Parlare di sostenibilità oggi, in architettura e edilizia, significa necessariamente parlare di innovazione e incrociare percorsi e tendenze che ci mostrano possibili evoluzioni e alternative rispetto allo “status quo” costruttivo e anche compositivo.
Vulnerabilità termica, vulnerabilità acustica, vulnerabilità prestazionale e di durabilità e, non da ultimo, vulnerabilità sismica delle nostre costruzioni ci indicano, chiaramente e da tempo, che il trend e la visione in architettura devono cambiare radicalmente, sia per il nuovo che per il recupero.
Smart city alla sfida sostenibilità, tutti i vantaggi e i rischi
Lo scheletro cementizio, tamponato con blocchi laterizi (noto come laterocemento) e poi scarsamente isolato è di fatto ancora tecnologia dominante. Affermatosi su larga scala in Italia dopo la Seconda guerra mondiale, per la sua “economia” di produzione, ha mischiato il concetto di telaio a quello di tamponamento murario, creando di fatto un ibrido debole, molto vulnerabile.
Dal punto di vista della composizione architettonica purtroppo, in molte università italiane, il processo di design è restato formalista e vetusto, non al passo con la contemporaneità e con le attuali e future esigenze.
Ci sono alternative per il futuro? Cosa mostra già oggi il mercato?
Innovazione e sostenibilità in architettura
Con le sue velocissime dinamiche, è da sempre miglior stimolo all’innovazione e in esso si nota il forte avanzamento di sistemi costruttivi industrializzati, prodotti “off site” e assemblati poi in cantiere. Metallo, legno, anche materiali cementizi, oppure laterizi, ma per facciate ventilate, componenti, materassini isolanti, serramentistica avanzatissima sono sempre più presenti e garantiscono qualità controllata. La loro peculiarità è di essere connessi mediante un processo meccanico e a secco; di stratificazione di elementi costruttivi (anche a livello industrializzato) e di assemblaggio di porzioni discretizzate in cantiere.
Tempo fa scrissi un libro per Il Sole 24 dal titolo Meccanica dell’Architettura. In esso si esprimeva un modo differente di concepire il processo costruttivo; fabbricare un edifico implica che esso nasca da una fabbrica (o da molte industrie e poi venga assemblato in parti). Le sue porzioni discretizzate si ricompongono nella “fabbrica di cantiere”, luogo di assemblaggio e connessione di strati ed elementi costruttivi in un sistema tridimensionale complesso. Questo processo ricorda una sorta di supply chain, contemporanea ed efficiente, e dal punto di vista formale/estetico non impone i vincoli e rigidità tipiche della temuta prefabbricazione del boom economico anni 60-70 del secolo scorso.
Ha senso tutto ciò verso la parola magica sostenibilità? Questo diverso paradigma costruttivo si basa proprio, come molte filiere industriali a cui siamo abituati (automotive, aerospaziale, comunicazioni e così via), su alcuni cardini, tipici della sostenibilità industriale: leggerezza, disassemblabilità, ottimizzazione, controllo di qualità, economia, serialità personalizzabile.
Il processo tecnologico, di fabbricazione in cantiere per connessione piuttosto che per creazione del manufatto è fattore di sicuro stimolo all’innovazione sostenibile, più che mai necessaria visti i drammatici cambiamenti climatici (di cui le costruzioni e la loro gestione, nell’intero processo di produzione e uso, sono causa per oltre il 40% del totale).
Efficienza energetica degli edifici: lo stato dell’arte in Italia
Gli edifici ad elevata efficienza energetica, che la UE chiama da tempo NZEB – Nearly Zero Energy Buildings- sono edifici del futuro di cui però si notano già molte esperienze e possibilità nella prassi ordinaria, anche in Italia.
Le strategie comunitarie come New European Bauhaus, Next Generation EU e il PNRR italiano puntano moltissimo sull’efficientamento energetico delle costruzioni e sulla riduzione degli impatti delle materie usate (si pensi anche a CAM – criteri ambientali fissati dal nostro Ministero).
Per l’Italia la chance è sicuramente forte per le nuove costruzioni ma di portata incomparabile sul recupero edilizio (che è il nostro vero “petrolio”).
Al 2050 si stima che oltre il 90% dello stock costruito esistente in Europa sia ancora in uso (fonte: Active House Alliance) e, fatto salvo per gli edifici di carattere storico-monumentale che rappresentano comunque una piccola porzione, sono proprio le abitazioni dal 1950 al 2000 ad essere dotate di sistemi costruttivi con debolezze prestazionali.
Agire su queste debolezze, su nuove “pelli” costruttive, nuove coperture, nuovi impianti, trasformazioni 2D o 3D credo sia la più grande chance di trasformazione sostenibile della nostra architettura, con una strategia di “palinsesto tecnologico” additivo sull’esistente.
Come si presenta la “casa del futuro” oggi?
Alcuni esempi di architetture che hanno già un imprinting “sostenibile” e mostrano l’integrazione di componenti, e la loro stessa valorizzazione espressiva, come il modo più contemporaneo di esprimersi possono essere identificati nei casi che riportiamo brevemente.
La Copenhagen International School (CIS)
La Copenhagen International School (CIS) è un edificio emblematico e di forte impatto estetico. Innanzitutto, si tratta di una scuola (la sua essenza materiale educa anche visivamente i cittadini del futuro che la popolano) e poi di un’Active House, principio che coniuga Comfort-Energia-Impatto Ambientale in modo sinergico.
La cosa più evidente e spettacolare riguarda le facciate est, sud e ovest, irrorate dal sole, che sono dotate di bellissimi pannelli BIPV (building integrated photovoltaic) di colori cangianti sui toni del verde, azzurro, acquamarina. Il fatto che queste facciate siano di fatto una centrale fotovoltaica estesa non è percepibile da chi faccia esperienza dell’edificio. Si tratta di moduli sorretti da pannelli sandwich metallici isolati e con ulteriori stratigrafie isolanti interne. I pannelli a vista, che producono energia, sono però semplicemente belli e l’edificio non è una “macchina”. Questo ci porta a una considerazione importante: qualsiasi architettura sostenibile non può essere esteticamente insostenibile.
La filiera del legno e dell’acciaio
In Italia notiamo una proliferazione molto interessante di sistemi costruttivi industrializzati a base di tecnologie del legno; industrie come Rubner Haus, Moretti, Galloppini, Nulli WoodBeton, Marlegno si sono organizzate in linee produttive ad elevata qualità e possono sviluppare e ottimizzare ogni progetto compositivo che viene loro sottoposto.
Anche la filiera dell’acciaio non è da meno e negli ultimi anni si sono notate interessanti evoluzioni per i produttori di sistemi formati a freddo o anche ibridi con sistemi laminati; Manni GreenTech e Isopan, Scaffsystem-Officine Tamborrino, Cogi SteelMax, Vanoncini, Profilsider e così via mostrano reali alternative “tettoniche” al modo tradizionale di costruire.
In entrambe le filiere si nota che la differenza principale verso la sostenibilità sta nell’applicare sistemi costruttivi “resistivi”, basati sull’isolamento (e sfasamento) termico e quindi sulla resistenza termica, piuttosto che “capacitivi” che si basano invece sulla massa e sulla capacità termica.
I sistemi potranno essere in un futuro facilmente disassemblabili, riutilizzabili o riciclabili nelle loro diverse porzioni proprio perché concepiti mediante fissaggi meccanici discretizzati.
L’integrazione involucro/impianto è fondamentale sin dall’inizio. Come per le automobili di Formula 1 un buon motore deve essere sempre montato su un telaio dall’ottima aerodinamica, così per le costruzioni un buon impianto diventa virtuoso se e soltanto se l’involucro è stato correttamente progettato.
Portare lo stock esistente verso prestazioni più efficienti
In generale è quasi sempre l’involucro il punto debole, visto che ormai gli impianti, come i nostri elettrodomestici, sono sempre più affidabili ed efficienti. Uno degli schemi attualmente più promettenti è di avere un involucro molto ben isolato e con i corretti parametri di sfasamento e attenuazione termica (in Italia il tema estivo è ovviamente importante). L’impianto tendenzialmente potrebbe fare riferimento ad una pompa di calore (anche geotermica o idraulica se possibile) e trasferire poi per irraggiamento interno (normalmente a pavimento) le prestazioni scaldanti o raffrescanti (con controllo di condensa mediante la deumidificazione dell’aria) nelle due stagioni estreme, prevedendo sempre chiusura ermetica dell’edificio e ricambio d’aria con recupero entalpico mediante ventilazione meccanica controllata.
Nelle stagioni intermedie l’edificio funziona invece il più possibile a ventilazione naturale e, ben concepito e progettato morfologicamente, può fare tesoro dei carichi esterni se serve (captazione solare) o escluderli (schermature fisse o mobili).
Per dare alcuni parametri prestazionali con questi sistemi iper-isolati si possono tranquillamente raggiungere prestazioni sotto i 30 KWh per mq. all’anno, contro i 200-300 di gran parte degli edifici esistenti. Da questo delta prestazionale che inserisce un fattore 10 (o più) dovremmo chiaramente intuire la strategia reale per rispettare gli impegni che i politici prendono a vari livelli e che immancabilmente sono disattesi.
Portare proprio lo stock esistente verso prestazioni più efficienti, senza rinunciare al comfort e controllando l’impatto ambientale dei materiali, dovrebbe essere il nostro orizzonte adesso (non 2030…). L’industria mostra una quantità di materiali isolanti con differenti peculiarità che possono essere molto funzionali a questa strategia. Isolanti di derivazione sintetica, lane minerali, isolanti da filiera del legno, sistemi termo-riflettenti, isolanti derivati persino dal riciclo delle plastiche o dai vestiti (Renzo Piano usò gli scarti dei Levi’s per il suo bellissimo Museo di San Francisco) ci offrono scenari multipli che saranno adatti per scelte differenziate a seconda del tipo di edificio, della sua funzione e del budget a disposizione.
Conclusioni
In tutti questi casi è evidente l’evoluzione tecnologica “darwiniana” dell’industrializzazione del processo costruttivo che porta verso metodologie innovative che affiancano o sostituiscono quelle canoniche latero-cementizie.
Il nesso architettura-industria e l’innovazione sostenibile di prodotto, di progetto evoluto e integrato grazie al building information modeling (BIM) e di processo costruttivo sono assolutamente possibili, maturi e sempre più evidenti.
Dal punto di vista architettonico, con queste tecnologie è possibile avere sia morfologie “tradizionali-mimetiche” sia architettonicamente espressive e contemporanee (che io preferisco e consiglio), lasciando massima libertà ai progettisti.
Nei confronti delle azioni energetiche esterne ed interne le costruzioni “meccaniche”, assemblate e stratificate a secco, possono essere in definitiva considerate edifici sensibili, addirittura “attivi” (Active House) sfruttando l’elasticità dei pacchetti (per l’acustica) o la conformazione molecolare dei singoli materiali in gioco (pensiamo alla protezione all’incendio o alla termica) e definendo un comportamento resistivo e isolante rispetto a quello inerziale e capacitivo tipico delle soluzioni massicce a umido.
L’eventuale porzione di accumulo per capacità termica potrebbe avvenire sugli impalcati o nuclei scale interni ma non ha senso sul paramento di involucro.
L’approccio meccanico per un’architettura sostenibile implica investimento in tecnologia, che è empatica sia con l’ambiente che con i propri utenti, dove lo spazio fornisce comfort, risparmio energetico e rispetto ambientale.
La leggerezza complessiva, l’eco-sostenibilità, la velocità costruttiva, la ciclicità d’uso dei materiali e la manutenzione più facile mostrano fortissime potenzialità di innovazione architettonica majeutica, poiché dà senso costruttivo e positivo all’industrializzazione senza precludere l’estetica e le potenzialità espressive dei progettisti.