorità regolatrici Usa e Ue e le possibili ripercussioni

Pubblicato il 13 Set 2019

Francesco Barbaro

Associazione italiana infrastrutture critiche

Luisa Franchina

Presidente Associazione Italiana esperti in Infrastrutture Critiche

assistenti vocali

La primavera e l’estate del 2019 sono state un periodo di leak, class action e inchieste che hanno colpito gli assistenti vocali e gli smart speaker (gli “altoparlanti intelligenti” che li integrano) dei giganti digitali, sul tema della privacy, proprio in un momento di grande crescita del mercato.

Le accuse riguardano l’ascolto delle registrazioni degli utenti da parte del personale addetto al controllo qualità e al miglioramento del prodotto e i problemi che ne derivano sono molto seri e dalle molteplici e gravi implicazioni sia per la privacy e la protezione dei dati degli utenti sia per la corsa dei giganti digitali in questo promettente settore.

Ripercorriamo le inchieste che hanno fatto emergere le violazioni, le risposte delle aziende interessate e i problemi aperti e le iniziative avviate dalle Autorità.

Le inchieste e i leak

Ad aprile, Bloomberg ha dedicato un’inchiesta ai team di Amazon che ascoltano le richieste effettuate dagli utenti ad Alexa, l’assistente vocale della società di Jeff Bezos, allo scopo di migliorare il servizio. Dagli USA alla Romania, dalla Costa Rica all’India, migliaia di impiegati controllano i comandi vocali, potenzialmente, di milioni di persone. Ricevono gli audio, li trascrivono e verificano se le risposte di Alexa sono appropriate, scegliendo l’opzione migliore o suggerendone una nuova. Amazon ha dovuto ammettere tale pratica e si è difesa asserendo di averne dato conto nelle propria privacy policy. In realtà, nel documento si fa presente la possibilità di un utilizzo delle registrazioni vocali degli utenti per il miglioramento del prodotto, ma non viene detto che ad ascoltarle possano essere degli umani.

Quasi contemporaneamente la BBC, richiamando Bloomberg, ha allargato il discorso ad Apple e Google. Nelle loro privacy policy le due aziende, al contrario di Amazon, avvertono espressamente della possibilità che i comandi vocali vengano ascoltati da “personale umano”. Tuttavia, la testata britannica affronta i dettagli di tale pratica nelle società di Cupertino e Mountan View, ponendo attenzione ai possibili problemi di privacy. A luglio, The Wall Street Journal si concentra su Alphabet di Google e The Guardian diffonde un leak riguardante Apple. Secondo un anonimo dipendente, le aziende appaltatrici del controllo qualità di Siri avrebbero accesso anche a registrazioni che, effettuate senza la volontà degli utenti, spesso contengono informazioni sensibili come problemi di salute, rapporti sessuali o anche affari criminali. Oltre a ciò, l’informatore sostiene che gli operatori verrebbero in possesso di localizzazione e di altri dati personali relativi agli audio (circostanza negata da Apple che assicura di utilizzare forme di deidentificazione).

Ad agosto, Bloomberg pubblica un’altra inchiesta in cui, sempre citando anonimi dipendenti, rivela che Facebook appalta ad altre aziende la trascrizione dei messaggi vocali della chat Messenger. Negli stessi giorni, Motherboard svela che anche Microsoft fa ascoltare a dipendenti sotto contratto le registrazioni degli utenti, sia le conversazioni di Skype attraverso il servizio di traduzione simultanea, sia i comandi vocali effettuati all’assistente vocale Cortana, e per Xbox anche con la camera frontale Kinect.

Le reazioni e le strategie dei giganti digitali

Di fronte alle inchieste, ai leak e alle polemiche, i giganti digitali ovviamente hanno rilasciato dichiarazioni in cui ribadiscono il loro impegno a tutela della privacy degli utenti, ma concretamente hanno reagito in modi differenti.

Microsoft ha deciso di sospendere l’ascolto delle registrazioni solo per Xbox, mentre per quanto riguarda Skype e Cortana la pratica verrà esplicitata nella privacy policy e continuerà ad essere regolarmente svolta. In questo modo l’azienda di Bill Gates punta a continuare i propri progetti adeguandosi alle richieste di trasparenza.

Amazon ha annunciato una modifica ai termini di contratto, con cui sarà possibile declinare il consenso all’ascolto delle registrazioni da parte di “personale umano”. La società di Jeff Bezos non vuole rinunciare alla possibilità di migliorare manualmente gli algoritmi, ma è pronta a lasciare agli utenti la possibilità di tirarsi fuori dal programma.

Google e Apple, essendo sottoposte ad inchiesta da parte delle autorità di controllo europee in tema di privacy e di dati personali, hanno dichiarato di avere interrotto completamente l’ascolto dei comandi vocali dei loro utenti, rispettivamente da luglio e agosto. La differenza è che Google presentava già delle possibilità di restrizione dell’adesione, mentre finora per il funzionamento di Siri è stata necessaria l’accettazione completa dei termini di servizio. Apple, che afferma di avere ascoltato solo l’1% circa delle interazioni vocali, ha comunque annunciato che nei prossimi aggiornamenti sarà introdotta un’opzione di consenso specifica.

Privacy e dati personali: i problemi aperti

L’ascolto di registrazioni degli utenti da parte di dipendenti dei giganti digitali, o delle società appaltatrici, pone una serie di problemi relativi alla privacy e alla protezione dei dati personali.

Il primo è quello della trasparenza: nella maggior parte dei casi le privacy policy avvertono del possibile utilizzo degli audio registrati ma non specificano le modalità, che includono l’ascolto da parte di “personale umano”.

Un secondo tema è quello del controllo dell’effettivo rispetto della privacy da parte degli addetti. Da una parte è vero che sono previste clausole di non divulgazione, ma dall’altra gli uffici dedicati all’ascolto e alla trascrizione delle registrazioni hanno un alto tasso di ricambio ed è quindi difficile assicurare che la privacy venga mantenuta a lungo termine. Inoltre, va verificata l’anonimizzazione dei contenuti.

Spesso gli audio contengono dati critici come estremi bancari, indirizzi personali ecc. Oltre a ciò, in molti casi i dispositivi si attivano accidentalmente: il francese avec ça può essere scambiato per Alexa, lo spagnolo hecho per Echo, mentre per attivare Siri su Apple Watch basta avvicinare anche involontariamente quest’ultimo alla bocca. Le registrazioni non volute possono contenere informazioni che l’utente non vorrebbe condividere, come dati medici o rapporti sessuali.

Queste ed altre problematiche sono attualmente oggetto d’esame da parte delle autorità regolatrici statunitensi ed europee. Nell’UE, l’Autorità tedesca per la protezione dei dati personali (Hamburg DPA) e il commissario europeo Johannes Caspar hanno sollevato dubbi sull’adeguatezza di Google Assistant al GDPR. Negli USA, a fare da apripista è una class action promossa da privati contro Apple in una corte federale della California, che dovrà stabilire la compliance dell’azienda, tra altre leggi, al California’s Invasion of Privacy Act e al Consumers Legal Remedies Act.

La questione rischia di influenzare la corsa dei giganti digitali americani in un momento di grande crescita del mercato mondiale degli smart speaker: Amazon e Google si confermano rispettivamente al primo e al secondo posto (Apple è al sesto), continuando a crescere in numeri assoluti, ma cominciano a perdere percentuali di mercato a favore dei concorrenti cinesi (che hanno comunque un vasto mercato interno), primo fra tutti Baidu.

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