Dalla Relazione 2019 presentata ieri in Parlamento dal Presidente dell’Autorità Garante per la Protezione dei dati personali è emerso, mai come in questo anno, il ruolo di primo piano giocato dal diritto alla protezione dei dati personali.
Un diritto che nelle parole del Garante è stato appassionatamente descritto come un “diritto inquieto, perché in costante evoluzione e mai tiranno, perché capace di porsi sempre in equilibrio con gli interessi giuridici che di volta in volta vengano in rilievo”.
Un diritto che ha dovuto scontrarsi con temi etici e giuridici di importanza capitale e che a seconda delle esigenze è stato investito di volta, in volta di “un essenziale ruolo arbitrale tra diritti fondamentali”.
L’emergenza epidemiologica vissuta in questi mesi ci ha messo di fronte alla spinosa questione della “devoluzione alla dimensione immateriale di pressoché tutte le nostre attività” con i tutti i rischi derivanti sul piano etico e democratico di questa svolta; come ha sottolineato il Garante senza il fondamentale supporto di quelle “adeguate garanzie” che sono il patrimonio genetico del diritto alla protezione dei dati personali, non solo la società civile ma anche gli Stati si troverebbero esposti ad “inattese vulnerabilità in termini non solo di sicurezza informatica ma anche di soggezione a ingerenze e controlli spesso più insidiosi, perché meno percettibili di quelli tradizionali”.
I temi chiave della relazione annuale del Garante Privacy 2019
Antonello Soro ha toccato temi delicatissimi e cruciali dinnanzi al Parlamento come quello al rapporto tra giustizia, tecnologia e dignità messi in risalto emersi dalla mai sopita discussione intorno al c.d. trojan di stato e più in generale al tema delle intercettazioni, croce e delizia della giustizia italiana.
Altro tema trasversalmente trattato dal Garante è stato quello dello strapotere, spesso occulto e non immediatamente percepibile di alcuni titani del Web, “convitati di pietra” dei sistemi democratici ed economici attuali. Un potere descritto come oligopolista e rilevantissimo (“dipendenza da poteri privati”) in quanto capace di orientare il pensiero sfruttando la potenza dei dati prima ancora prima ancora di conquistare il mercato.
La sfida per i prossimi anni
La sfida, che è stata la bussola dell’attuale Collegio ed è divenuta il lascito ereditario per i suoi successori è chiara: rendere il diritto alla protezione dei dati personali “fino in fondo, cultura e sentire diffuso di tutti. Che, come tale, deve essere affidata non alla deterrenza o alla repressione sanzionatoria ma alla consapevolezza di come la sostenibilità del futuro dipenda, in larga parte, dalla tutela che sapremo accordare ai frammenti del nostro io e del nostro vissuto”.