Transizione energetica

Superare la crisi energetica: sfide e opportunità per l’Italia e l’Europa

L’Europa e l’Italia si stanno muovendo per abbracciare nuovi paradigmi di produzione, fornitura e consumo energetico. Ecco con quali strategie e strumenti

Pubblicato il 16 Mar 2023

Paola Testa

EY Europe West Energy & Resources Consulting Leader

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L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, stravolgendo anche i paradigmi di produzione e fornitura energetica, ha contribuito alla crisi energetica in ambito Ue. Ma i Paesi europei possono superarla attraverso la transizione energetica. Ecco come l’Europa e soprattutto l’Italia si stanno muovendo, affrontando le sfide, ma soprattutto cogliendo le opportunità di portare l’Italia e l’Europa verso nuovi paradigmi di produzione e consumo energetico.

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La sfida della crisi energetica

Un anno dopo l’avvio del conflitto Russia-Ucraina e lo stravolgimento dei paradigmi di produzione e fornitura energetica, a cui i Paesi dell’Unione Europea si affidavano da tempo, è opportuno disegnare una panoramica che evidenzi in quale direzione l’Italia e, più in generale, l’Europa si stanno muovendo.

Le istituzioni UE hanno messo a punto il piano REPowerEU, il cui bando risale a maggio scorso, oltre ai diversi Programmi Nazionali di Ripresa e Resilienza dei singoli Stati membri. Ma, a parte ciò, non hanno ancora definito una chiara direzione su cui investire, per raggiungere lo sfidante obiettivo del net zero entro il 2050.

Pur avendo delineato i principali elementi essenziali per raggiungere il traguardo, hanno lasciato autonomia decisionale alle autorità nazionali.

Tra queste c’è il Governo italiano, che non ha ancora pienamente condiviso l’agenda energetica, ma che dovrà entro il prossimo 30 aprile condividere una revisione del PNRR per integrarvi all’interno il REPowerEU, che prevede per i Paesi Membri uno stanziamento di ulteriori 20mld di euro in aggiunta a quelli già previsti dai diversi Piani Nazionali e che potrebbe consentire al nostro Paese di beneficiare di circa ulteriori 2,7 mld di euro per la transizione energetica. Già definiti, invece, sono i finanziamenti e le misure ormai approvate, che comunque non dovrebbero costituire un nuovo terreno di discussione nelle Istituzioni italiane.

Il tetto del gas europeo

L’introduzione della manovra sul Gas Price Cap, approvata a novembre scorso dopo una lunga serie di consultazioni e revisioni tra le istituzioni europee e già analizzata da EY a inizio ottobre con un paper pubblicato su LinkedIn, da un lato rappresenta un passo in avanti per i Paesi promotori, tra cui l’Italia. Dall’altro non scontenta il blocco di quelli più critici.

Proprio per queste sue caratteristiche, analizzate sempre da EY in un altro Paper pubblicato a inizio 2023 , il meccanismo introdotto è di difficile applicazione considerate le casistiche molto stringenti, e non trova un comune accordo sui reali benefici di cui godono i consumatori domestici all’interno dell’Unione a partire dallo scorso febbraio, data di ingresso a regime del meccanismo.

Altra discussione, che trova apprezzamento presso il governo italiano, è quella di ristrutturare il meccanismo di definizione del pricing all’interno del mercato energetico, ad oggi in valutazione a livello UE, andando a “disaccoppiare” il prezzo dell’energia da quello del gas per spezzare, così, un legame che ad oggi scinde il prezzo dell’energia da quello delle materie prime utilizzate per produrla.

Lo scenario italiano, fra estrazione e importazione

Sempre sul gas naturale, il governo Meloni guarda con favore alla possibilità di esplorare il territorio nazionale al fine di identificare nuovi siti adatti all’estrazione della materia prima.

Dal punto di vista delle importazioni, nel 2022 l’Italia ha registrato -61% di approvvigionamenti di gas naturale dalla Russia rispetto al 2021, virando significativamente su altri partner commerciali. Il primo Paese su cui il governo italiano ha deciso di puntare è l’Algeria che, con il gruppo energetico Sonatrach, ha definito investimenti per quasi 40 miliardi di dollari al fine di mantenere l’attuale capacità produttiva di idrocarburi e il 5% di esportazione mondiale, garantendo le forniture verso l’Europa tramite il gasdotto Transmed. All’Algeria seguono poi Congo ed Egitto, con cui, insieme ad altri Paesi, l’Italia ha chiuso contratti di fornitura per il gas naturale liquefatto (GNL o LNG).

Extraprofitti dell’energia: cosa succede in Italia e Ue

L’elevata volatilità al rialzo, a cui sono soggetti i prezzi di gas ed energia, ha attirato l’attenzione delle Autorità fiscali dei Paesi membri sui possibili extraprofitti delle aziende e dei gruppi energetici europei.

La cosiddetta windfall tax, proposta da vari esponenti delle istituzioni UE, ha stimolato la formulazione di diverse proposte nazionali su cui però molti Governi non hanno ancora assunto una chiara posizione. Infatti, se da un lato la misura produce certamente un maggiore indotto fiscale per l’erario, dall’altro richiede un’essenziale valutazione per stabilire la reale sussistenza degli extra profitti ottenuti dai player energetici e finanziari o, invece, di quanto questi siano stati compensativi di minori profitti o, addirittura, perdite sostenute negli esercizi precedenti in cui il prezzo della materia prima presentava una certa stabilità.

In questo contesto si sono mosse diverse proposte e azioni. L’Italia ha ipotizzato per il 2023 un’imposizione del 50% sui profitti che abbiano superato del 10% la media profitti registrata nel quadriennio 2018-2021. La Germania ha già adottato, sul biennio per il 2022 e 2023, un’imposizione del 33% su profitti maggiori del 20% rispetto alla media 2018-2021. La Francia si è mostrata decisamente più cauta sulla possibilità di introdurre un’imposizione specifica oltre i 100 euro per MWh, in quanto peserebbe per 5 miliardi di euro l’anno sul bilancio della neo-nazionalizzata EDF, il principale gruppo energetico del Paese. L’Olanda sta valutando per il 2023 un’aliquota del 33% su profitti maggiori del 20% rispetto alla media 2018-2021.

Come mitigare l’impatto della crisi energetica

Al netto delle manovre di breve termine, tutta l’Europa sta comunque cercando di pianificare azioni a più lunga gittata per mitigare gli effetti della crisi su cittadini e tessuto economico e avviare un percorso di ripresa come nelle Istituzioni italiane, analizzato e rappresentato all’interno del Paper EY.

Puntando verso la transizione energetica, l’Italia ha mantenuto la traccia del governo Draghi e si affretta ad adottare le direttive dell’UE per il potenziamento degli impianti di fonti rinnovabili e di efficientamento energetico.

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Transizione energetica: eolico

Il 21 aprile scorso è stato inaugurato il parco offshore Beleolico di Taranto. L’investimento consentirà di produrre 58mila MWh e di risparmiare più di 29mila tonnellate di CO 2 all’anno per i prossimi 25 anni.

Nel solo 2022, inoltre, sono stati presentati al MASE progetti per parchi eolici offshore per un totale produttivo di 19 GW, 25 GW se si considera anche il 2021, da sviluppare lungo l’Adriatico, principalmente al Centro e al Sud Italia e da cui ci si aspetteranno anche riflessi economici e occupazionali positivi nei Territori delle Regioni beneficiarie, oltre a quelli energetici.

Fotovoltaico

Il solare rappresenta un’altra importante fonte energetica sostenibile su cui l’Europa deve puntare. A livello mondiale, infatti, si è confermata la tendenza a considerare questa forma di energia come essenziale per il futuro. Stati Uniti ed Emirati Arabi hanno siglato un accordo a novembre 2022 per 100 miliardi dollari da investire per produrre 100 GW negli Stati Uniti, di cui 20 miliardi di dollari già stanziati per 15 GW.

In UE, dove l’Italia è al sesto posto nella generazione di energia solare, sono stati prodotti 41 GW in più del 2021, in totale circa 209 GW.

La necessità di snellire la burocrazia

È tuttavia bene ricordare che, sia per lo sviluppo dell’eolico che del fotovoltaico, serve a livello nazionale una velocizzazione dei processi autorizzativi che tutelino le aree di interesse storico, artistico o naturalistico, ma snelliscano altresì l’iter dei progetti. Bisogna individuare ex ante zone ove sia possibile, con procedura snella, installare parchi produttivi in quanto aree non di interesse artistico o naturalistico.

Per produrre sempre più energia dal sole è, però, essenziale dotarsi delle materie prime necessarie, delle competenze e dell’infrastruttura che consentano una produzione degli impianti e degli strumenti per lo sfruttamento di questa fonte.

In vista della creazione di un hub europeo per lo sviluppo di un’offerta di pannelli solari e di sistemi di accumulo che possa sostenere la domanda energetica industriale e civile, la sicurezza delle forniture di componenti fondamentali, come semiconduttori (per esempio, microchip) e strumenti di storage (per esempio, le batterie al litio), rappresenta un elemento imprescindibile.

Su questo fronte, il 13 gennaio scorso, sono arrivate ottime notizie dalla Svezia dove è stato scoperto il più grande giacimento di “terre rare” d’Europa e uno dei maggiori al mondo, composto da elementi chimici e materie prime fondamentali per la produzione di semiconduttori e batterie. Oltre che per contrastare la posizione commerciale dominante della Cina, che oggi copre il 91% dell’offerta mondiale di “terre rare”. Una grande opportunità all’iniziativa Chips for Europe, tale da produrre risvolti positivi sul PIL dei Paesi membri.

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Geotermico

Se per il solare è ancora comunque necessario avvalersi di partner commerciali extra-UE, l’Italia dispone oggi di altre fonti energetiche sostenibili che potrebbero rappresentare “terreno fertile” per ulteriori investimenti contro la crisi energetica, soprattutto mediante la formula partenariato pubblico-privato.

Con il geotermico, di cui l’Italia è stata pioniera al mondo nella seconda metà del XIX secolo, nel Paese si producono all’anno 6.000 GWh che soddisfano il 2% del fabbisogno annuo nazionale, rappresentando il 5% della produzione green. Un dato peculiare è rappresentato dal fatto che solo in Toscana si produce il 7% dell’energia geotermoelettrica globale.

Potenziamenti rispetto all’attuale capacità produttiva contro la crisi energetica sono però ad alto investimento fisso (capex intensive), con elevati costi soprattutto sull’esplorazione territoriale, quasi sempre a carico dell’investitore per carenza di un framework di incentivazione adeguato, e rallentati dai rischi sismici, particolarmente legati agli impianti Enhanced Geothermal System, e di inquinamento delle falde acquifere indotti dal processo produttivo di energia.

Tra i grandi attori del settore energetico italiano, Enel sta esplorando nuove opportunità di generazione geotermica e la possibilità di estrarre idrossido di litio dai pozzi geotermici per favorire l’industria produttiva dei dispositivi di storage.

Idrogeno verde

Il tema dell’idrogeno verde, più recente rispetto alla geotermia, vede l’Italia in quinta posizione in UE per registrazione di brevetti. Il nostro Paese è attivo sia sul versante delle forme di immagazzinamento di energia che su quello dell’alimentazione dei sistemi di movimentazione.

Anche le partnership aperte soprattutto da Snam, il maggiore trasportatore nazionale di gas, stanno dando un forte impulso al settore, ma per raggiungere i livelli di avanzamento della Germania il traguardo è ancora molto distante.

Il biometano

Nell’ambito del PNRR, il 17 gennaio il Governo, con il MASE, ha approvato poi le regole per incentivare la produzione di biometano contro la crisi energetica. Secondo il ministro dell’Ambiente e della Sovranità Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, queste regole ben si saldano con la “forte vocazione agricola di una parte consistente del nostro territorio”.

Con il sistema di incentivi messi a disposizione per oltre 1,7 miliardi
di euro si prevede uno stimolo alla produzione di 2 miliardi di metri cubi di biometano all’anno entro il 2024, circa dieci volte l’attuale produzione.

Nell’ambito della mobilità sostenibile e abbandono degli idrocarburi, ENI ha lanciato la nuova branch Sustainable Mobility, operativa dal 1° gennaio e affiancata a Plenitude, per lo sviluppo del biometano e dei processi di bio-raffinamento, anche attraverso l’offerta di prodotti e servizi, allo scopo di ridurre le emissioni Scope 3, ossia le emissioni cosiddette indirette non legate alle attività produttive delle imprese.

Il ritorno al nucleare contro la crisi energetica

Altra strategia su cui il governo cercherà di puntare, avendola anche formalizzata all’interno del suo programma, è un possibile ritorno al nucleare. Proseguono gli studi di settore favoriti dall’opinione di diversi esponenti della maggioranza che ritengono che in Italia si sia abbandonata prematuramente questa forma di energia.

Tra i molti aspetti, il nucleare assicurerebbe ad oggi una normalizzazione degli approvvigionamenti provenienti da partner economicamente e socialmente stabili, come il Canada (uno dei principali esportatori di uranio al mondo), rispetto ai Paesi esportatori di gas.

Tuttavia gli elevati investimenti fissi richiesti e i lunghi tempi di riattivazione delle filiere produttive costituirebbero barriere significative alla reintroduzione di questa forma di energia. Chi, in UE, è oggi sicuro di continuare a puntare sul nucleare è la Francia, che ha avviato nel 2022 un esteso programma di revamping e manutenzione delle sue centrali.

Nucleare per l’indipendenza energetica dell’Italia: perché non è tabù

Crisi energetica: “Pronti per il 55%” per la transizione verde

Aggiunto in coda ai provvedimenti e alle Direttive proposte dall’UE, si è inserito in questi giorni nel dibattito la proposta inerente all’autoproduzione ed efficientamento energetico degli edifici.

L’iniziativa “Pronti per il 55%”, strutturata dal Consiglio Europeo, si pone come obiettivo la riduzione dei consumi di energia primaria, l’incremento delle classi energetiche di edifici civili e della PA e l’introduzione dell’obbligo di dotarsi di strumenti di autoproduzione per le nuove costruzioni (in particolare, di pannelli solari) per ridurre l’assorbimento di risorse dalla rete energetica.

Sull’efficientamento energetico, nello specifico, la Direttiva prevederebbe che gli edifici nuovi abbiano classe A0 (emissioni zero) entro il 2030 e che gli edifici già esistenti raggiungano questa classe entro il 2050, con fasi intermedie previste per gli immobili residenziali: raggiungere la classe energetica E (tra 91 e 120 kWh al mq) entro il 1° gennaio 2030 e la classe D (tra i 70 e 90 kWh al mq) entro il 1° gennaio 2033.

Il governo italiano per ora si oppone alla proposta considerandola una misura che potrebbe avere impatti negativi e significativi sul valore degli immobili. Una soluzione alternativa potrebbe prevedere misure normative che facilitino l’implementazione di micro-impianti per la produzione energetica diffusa. Per esempio, l’introduzione di schemi contrattuali standard per il comodato d’uso alle aziende utility degli spazi condominiali da parte delle amministrazioni o degli spazi idonei degli edifici commerciali ed equiparabili (stazioni di servizio, aree parcheggio dei centri commerciali, pensiline e ricoveri notturni o depositi dedicati ai mezzi di traporto pubblico) per l’installazione di wind e solar farm di piccola entità.

Oppure, la definizione di schemi di incentivazione che stimolino i gestori idrici e dei bacini fluviali a sviluppare invasi lungo i principali corsi d’acqua ai fini di tutela idrica nei periodi di siccità e di produzione idro-energetica.

Conclusioni

Le opportunità offerte dalla transizione energetica sono numerose. Ora spetta ai tecnici del governo identificare quali debbano essere le migliori opportunità su cui investire per mitigare gli effetti della crisi energetica. Ma anche per portare l’Italia verso un nuovo paradigma di produzione e consumo energetico.

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