L’evoluzione continua delle minacce informatiche ha messo in crisi le strategie di difesa tradizionali. Attacchi ransomware, violazioni dei dati e compromissioni della supply chain sono sempre più frequenti, colpendo indistintamente organizzazioni di ogni tipo.
Indice degli argomenti
Perché il modello zero trust è necessario
In questo scenario, il modello zero trust si impone come approccio indispensabile per affrontare i rischi attuali, grazie al suo principio cardine: “mai fidarsi, verificare sempre”.
Perché il paradigma classico non regge più
Per anni la sicurezza IT si è basata su un modello perimetrale, dove ciò che avveniva all’interno della rete era considerato sicuro. Ma l’affermazione del lavoro da remoto, la diffusione del cloud e l’interconnessione con partner e fornitori hanno reso questo schema obsoleto. Le minacce oggi si infiltrano sfruttando credenziali rubate, falle nei software o accessi non protetti, eludendo facilmente i controlli. A ciò si aggiunge l’adozione massiccia di dispositivi IoT e l’automazione dei processi, che ampliano ulteriormente la superficie d’attacco, richiedendo un controllo costante e rigoroso.
Minacce alla supply chain e il modello zero trust
Un ulteriore elemento critico è rappresentato dagli attacchi alla supply chain, che mirano a sfruttare l’accesso privilegiato di fornitori terzi per penetrare le infrastrutture aziendali. In questo contesto, i Managed Service Provider (MSP) e i Managed Security Service Provider (MSSP) sono tra i bersagli principali, poiché gestiscono ambienti IT complessi e interconnessi per conto di più clienti. Le campagne condotte contro queste realtà hanno evidenziato l’uso sempre più sofisticato di tecniche di phishing, furto di credenziali e compromissione di strumenti di gestione remota, rendendo indispensabile una strategia di sicurezza più robusta.
I pilastri del modello zero trust
L’approccio zero trust si fonda su alcuni principi essenziali, pensati per eliminare qualsiasi presunzione di fiducia implicita nei sistemi IT:
- Verifica costante dell’identità: ogni utente e dispositivo deve essere autenticato e autorizzato a ogni accesso, indipendentemente da dove si trovi.
- Privilegi minimi: vengono concessi solo i permessi strettamente necessari, riducendo l’impatto in caso di compromissione.
- Segmentazione della rete: la suddivisione in zone isolate impedisce agli attaccanti di muoversi liberamente all’interno dell’infrastruttura.
- Monitoraggio continuo: l’analisi costante delle attività di rete e del comportamento degli utenti consente di individuare tempestivamente eventuali anomalie.
Come implementare un’architettura zero trust
Adottare una strategia zero trust richiede un ripensamento complessivo della sicurezza aziendale. Dalla mappatura delle risorse critiche alla gestione rigorosa degli accessi, ogni fase deve essere supportata da tecnologie avanzate come l’autenticazione multifattore (MFA), le soluzioni di Endpoint Detection and Response (EDR) e i sistemi di analisi comportamentale basati su AI.
Un elemento centrale è la micro-segmentazione, che consente di contenere rapidamente eventuali violazioni limitandone la propagazione. Inoltre, le soluzioni di threat intelligence offrono un vantaggio strategico: identificare segnali d’allarme prima che si trasformino in incidenti, rafforzando la prevenzione.
Cybersecurity proattiva e resilienza digitale
Affiancare al modello zero trust un approccio proattivo alla sicurezza è oggi imprescindibile. Non si tratta più solo di rispondere agli attacchi, ma di anticiparli, riducendone l’impatto grazie a strumenti di threat intelligence, automazione della risposta e analisi predittiva.
Un concetto sempre più rilevante è quello di cyber resilience: la capacità di garantire continuità operativa anche in caso di attacco. In quest’ottica, soluzioni come backup immutabili e sistemi di disaster recovery avanzati sono fondamentali per il ripristino sicuro dei dati, proteggendoli da ogni tentativo di manipolazione.
Un aspetto di crescente importanza è la conformità normativa. La Direttiva NIS2, adottata a livello europeo, impone requisiti di sicurezza più stringenti, estendendo l’obbligo di adeguamento anche a organizzazioni di medie dimensioni, provider IT e soggetti della filiera digitale. L’obiettivo è rafforzare la resilienza complessiva dei settori critici, migliorando la capacità di risposta agli incidenti e riducendo i rischi lungo tutta la supply chain.
Rischi degli strumenti di gestione remota
In particolare, l’abuso degli strumenti di Remote Monitoring and Management (RMM) da parte degli attaccanti rappresenta una delle minacce più insidiose. Utilizzati per gestire da remoto i sistemi, se mal configurati, questi strumenti possono diventare un vettore di attacco potente e difficilmente rilevabile. Tecniche come il “Living-off-the-Land”, che sfruttano strumenti legittimi già presenti nei sistemi, consentono ai cybercriminali di mimetizzarsi tra le attività quotidiane, eludendo le difese tradizionali.
Soluzioni concrete per il modello zero trust
Esistono piattaforme in grado di offrire alle aziende un supporto concreto per adottare un modello Zero Trust e una sicurezza proattiva, grazie all’integrazione di AI e machine learning, che consente di rilevare pattern di attacco in tempo reale, bloccare accessi sospetti e applicare politiche basate sul principio del privilegio minimo.
Adottare un approccio zero trust, integrato con pratiche proattive di cybersecurity, è la strategia più efficace per affrontare le minacce odierne. In un contesto in cui gli attacchi sono sempre più sofisticati e mirati, le organizzazioni devono investire in tecnologie intelligenti e in una cultura della sicurezza basata sulla prevenzione. Un approfondimento su questi temi è disponibile nel rapporto Clusit 2025.