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Mission Ocean: un gemello digitale interoperabile per salvare gli oceani

Mission Ocean consiste nel conoscere, recuperare, proteggere e costruire una relazione equilibrata fra i comportamenti dell’essere umano e i nostri oceani e le nostre acque. Per ottenere il successo serve una “costellazione” di gemelli digitali per ciascuna delle numerose componenti. Ma la parola chiave è “interoperabilità”

Pubblicato il 23 Mag 2022

Francesco Beltrame Quattrocchi

Ordinario di Bioingegneria Università degli Studi di Genova; Presidente di ENR - Ente Nazionale di Ricerca e promozione per la standardizzazione

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Progettare e realizzare digital twin interoperabili per la Mission Ocean europea – che si prefigge di recuperare, proteggere e costruire una relazione equilibrata fra i comportamenti dell’essere umano e i nostri oceani e le nostre acque può essere (e forse dovrebbe) un milestone ineludibile per rendere credibile la missione medesima nei diversi scenari del pianeta.

Ma è una strada praticabile?

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Cos’è la Mission Ocean

L’oceano e le acque sono il sistema che consente la vita, la nostra esistenza, la nostra economia e lo stato di salute della terra, il nostro Pianeta Blu. Azioni sconsiderate a dinamica negativa crescente, mai messe in atto nel passato dagli esseri umani, pongono sfide ad alta criticità, tali da mettere a rischio grave i nostri oceani, mari, coste, fiumi e laghi e i loro corrispondenti ecosistemi. La Commissione Europea, al di là dei suoi Programmi propri di R&D e Innovazione, ha in tempo percepito la gravità e la portata del problema, giungendo a classificarlo come una vera e propria “missione” ad alta priorità. La Mission Ocean consiste nel conoscere, recuperare, proteggere e costruire una relazione equilibrata fra i comportamenti dell’essere umano e i nostri oceani e le nostre acque, capace di funzionare in modo efficace ed efficiente per noi e per il pianeta. In estrema sintesi, il messaggio è: operiamo tutti in modo da rendere nuovamente blu il nostro oceano e le nostre acque.

Le Missioni Europee di R&D e Innovazione (assai limitate per numero, ma tutte ad alta priorità), ispirate in parte al modello della missione Apollo 11: “mandiamo l’uomo sulla luna”, hanno come obiettivo quello di produrre come risultato un insieme di soluzioni percorribili per far fronte alle sfide più alte e complesse di fronte alle quali si trova il mondo nel tempo attuale. La Mission Ocean è guidata a Bruxelles da Sieglinde Gruber – EC, Active Senior Advisor and former Head of Unit Healthy Oceans and Seas, persona di grande esperienza, già dal 2014 a capo della Marine Resources Unit, parte del Directorate General for Research and Innovation della Commissione Europea, dunque attrice in prima persona della definizione e della attuazione degli obiettivi e delle priorità di ricerca e innovazione a supporto della politica marittima integrata europea e, in particolare, della ben nota Blue Growth Agenda.

Il paradigma del gemello digitale applicato a Mission Ocean

Fin dall’inizio, Sigi Gruber, ben consapevole da un lato della complessità del problema da affrontare e, dall’altro, dell’armamentario tecnologico disponibile per affrontarlo, in particolare sul versante ICT, ha concepito bandi (call) che suggerivano l’adozione di quello che è il conosciuto paradigma del gemello digitale (digital twin), soprattutto in considerazione della necessità di costruire soluzioni a dinamica variabile (dunque non statiche), portabili, scalabili e a costi sostenibili, pure essi assai variabili in funzione dello scenario geografico applicativo concreto.

È noto a tutti cosa si intenda con gemello digitale di un oggetto o di un processo: in buona sostanza, una simulazione a computer, a diversi livelli di sofisticazione tecnologica (anche in forma distribuita), che consente di seguire in tempo pressocché reale la vita dell’oggetto o del processo medesimo, dalla sua ideazione (nascita), al suo sviluppo, alla sua manutenzione nelle sue diverse applicazioni fino al suo degrado e alla sua uscita di scena. Così, tanto per fare qualche esempio, è possibile fare un digital twin di una matita o di una gru o di una nave. Più delicata la questione di intuire (prima) e applicare (poi) la metodologia tecnologica del gemello digitale al problema di Mission Ocean, di immediata percezione per questione di dimensionalità (si potrebbe dire, in termini ICT, di big data, ovviamente nelle diverse accezioni di questo termine), ma ben più difficile da intendere rispetto all’effettiva potenza di fuoco dispiegabile ove si ponga più attenta riflessione al merito del tema.

Un primo spunto che consente di intravedere il percorso da intraprendere si può avere dalla lettura del recente articolo[1] dove viene offerto al lettore un quadro molto specifico delle numerose e diverse tecnologie hw (sensori, chip, boe a rete mesh) e sw ( algoritmi di machine learning) necessarie ove si volesse costruire un digital twin limitatamente all’aspetto “profondo del mare”, capace di portare tutte le informazioni rilevate a terra (compreso il problema del passaggio da banda acustica a radiofrequenza). In realtà, le prime call di Mission Ocean sono state concepite così, si potrebbe dire “per parti”.

Una costellazione di gemelli digitali

Quanto rappresentato, a titolo di esempio per “il profondo del mare”, ha da essere replicato, con le dovute variazioni del caso, per altri aspetti rilevanti di Mission Ocean: certamente un modello digitale per ciò che viaggia sul mare e sulle acque, ossia digital twin di navi di varia natura e funzione, un modello per i porti che si affacciano sugli oceani, un altro per la questione della pesca, un altro per le piattaforme marine offshore dedicate al deep sea mining, un altro per i fiumi interni, uno per le coste che affacciano gli oceani e così via. Si può arrivare così, con tutta evidenza, ma non senza fatica, a cercare di mettere a punto una vera e propria “costellazione” di gemelli digitali per ciascuna delle numerose componenti che appartengono a Mission Ocean. Ogni gemello digitale potrebbe così, in linea teorica, essere utilmente impiegato come elemento di previsione strategica di un determinato segmento, quale per esempio, l’evoluzione della portualità nel futuro, con forte risparmio di risorse grazie al fatto di non dover ricorrere ad alcun prototipo reale.

Un rischio sottile da non sottovalutare

La prima positiva conclusione è che l’adozione della metodologia digital twin porta, per ciascun settore applicativo parte di Mission Ocean, un proprio valore. Tuttavia, qui si nasconde un rischio sottile che merita (e Gruber lo ha sensibilmente recepito) di essere evidenziato. Il punto cruciale sta nell’osservazione che all’interno di Mission Ocean interagiscono in modo dinamico e importante diversi sottosistemi (quello cha sta sotto il mare, quello che ci passa sopra, i porti, etc.), i quali rispondono a modelli culturali e corrispondenti logiche economiche profondamente diversi, non necessariamente convergenti rispetto all’obiettivo principale e prioritario di Mission Ocean.

L’interoperabilità è la chiave

Se, molto probabilmente, tale convergenza è utopistica nel breve e medio periodo, il ricorso a un’altra rilevante proprietà dei digital twin potrebbe offrire almeno la speranza di percorrere un pezzo di strada verso il main goal di Mission Ocean. Essa consiste nella possibilità di progettare e realizzare sistemi digitali (cui i digital twin appartengono) con caratteristiche di interoperabilità. Scritto in termini pratici, il digital twin del mare profondo, quello delle navi, quello dei porti debbono essere almeno concepiti da subito per potersi “parlare” fra loro, ossia per scambiarsi dati e informazioni, in modo da un lato di evitare necessità di duplicazioni, dall’altro di offrire “semi informativi” capaci di aiutare a disegnare una strategia integrata per Mission Ocean e, in particolare, per la Blue Growth Agenda di cui tanti convegni discutono. Concepire e sviluppare un digital twin integrato per Mission Ocean otterrebbe l’effetto di un valore ben superiore alla semplice somma dei valori pertinenti a ciascuno dei digital twin appartenenti alla costellazione di cui sopra e, probabilmente, potrebbe essere elemento costitutivo per la soluzione sul lungo e lunghissimo periodo come risultato di Mission Ocean.

Note

  1. Alessandro Longo su Il Sole 24 Ore del 21 aprile 2022, a pagina 21, dal titolo: “Com’è connesso (e perché) il mare nel suo profondo”

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