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Greener shipping: l’ineludibile transizione ecologica nel settore marittimo

Sembra ormai inevitabile il passaggio a un Greener Shipping nel trasporto marittimo internazionale, a partire dalle acque polari (Polar Code e Marpol). Servono però l’intervento di tutti gli attori coinvolti nella catena del valore, in primis aziende di beni di consumo e piattaforme di vendita globali, e molta tecnologia

Pubblicato il 18 Nov 2022

Achille Pierre Paliotta

Ricercatore INAPP

cargo

“New technologies for greener shipping” è stato lo slogan scelto come tema marittimo mondiale per il 2022. Questo tema offre l’opportunità di mettere in evidenza l’importanza della transizione ecologica nel settore marittimo e sulla necessità di ricostruire in modo migliore e più verde, grazie alle nuove tecnologie, un mondo post pandemia che sia anche il più sostenibile possibile. Il Consiglio dell’International Maritime Organization (IMO), riunitosi per la sua 125ª sessione, nei mesi scorsi (28 giugno-2 luglio), aveva approvato, difatti, tale tema proposto del segretario generale Kitack Lim.

Cargo pollution: Setting sail for greener seas

Cargo pollution: Setting sail for greener seas

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Greener shipping: i progetti più significativi dell’International Maritime Organization

Decarbonizzazione, rifiuti plastici marini e biofouling (la formazione di un’incrostazione di esseri viventi su una superficie artificiale a contatto permanente con l’acqua) sono tra i progetti più significativi portati avanti dall’IMO (GloFouling Partnerships Project, GloLitter Partnerships Project, The Global MTCC Network). Tutti essi mirano a sostenere e promuovere l’innovazione e le tecnologie verdi (green tech).

Le partnership pubblico-private, dunque, oltre a quelle già citate anche l’alleanza Cargo Owners for Zero Emission Vessels (coZEV), brevemente illustrata nel proseguo, che vede protagonisti molti player tecnologici globali, sono cruciali per raggiungere gli obiettivi previsti ai fini della transizione ecologica.

Gas serra: l’impronta del settore del trasporto marittimo

A questo riguardo, il settore del trasporto marittimo emette più di 1 miliardo di tonnellate di gas serra (greenhouse gases, GHG) all’anno, includendovi l’anidride carbonica (CO2), il metano (CH4) e l’ossido di azoto (N2O). Le stime più recenti, desumibili dal quarto rapporto IMO) “Fourth IMO GHG Study 2020” mostrano che le emissioni di GHG del trasporto marittimo internazionale, nazionale e della pesca sono aumentate da 977 milioni di tonnellate del 2012 ai 1.076 milioni del 2018 (+9,6%), soprattutto a causa del continuo incremento del commercio marittimo globale. La quota delle emissioni del trasporto marittimo, sulle emissioni globali di GHG, è così aumentata dal 2,76% del 2012 al 2,89% del 2018 e potrebbe raggiungere il 10% entro il 2050 se l’industria dovesse continuare a fare affidamento su combustibili ad alta intensità di carbonio. Il trasporto marittimo produce anche dal 10 al 15% delle emissioni di ossido di zolfo (NOx) e N2O prodotte nel mondo. Per mitigare questi impatti negativi, e allinearsi con gli obiettivi dell’accordo di Parigi, il settore marittimo dovrebbe adottare combustibili a zero emissioni di carbonio entro la metà degli anni 2020, utilizzarli su larga scala entro il 2030 ed essere completamente decarbonizzato entro il 2050.

Sebbene sia troppo presto per valutare quantitativamente l’impatto della crisi pandemica da COVID-19 sulle proiezioni delle emissioni, è chiaro che le emissioni nel 2020 e nel 2021 saranno significativamente più basse. In questo senso, a seconda delle traiettorie di recovery delle economie dei Paesi più sviluppati, nei prossimi anni, le emissioni potrebbero essere inferiori di qualche punto percentuale rispetto alle previsioni oppure, all’inverso, se vi sarà una forte ripresa economica, molta parte delle riduzioni attuali potrebbe annullarsi. Come già menzionato in precedenza, tuttavia, senza un deciso intervento da parte di tutti gli attori coinvolti nella catena del valore marittima, in primis aziende di beni di consumo e piattaforme di vendita globali, l’impronta delle emissioni del trasporto marittimo potrebbe triplicare entro il 2050.

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Come raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni?

Sempre a livello di quadro generale, tre tipologie di navi rimangono la fonte dominante delle emissioni di GHG: il trasporto dei container, le navi portarinfuse (bulk carrier) e le petroliere. In aggiunta alle navi chimichiere, alle navi da carico generale e alle navi cisterna per gas liquefatti, tutte queste tipologie rappresentano l’86,5% delle emissioni totali del trasporto marittimo internazionale.

Lo studio IMO dimostra inoltre che, sebbene sia possibile limitare ulteriormente le emissioni di carbonio del trasporto marittimo, sarà difficile raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di GHG solo attraverso tecnologie di risparmio energetico e di riduzione della velocità delle navi. Pertanto, in tutti gli scenari previsti, una buona parte della quantità totale di riduzione delle emissioni di CO2 dovrà provenire dall’uso di combustibili alternativi, a basse emissioni di carbonio e a zero emissioni di carbonio.

La pericolosità ambientale dell’olio combustibile pesante

A tutt’oggi, l’olio combustibile pesante (heavy fuel oil, HFO) rimane il combustibile dominante nel trasporto marittimo internazionale (79% del consumo totale di combustibile, nel 2018). L’HFO viene utilizzato principalmente come fonte di carburante per la propulsione di navi marittime, a partire almeno dalla metà del XIX secolo, grazie al suo costo relativamente basso rispetto a tutti gli altri oli combustibili distillati (fino al 30% meno costoso) nonché grazie ai requisiti normativi storicamente permissivi, secondo molti critici, fissati dalla stessa IMO, per le emissioni di NOx e anidride solforosa (SO2). L’HFO è costituito dai residui delle fonti petrolifere una volta estratti gli idrocarburi di qualità superiore mediante processi come il cracking termico e catalitico. Pertanto, l’HFO è anche comunemente indicato come olio combustibile residuo mentre i distillati sono i prodotti petroliferi creati attraverso la raffinazione del greggio e comprendono diesel, cherosene, nafta e gas. La composizione chimica dell’HFO è molto variabile a causa del fatto che quest’ultimo viene spesso miscelato con i distillati al fine di ottenere determinate caratteristiche di viscosità e flusso, per obiettivi specifici. La pericolosità ambientale dell’HFO è acclarata, tanto che il suo uso, attualmente, è vietato come fonte di carburante per le navi che viaggiano nelle acque antartiche come parte del Codice internazionale IMO (Polar Code), adottato nel 2014 ed entrato in vigore il 1° gennaio 2017. Ad oggi, invece, le navi sono incoraggiate a non utilizzare o trasportare l’HFO nelle acque artiche. Dovrebbe essere, però, solo questione di tempo in quanto la settima sessione del sottocomitato Pollution Prevention and Response (PPR) dell’IMO, nel corso del 2020, ha approvato il divieto all’uso e al trasporto per l’uso come combustibile dell’HFO, nelle acque artiche, a partire dal 1° luglio 2024.

Il Polar Code e la Convenzione MARPOL

In generale, il Polar Code è obbligatorio sia ai sensi della Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS) che della Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento provocato dalle navi (MARPOL), i cui prodromi risalgono all’International Convention for the Prevention of Pollution of the Sea by Oil del 1954.

La Convenzione MARPOL include regolamenti volti a prevenire e ridurre al minimo l’inquinamento provocato dalle navi – sia quello accidentale che quello delle operazioni di routine – e comprende attualmente sei allegati tecnici, qui di seguito riportati: Allegato I Regolamento per la Prevenzione dell’inquinamento da petrolio (entrato in vigore il 2 ottobre 1983); Allegato II Regolamento per il Controllo dell’inquinamento da sostanze liquide nocive alla rinfusa (entrato in vigore il 2 ottobre 1983); Allegato III Prevenzione dell’inquinamento da sostanze nocive trasportate via mare in forma imballata (entrato in vigore il 1° luglio 1992); Allegato IV Prevenzione dell’inquinamento da acque reflue delle navi (entrato in vigore il 27 settembre 2003); Allegato V Prevenzione dell’inquinamento causato dai rifiuti delle navi (entrato in vigore il 31 dicembre 1988); Allegato VI Prevenzione dell’inquinamento atmosferico causato dalle navi (entrato in vigore il 19 maggio 2005).

Ed è proprio in relazione all’Allegato I che vengono fissati limiti alle emissioni di ossido di zolfo e ossido di azoto dagli scarichi delle navi e vengono vietate le emissioni deliberate di sostanze dannose per l’ozono, così come vengono stabiliti standard più rigorosi per SOx, NOx e particolato. Per arrivare a tempi più recenti, un capitolo adottato nel 2011, riguarda le misure tecniche e operative obbligatorie di efficienza energetica volte a ridurre le emissioni di GHG delle navi.

L’importanza, anche geopolitica, delle aree polari e le misure per tutelarle

Questo breve excursus al fine di evidenziare come, alla luce dell’aumento del traffico nelle aree polari, stante anche una sempre più evidente strategicità geopolitica delle stesse, si debbano considerare queste ultime come delle aree ecologiche sensibili, caratterizzate da una maggiore intensità di risposta ai cambiamenti climatici, dovuti anche alle somiglianze e dissomiglianze specifiche tra i due ambienti. L’Artico è, difatti, un oceano circondato da continenti mentre l’Antartico è un continente circondato da un oceano. Se si prende in esame, ad esempio, il ghiaccio marino le differenze sono significative in quanto quello antartico si ritira in modo significativo durante la stagione estiva mentre quello artico è connotato da una notevole quantità di ghiaccio pluriennale. La somiglianza maggiore è data, invece, che ambedue gli ambienti marini sono ugualmente vulnerabili alle sfide ambientali poste dall’HFO le quali si possono brevemente sostanziare nel rischio di fuoriuscite o scarichi accidentali e nell’emissione di black carbon a seguito del consumo di HFO.

La notizia positiva che si può tuttavia desumere dal quarto rapporto IMO, è che si sta verificando un cambiamento significativo nel mix di combustibili utilizzati nel trasporto marittimo internazionale. La percentuale di consumo di HFO si è ridotta, difatti, di circa il 7% (con una riduzione assoluta del 3%), mentre le quote di consumo di gasolio marino (marine diesel oil, MDO) e di azoto liquido (liquid nitrogen gas, GNL) sono cresciute rispettivamente del 6 e dello 0,9% (con incrementi assoluti del 51% e del 26%). Anche l’utilizzo del metanolo si è fortemente sviluppato e si stima che esso sia, a tutt’oggi, il quarto combustibile più utilizzato, con un consumo di circa 130.000 tonnellate, nel 2018, sulle rotte internazionali (160.000 tonnellate rispetto al consumo totale).

Conclusioni

Si tratta di buone notizie che fanno ben sperare in quanto il trasporto marittimo è considerato di difficile decarbonizzazione a causa della natura globale e distribuita del settore e della mancanza di alternative energetiche valide. La situazione attuale è, tuttavia, profondamente mutata grazie ai prezzi dei combustibili fossili a seguito dell’invasione da parte della Federazione Russa dell’Ucraina, del duplice processo di transizione ecologica e digitale promossa dall’Unione europea, degli ingenti investimenti in tecnologie emergenti green (green tech) nonché della crescente pressione pubblica in direzione di soluzioni energicamente sostenibili.

In questo mutato contesto, non mancano dunque lodevoli iniziative intraprese dalle principali corporations anche a seguito di specifiche iniziative al riguardo, quale vale qui citare l’alleanza Cargo Owners for Zero Emission Vessels (coZEV), promossa dall’Aspen Institute. Tra i partecipanti a quest’iniziativa, la quale mira a incrementare la domanda di prodotti trasportati a zero emissioni, vi sono alcuni fornitori maggiori di merci quali Amazon, Unilever, IKEA, Inditex, Michelin e Patagonia, tra altri, i quali si sono impegnati a raggiungere la completa decarbonizzazione del trasporto delle loro merci, entro il 2040. Quest’iniziativa è oltremodo cruciale in quanto rappresenta un importante segnale per la catena del valore marittima, vale a dire che i maggiori clienti del trasporto merci desiderano spedizioni a zero emissioni di carbonio e si aspettano che l’industria del trasporto marittimo acceleri rapidamente i suoi sforzi di decarbonizzazione negli anni a venire. Nello stesso tempo, l’iniziativa coZEV mostra che vi è un sempre maggiore interesse, da parte delle aziende di beni di consumo e delle piattaforme di vendita globali, a promuovere un mercato economicamente sostenibile, per la spedizione a zero emissioni di carbonio. In ultimo, a livello di governance istituzionale globale, anche l’IMO sta lavorando a un progetto strategico di riduzione delle emissioni assolute di GHG di almeno il 50% entro il 2050 rispetto al totale delle emissioni prodotte nel 2008.

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